Giorgio Barba Navaretti

Valuta debole volàno per gli investimenti

Valuta debole volàno per gli investimenti

Giorgio Barba Navaretti – Il Sole 24 Ore

L’euro è debole, care imprese investite! La domanda interna continua a languire, ma raramente si sono verificate condizioni nei prezzi relativi dei beni più favorevoli alle nostre imprese. La svalutazione di oltre il 15% sul dollaro, il crollo del prezzo del petrolio, la stabilità dei prezzi interni e il credito a basso costo porteranno una crescita sostanziale dei volumi di beni venduti all’estero e un miglioramento significativo dei margini di profitto. Gli investimenti in macchinario sono stati negli ultimi tre trimestri del 2014 di 22 punti inferiori allo stesso periodo del 2008: un quarto di macchine da rinnovare o necessarie a espandere la produzione in meno. Se output e margini riprendono, inevitabilmente ripartiranno anche gli investimenti.

Paradossalmente la svalutazione sarà particolarmente benefica grazie agli anni in cui l’euro è stato forte. Nonostante le imprese italiane siano state sottoposte a condizioni competitive durissime, le esportazioni hanno continuato a crescere e i saldi di bilancia commerciale a migliorare già dal 2010. Il che è stato possibile grazie a ristrutturazioni draconiane e investimenti in qualità, tecnologia e marchi. In uno studio del 2008 Matteo Bugamelli, Fabiano Schivardi e Roberto Zizza avevano evidenziato come nei primi anni dell’euro la crescita della produttività fosse stata intensa in quei paesi come l’Italia, e in quei settori che più avevano utilizzato le svalutazioni competitive.

Oggi il sistema produttivo nazionale è radicalmente diverso rispetto al periodo pre-euro, quando le imprese competevano quasi solamente sulle condizioni di costo. Se dunque allora le svalutazioni erano indispensabili per la sopravvivenza del sistema, oggi sono una spinta per imprese che starebbero in piedi lo stesso. E queste imprese, proprio perché della svalutazione possono fare a meno, sono anche quelle più in grado di approfittarne. Infatti, i prodotti di alta qualità o basati su tecnologie particolari o con un marchio forte sfruttano solo marginalmente l’opzione di abbassare i prezzi in valuta estera. La svalutazione garantisce soprattutto un aumento dei margini di profitto, oltre e più che un aumento dei volumi esportati. E questi profitti devono essere utilizzati per quegli investimenti necessari a rafforzare ancor più la loro competitività globale.

La svalutazione, comunque continua ad avere un effetto benefico anche per le imprese meno efficienti. Il paradosso italiano del crollo dell’output industriale accompagnato dalla crescita dell’export durante gli anni dell`euro forte e della crisi è spiegabile solo in termini di eterogeneità delle imprese. Da un lato le imprese più avanzate crescevano all’estero, mentre quelle più deboli subivano in pieno il calo della domanda interna e l’euro forte. Ora quelle di questo secondo gruppo che sono riuscite a sopravvivere troveranno con la svalutazione un nuovo traino per riprendere a crescere con prezzi più competitivi all’estero.

Euro forte, la svalutazione da sola non basta

Euro forte, la svalutazione da sola non basta

Giorgio Barba Navaretti – Il Sole 24 Ore

L’impatto di un eventuale deprezzamento dell’euro sulla nostra economia sarebbe piuttosto ambiguo. Non migliorerebbe necessariamente il saldo di bilancia commerciale facendo aumentare la quantità dei beni esportati e riducendo quelli importati; né permetterebbe alle nostre imprese di aumentare i margini di profitto e accrescere gli investimenti. In tutti i paesi industrializzati storicamente le esportazioni reagiscono poco a un deprezzamento del tasso di cambio. La ragione è che una svalutazione pone le imprese di fronte alla scelta di aumentare le quantità vendute a parità di prezzo in valuta nazionale o di lasciare i prezzi in valuta estera e le quantità vendute invariate, aumentando i profitti in valuta nazionale per ogni unità venduta.

Il trasferimento della svalutazione in una riduzione dei prezzi in valuta estera è generalmente limitato. Il che significa che le imprese esportatrici hanno abbastanza potere di mercato per aumentare i margini di profitto. Sono imprese medio grandi che fanno leva su una competitività basata su brand, qualità e tecnologie e riescono a tradurre in maggior prezzi e margini di profitto i benefici di una svalutazione.
Il tasso di cambio dollaro/euro è cambiato molto poco tra l’inizio della crisi e oggi. Le imprese italiane sono da anni abituate a esportare con un euro forte e nonostante ciò sono riuscite ad accrescere le proprie vendite estere anche in volumi. È comunque un numero limitato di aziende medio-grandi che è riuscito a posizionare i propri beni in nicchie poco sensibili alle oscillazioni del cambio.

Per quanto l’effetto sulle quantità della svalutazione non fosse rilevante ci sarebbe un effetto positivo sui margini di profitto. Ma l’impatto sarebbe concentrato solo sulle aziende che riescano a sfuggire alla competitività di prezzo e non diffuso a tutto il sistema. Inoltre, la ricaduta della svalutazione sui profitti dipenderebbe anche dalla valuta in cui le imprese acquistano materie prime e componenti. Una svalutazione farebbe aumentare la bolletta energetica per tutti. E la produzione di componenti e semilavorati è oramai molto frammentata tra aree valutarie diverse. I benefici derivanti dai prezzi di vendita potrebbero essere in parte o in tutto compensati da un aumento dei costi di produzione.
In sintesi, una svalutazione significa una perdita di potere di acquisto e un impoverimento relativo nei confronti delle altre aree valutarie. A questo costo certo possono corrispondono benefici incerti che non è semplice quantificare. Sperare dunque che la linfa vitale che manca alla nostra crescita economica possa derivare da una svalutazione dell’euro è fuorviante e ci allontana dai problemi veri del Paese.