Occupazione: nel 2017 è aumentata del +1,2% rispetto all’anno precedente ma 59 province restano ancora sotto i livelli pre-crisi del 2007

Dal 2016 al 2017 il numero degli occupati in Italia è passato da 22.757.838 a 23.022.959, con un aumento del +1,2% (265.121 unità) che non appare però distribuito in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Dall’analisi dei dati emerge che, rispetto all’anno precedente, nel 2017 l’occupazione è aumentata in 57 province mentre è diminuita in altre 42.

Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro, realizzata su elaborazione di dati Istat, che ha preso in considerazione un totale di 99 province italiane (i dati di quelle create dopo il 2007 sono stati aggregati per rendere omogenei e confrontabili i valori: Barletta-Andria-Trani con Bari e Foggia; Fermo con Ascoli Piceno; Milano con Monza e Brianza; tutte le province della Sardegna).

In cima alla graduatoria delle province con il migliore saldo positivo si segnalano al Nord quelle di Milano con Monza e Brianza (+38.277), Brescia (+19.857), Venezia (+19.449) e Padova (+16.036). Nel Mezzogiorno si distinguono quelle di Caserta (+18.857) e Napoli (+17.801) mentre nel Centro la provincia di Roma registra il maggior aumento dell’occupazione (+36.224), davanti a quelle di Firenze (+14.988) e Latina (+10.279). Tra le province maggiori vanno segnalate anche le buone performance di Treviso (+11.181), Torino (+10.382), Trento (+5.361), Cosenza (+5.287), Verona (+3.818) e Catania (+3.306).

Viceversa, in fondo alla graduatoria spiccano due province del Nord con saldo fortemente negativo: Vicenza (-3.419) e Como (-3.005). Male anche Sondrio (-2.489), Mantova (-2.291), Imperia (-2.104), Rovigo (-2.007) e Genova (-1.865). Nel Meridione la performance peggiore è quella della provincia di Lecce (-5.178) mentre arretrano sensibilmente anche quele di Caltanissetta (-2.934), Potenza (-2.596), Benevento (-2.576) e Taranto (-1.752). Al Centro, infine, la graduatoria è chiusa dalla provincia di Ancona (-10.174), che registra dati peggiori a quelle di Lucca (-6.489), Frosinone (-4.027) e Grosseto (-2.981).

La ricerca di ImpresaLavoro analizza anche il saldo occupazionale dal 2007 al 2017. Solo in 40 province su 99 il livello occupazionale è tornato ai livelli pre-crisi del 2007. Negli altri 59 casi il dato del 2017 risulta invece ancora inferiore – a volte in modo sensibile – rispetto a quello di 10 anni prima.

La performance migliore è quella della provincia di Roma (con un saldo positivo di 225.746 unità rispetto al 2007), molto davanti a Milano con Monza e Brianza (+99.953), Firenze (+32.813), Venezia (+27.237) e Brescia (+26.962). Al Nord bene anche Bologna (+26.160), Bolzano (+25.248), Bergamo (+17.443), Trento (+14.752) e Verona (+11.515). Al Centro emergono i risultati delle province di Latina (+16.965), Pisa (+16.410) e Livorno (+7.891). Tra le province del Sud le uniche ad avere un saldo positivo rispetto al 2007 sono invece quelle di Caserta (+4.721), Pescara (+2.989), Matera (+1.055), Crotone (+702), Brindisi (+74) e Avellino (+24).

Nel Mezzogiorno abbondano semmai le province con un saldo occupazionale negativo rispetto agli anni pre-crisi. Particolarmente significativi i dati delle province di Palermo (-39.526), Barletta-Andria-Trani più Bari e Foggia (-38.607), Messina (-32.350), Cosenza (-26.849), Lecce (-25.891) e Napoli (-25.693). Appare molto negativa anche la performance delle province sarde aggregate, che perdono 43.734 posti di lavoro rispetto al 2007. E mentre al Nord le province con il peggiore saldo occupazionale sono quelle di Genova (-14.069), Udine (-11.627), Imperia (-10.705) e Rovigo (-10.018), al Centro spiccano invece in senso negativo quelle di Ancona (-14.089), Pesaro e Urbino (-10.718) e Frosinone (-9.495).

 

«L’incremento di 265mila lavoratori registrato alla fine dell’anno scorso rispetto al 2016 è un buon risultato che ci riporta ai valori pre-crisi» osserva l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro. «La crescita dell’occupazione in Italia tuttavia è poca cosa se paragonata a quella tedesca (+2milioni e 200mila unità), britannica (+1 milione e 600mila unità) e persino ungherese (+500mila). Per raggiungere i risultati di questi e altri Paesi occorre semplificare il nostro mercato del lavoro e incrementare le politiche attive per far crescere l’occupazione, puntando in particolar modo alla formazione permanente dei lavoratori».