Anticipazione Tfr: gli interessi passivi costerebbero alle PMI 876 milioni di euro l’anno

NOTA

I 100 euro in più al mese in busta paga prospettati dal presidente del Consiglio Matteo Renzi rappresenterebbero per le piccole e medie imprese italiane l’erogazione ai loro dipendenti del 100% del Tfr, dal momento che nel 2013 lo stipendio mensile medio percepito nelle Pmi è stato di 1.327 euro (dati del Rapporto sui salari dell’Isrf Lab/Cgil).
Se deliberata, questa disposizione colpirebbe oltre 4 milioni di imprese italiane (quelle da 1 a 49 dipendenti), costando loro la cifra complessiva di 876 milioni di euro: in assenza di un’eventuale accordo tra Governo e Abi (la cui percorribilità è ancora tutta da dimostrare), a tanto ammonterebbe infatti il costo degli interessi passivi per l’anticipazione in banca delle risorse necessarie.
Come si arriva a questa cifra? L’assorbimento di capitale comporta un costo che corrisponde al prezzo del reperimento delle risorse finanziarie corrispondenti: tale è definito in finanza come “costo del capitale”, e viene espresso attraverso un tasso di rendimento annuo. I dati Banca d’Italia ci dicono che il tasso effettivo globale medio per il quarto trimestre 2014 per operazioni relative al finanziamento di capitale circolante è pari all’8.94% annuo. Questo significa che, se il sistema delle Pmi fosse costretto a recuperare risorse per 9,8 miliardi di euro (la cifra complessiva dei Tfr attualmente accantonati in queste aziende, dati Covip-Istat), le aziende finirebbero per sostenere oneri finanziari per appunto 876 milioni di euro su base annua.
Vi è inoltre da considerare il caso delle imprese che, per motivi diversi, possono ritrovarsi ad avere uno scoperto di conto corrente senza affidamento, ovvero senza l’autorizzazione della banca. In questi casi, decisamente più gravi, il costo del finanziamento sarebbe nettamente superiore. Non va infine dimenticato come l’anticipazione del Tfr in busta paga comporterebbe per le piccole e medie imprese un’ulteriore riduzione della loro capacità di accesso al credito per la gestione ordinaria e per nuovi investimenti.
«Un sistema già stremato dall’alta tassazione e molto spesso dal ritardo con cui la Pubblica Amministrazione paga i suoi debiti commerciali e fiscali – commenta il presidente del Centro Studi “ImpresaLavoro” Massimo Blasoni – si troverebbe a dover finanziare con proprie risorse la redistribuzione fiscale immaginata dal Governo. Per mettere più soldi nelle buste paga dei lavoratori c’è una sola soluzione: quella di ridurre sensibilmente il cuneo fiscale e contributivo, evitando di utilizzare le nostre piccole imprese come un bancomat».
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