Ci vuole uno shock fiscale per riportare l’Italia sulla carreggiata europea
di Massimo Blasoni – Libero
Almeno in economia, non è affatto detto che chi s’accontenta gode. D’altronde i recenti toni trionfalistici a commento della nostra “ripresina” economica mal si accordano con i freddi dati Ocse. Per il quindicesimo anno consecutivo il Pil italiano è infatti cresciuto a un ritmo inferiore rispetto alla media europea. Dall’introduzione della moneta unica ad oggi, questa differenza di ritmo di crescita (o di decrescita) è oscillata tra il minimo del 2010 (-0,4%) al massimo del 2012 (-2,3%).
Comparando invece l’andamento del Pil italiano con quello tedesco, è interessante notare come, negli anni immediatamente successivi all’introduzione dell’euro, l’Italia sia cresciuta a un ritmo più sostenuto della Germania. Dopo una serie di riforme strutturali coraggiose (ed efficaci) messe in campo dal governo di Berlino, però, la tendenza si è bruscamente invertita. E dal 2006 ad oggi l’andamento del Pil tedesco è stato nettamente superiore a quello del nostro Paese, con la sola eccezione del 2009 (Italia -5,5%; Germania -5,6%). Negli ultimi dieci anni, mentre l’Italia ha perso in media 4 punti decimali di Pil all’anno, la Germania così ha fatto registrare un più che dignitoso +1,4%.
Ma c’è soprattutto un dato che dovrebbe preoccuparci: fatto 100 il Pil reale delle economie occidentali più avanzate nell’ultimo trimestre del 2007, solo noi continuiamo ancor oggi a restare al di sotto dei livelli precedenti alla grande crisi. Francia e Germania sono “emerse” già nel primo trimestre del 2011, nel penultimo trimestre di quello stesso anno è arrivato il turno degli Stati Uniti mentre il Regno Unito ha dovuto aspettare fino al secondo trimestre del 2013. Nel primo trimestre di quest’anno anche il Pil reale della Spagna ha ormai raggiunto il livello pre-crisi. Manca all’appello dunque solo l’Italia (ancora ferma al 94%) e con l’attuale ritmo di crescita la strada per tornare ai nostri livelli pre-crisi appare ancora in salita e incerta. Ma quanto sarà lunga? Continuando con una crescita annua del Pil tra l’1,3% e l’1,5% – e quindi con numeri analoghi a quelli delle previsioni per il 2017 – l’economia italiana tornerebbe ai livelli pre-crisi soltanto tra il 2021 e il 2022. Peccato che la realtà s’incarichi spesso di smentire l’ottimismo dei nostri governi e soprattutto che per quella data sarà trascorso già un decennio da quando tutti i nostri principali competitor saranno usciti dalle secche della crisi. Inutile nasconderci dietro un dito: a forza di crescite annue intorno all’1 virgola qualcosa il vagone italiano rischia di sganciarsi definitivamente dal treno della ripresa europea. Per questo s’impone con urgenza l’adozione di misure coraggiose, di un vero e proprio shock fiscale che alleggerisca finalmente le nostre imprese dall’oppressione tributaria (e burocratica). Accontentarsi non è più possibile.