Quanto è timido Renzi se si parla di economia
Alessandro De Nicola – l’Espresso
Uno dei filosofi contemporanei più apprezzati dei nostri tempi, Linus, così suggeriva ad un meditabondo Charlie Brown oppresso, come sempre, da mille preoccupazioni: «Il miglior modo per risolvere un problema è evitarlo». Preparatissimo su molteplici aspetti della cultura pop della nostra era, il premier Renzi dà l’impressione di aver eletto tale massima filosofia a faro illuminante della sua azione in politica economica. Egli infatti dimostra risolutezza quando si tratta di vincere primarie, detronizzare Letta, sfidare Grillo, i sepolcri imbiancati del suo partito o la Cgil e financo nel far approvare riforme elettorali e costituzionali di dubbia efficacia. Poi, quando si devono prendere decisioni relative al nodo fondamentale della vita italiana, il prolungato declino economico, è vago o parla d’altro.
Prendiamo la bagarre sulla “flessibilità” inscenata in Europa. È stata una mossa sbagliata sia di principio sia tatticamente. L’Italia non ha alcun bisogno di interpretare in modo “flessibile” trattati e direttive europee. Già lo fa: non rispetta da anni gli obiettivi di deficit di bilancio che comunica alla Commissione; non riduce il debito pubblico e se ne fa un baffo della famosa lettera Trichet-Draghi che elencava minuziosamente le riforme necessarie. In realtà, l’unica regola cui faticosamente aderisce è quella del rapporto deficit-Pil del 3% imposto dal Trattato di Maastricht. Inoltre, le regole esistono per essere rispettate non violate, soprattutto in Europa, ove a una moneta unica non corrisponde un solo governo e quindi è necessario un minimo di convergenza tra le politiche economiche dei vari paesi. Infine, la deroga alla rigidità può forse (molto forse) chiederla l’alunno che ha fatto i compiti a casa e chiede un giorno di vacanza in più, non quello con la pagella ancora insufficiente. Risultato? Un inevitabile cul-de-sac nel quale l’Italia è stata imbrigliata e frenata dall’abilissima Merkel e bersagliata dai commissari più rigoristi del Nord Europa.
Il bello è che l’esecutivo non è a corto di idee e soluzioni. La spending review dell’invisibile (e stoico, verrebbe da dire) Cottarelli, che poteva basarsi anche su quanto elaborato dai precedenti commissari Giarda e Bondi, è pronta. E comunque basterebbe aprire un po’ di libri divulgativi, articoli di giornale e siti web di think-tank per trovare abbondanza di soluzioni.
L’Autorità Antitrust ha preparato una relazione con gli interventi necessari da inserire nella legge sulla concorrenza per liberalizzare e rendere più competitiva l’economia. Persino all’interno del governo c’è chi ha messo nero su bianco una lista di ragionevoli priorità. Lo ha fatto il viceministro Calenda il quale, prendendo spunto dall’immaginifico “Business Plan” lanciato da Renzi, ha elencato una serie di mosse concrete, a partire dal dimezzamento dell’Irap, l’agenda digitale, privatizzazioni e liberalizzazioni, tutte nel segno della crescita.
Perché è proprio questo lo snodo vitale. Gli 80 euro che hanno contribuito alla vittoria elettorale del Pd sono stati una buona mossa per alleviare il disagio di ampie fasce della popolazione. Tuttavia, potrebbero rivelarsi inutili se la famiglia che li riceve perde il lavoro o non lo trova per i propri figli. In altre parole, la scelta che si impone al governo è questa: evitare di accontentare tutti o di ricercare la popolarità e concentrarsi sulla crescita economica. E per far ciò è necessario compiere scelte drastiche in favore dell’impresa che rischiano di essere impopolari: liberalizzazioni che scontentino corporazioni e potentati economici anche pubblici; taglio sostanzioso dell’Irap a fronte di una reale riduzione della spesa pubblica; flessibilità vera del mercato del lavoro sconfiggendo resistenze sindacali; corposa sburocratizzazione a costo di scontrarsi con ministeri, enti locali, tribunali amministrativi e ordinari.
Quando parla degli investimenti stranieri, Renzi dimostra di avere gli istinti giusti non cedendo alla retorica patriottarda e protezionista di destra e sinistra ed altrettanto si può dire quando sfida i burosauri della Pa. È ora che questi istinti si tramutino in azione di governo e il suo “Business Plan” diventi un Plan a favore del Business.