Ecco il risultato di più tasse: le entrate crollano del 7%
Rodolfo Parietti – Il Giornale
L’Italia detiene il poco invidiabile primato mondiale della pressione fiscale. Lo sanno anche i bambini: siamo spremuti come limoni in un profluvio di tasse da crescendo rossiniano.
Eppure, apparente paradosso, l’ultimo Bollettino di Bankitalia ci racconta che le entrate tributarie si sono sgonfiate, nel giugno scorso, del 7,7% rispetto allo stesso mese del 2013. Appena 42,7 miliardi di euro finiti nelle casse. E poteva anche andar peggio: «Tenendo conto di una disomogeneità nella contabilizzazione di alcuni incassi», avverte via Nazionale, «la riduzione delle entrate tributarie sarebbe stata più pronunciata». Male anche i primi sei mesi, periodo in cui lo Stato ha contabilizzato in bilancio uno 0,7% di entrate in meno. Il piatto, insomma, piange. Con un effetto collaterale inevitabile anche sul debito pubblico tricolore, schizzato a quota 2.168,4 miliardi.
Queste cifre si prestano ad alcune riflessioni. La prima delle quali è che un simile andamento fuori registro della finanza pubblica espone il Paese al rischio, sempre più fondato, di finire tra le grinfie della troika e di dover varare una manovra correttiva da lacrime e sangue. Forse non sarà quest’anno, come assicura il premier Matteo Renzi, ma nel periodo 2015-2017 la manovra potrebbe oscillare tra i 20 e i 60 miliardi, con ricadute ancora più depressive su un Paese incapace di uscire dalla recessione. È vero: ieri il Tesoro ha spiegato che l’ascesa del debito dall’inizio dell’anno (quasi 100 miliardi) è anche legata alla volontà di «fare provvista» sfruttando i bassi tassi di interesse. In ogni caso, se il Tesoro non avesse deciso di approfittare dei rendimenti ai minimi, il debito sarebbe comunque cresciuto di oltre 36 miliardi, tenuto conto dei 4,3 miliardi versati come sostegno finanziario ai Paesi dell’euro zona.
Adusbef e Federconsumatori hanno calcolato che il debito rappresenta «un gravame di 36.225 euro sulle spalle di ogni italiano». In cinque mesi – sostengono inoltre le associazioni – il governo Renzi ha accresciuto il debito pro capite di 875 euro. L’aumento del debito ci riporta al calo delle entrate fiscali, soprattutto imputabile alla situazione economica generata dalle politiche restrittive fin qui seguite proprio con l’obiettivo di risanare i conti. Un aggiustamento che, appunto, non ha interrotto l’ascesa del nostro debito, ma in compenso ha impoverito il Paese. Più disoccupazione ha significato minor gettito derivante soprattutto dai lavoratori dipendenti; il timore di perdere il posto e le scarse prospettive di un miglioramento della congiuntura si sono tradotte in una progressiva contrazione dei consumi.
Lo stesso innalzamento dell’aliquota Iva ha verosimilmente provocato una riduzione delle entrate e concorso a strozzare ogni segno di ripresa. Sotto questo profilo, il Giappone è un caso da manuale: l’aumento dell’imposta dal 5 all’8% ha contratto il Pil nel secondo trimestre dell’1,7%. Una frenata brusca, certo. Ma ancora sopportabile per un Paese che veniva da un periodo di robusta espansione garantita dalle misure di stimolo economico varate dal premier Abe. Al contrario, la decisione di tassare di più i consumi è stata presa in Italia nonostante un ciclo economico fortemente deteriorato e senza alleggerire, contestualmente, la pressione fiscale.
In un Paese dove le risorse per gli investimenti sono diventate sempre più scarse risulta incomprensibile l’incapacità di utilizzare i fondi messi a disposizione dall’Unione europea a causa di inefficienze burocratiche, oppure per l’incapacità di presentare progetti appropriati. Soldi che rischiamo di perdere? «Che Roma possa perdere l’interno ammontare del programma, pari a 40 miliardi, è teoricamente impossibile – ha detto David Hudson, portavoce della Commissione europea – perchè equivarrebbe a non avere un partnership agreement e questo, appunto, è teoricamente impossibile visto che tutti i Paesi membri ne hanno uno». Ammette comunque Renzi: «I fondi europei l’Italia negli ultimi decenni li ha spesi peggio di come avrebbe potuto. Il nostro governo cercherà di cambiare il modello».