“Un po’ per cosa e senza studi precisi così in un’ora inventai il limite del 3%”
Anais Ginori – La Repubblica
Si sente in colpa? «Per nulla. Anzi, orgoglioso». L’uomo a cui dobbiamo Finanziarie lacrime e sangue, innumerevoli salassi e i nostri mali europei, è seduto in una brasserie del quinto arroundissement. Si chiama Guy Abeille, meglio conosciuto come “Monsieur 3%” perché rivendica di aver ideato la discussa regola del 3% di deficit sul Pil, croce di tanti governanti dell’Ue. Nessuno conosce il suo nome, tutti conoscono e temono invece la sua invenzione. «Fu una scelta casuale, senza nessun ragionamento scientifico» confessa adesso l’economista matematico di 62 anni. Anche se la Francia è tra i paesi meno rispettosi del limite imposto nel Patto di Stabilità (quest’anno il deficit è al 3,6%), la norma-faro è nata a Parigi otre trent’anni fa. Abeille, oggi in pensione, allora lavorava al ministero delle Finanze.
Come si arriva a questo numero simbolico?
«Quando François Mitterand venne eletto nel 1981scoprimmo che il deficit lasciato da Valery Giscard d’Estaing per l’anno in corso non era di 29 ma di 50 miliardi di franchi. Sembrava anche difficile fermare l’appetito dei nuovi ministri socialisti. Avevamo davanti uno spauracchio: superare 100 miliardi di deficit. Mitterand chiese all’ufficio in cui lavoravo di trovare una regola per bloccare questa deriva».
Perché proprio il 3%?
«Avevamo pensato in termini assoluti di stabilire come soglia massima 100 miliardi di franchi. Ma era un limite inattendibile data l’alta fluttuazione dei cambi e le possibili svalutazioni. Quindi decidemmo di dare il valore relativo rispetto al Prodotto interno lordo che all’epoca era di 3.300 miliardi. Di qui il fatidico 3%. Qualche mese dopo, Mitterand parlò ufficialmente della regola per il controllo dei conti pubblici. La Finanziaria si chiuse con uno squilibrio di 95 miliardi. Ma Laurent Fabius, allora premier, anziché dare la cifra parlò di un deficit pari al 2,6 del Pil. Faceva molta meno impressione. Così è cominciato tutto».
All’inizio era soprattutto uno slogan?
«L’obiettivo principale era trovare una regola semplice, chiara, immediata, per contenere le spese dei ministeri. Ma dovevamo anche farci capire dall’opinione pubblica francese e dai mercati internazionali, non tanto per i tassi di interesse quanto per i rischi della speculazione sulla moneta nazionale. Oggi che esiste l’euro pochi lo ricordano ma all’epoca era quella la minaccia che faceva tremare gli Stati».
Come si è arrivati a farne una regola per gli altri paesi europei?
«La regola aveva funzionato bene negli anni Ottanta: i governi francesi non hanno sfiorato il 3%, tranne nel 1986. È stato Jean-Claude Trichet, allora direttore generale del ministero del Tesoro, a proporre questa norma durante i negoziati per il Trattato di Maastricht. Per paradosso, la Germania ha adottato la norma del 3% di deficit sul Pil fino a farne uno dei punti centrali del Patto di Stabilità. Trovo divertente che questa regola nata quasi per caso e oggi imposta dai tedeschi sia nata proprio in Francia».
Davvero non c’erano grandi teorie economiche dietro al 3%?
«Dovevamo fare in fretta, il 3% è venuto fuori in un’ora, una sera del 1981. Qualche anno dopo ho lasciato il ministero delle Finanze per lavorare nel settore privato. Immaginavo che ci sarebbero stati degli studi più approfonditi. In particolare quando il parametro è stato esteso all’Europa. E invece il 3% rimane ancora oggi intoccabile, come una Trinità. Mi fa pensare a Edmund Hillary che quando gli chiesero perché aveva scalato l’Everest rispose: “Because it’s there”. Da quella sera del 1981 in cui il 3% è uscito fuori un po’ per caso, è diventato parte del paesaggio delle nostre vite. Nessuno più che si domanda perché. Come una montagna da scalare, semplicemente perché è lì».