I veri fantasmi di Bruxelles
Andrea Bonanni – La Repubblica
«Tutto bene», assicura Matteo Renzi dopo l’incontro segreto con Mario Draghi in villeggiatura in Umbria. Tuttavia se il premier sente il bisogno di prendere un elicottero per andare a disturbare le privatissime vacanze del presidente della Bce, è legittimo immaginare che abbia avuto urgenti questioni da risolvere. Specie dopo che Draghi ha spiegato come la recessione italiana sia dovuta alla insufficienza delle riforme promesse dal governo. E dopo che Renzi, in una intervista al Financial Times, ha replicato con un secco «non ci faremo commissariare». Ma quanto è reale il rischio di un cornmissariamento europeo dell’Italia? E quanto peserà, nei mesi a venire, la richiesta di Draghi che i governi nazionali cedano sovranità anche sulle riforme strutturali, dopo aver ceduto a Bruxelles la sovranità sui loro conti pubblici? Perché di questo è lecito immaginare che abbiano discusso il capo del governo italiano e il presidente della Bce nelle due ore e mezza del loro incontro riservato.
Alla prima domanda esistono due risposte: una formale e una sostanziale. La risposta formale è che, oggi, l’unico strumento di “commissariamento” previsto dalle norme europee è quello della troika, composta da rappresentanti della Commissione, della Bce e del Fondo monetario inernazionale. E la troika entra in azione solo qualora un Paese faccia ricorso ai prestiti europei dell’Esm, il Fondo salva-Stati che ha finora dato soldi a Irlanda, Grecia, Portogallo e Cipro. La Spagna ha ricevuto un prestito dall’Esm, ma solo per salvare alcune banche private, e dunque non è stata sottoposta al controllo della troika.
L’intervento della troika non è stato uguale in tutti i Paesi. In Irlanda e a Cipro, per esempio, che avevano un enorme buco finanziario aperto dalla crisi delle banche ma un’economia sostanzialmente sana, il direttorio europeo ha agito con mano relativamente leggera. In Grecia, invece, dove il dissesto era provocato oltre che dalla falsificazione dei conti pubblici anche da una cronica mancanza di competitività, la troika ha agito con durezza esigendo tagli sanguinosi alla spesa pubblica e riforme sociali molto dolorose. In entrambi i casi la cura ha funzionato. Ma il paziente greco ha rischiato seriamente di morire perla medicina somministratagli pagando un prezzo altissimo in termini sociali. E proprio questo potrebbe essere il caso dell’Italia, il cui problema principale, oltre all’enorme debito pubblico, è la scarsa competitività di un sistema-Paese oppresso da una burocrazia tanto invadente quanto inetta.
Ma l’Italia, al momento, non sembra correre il rischio di vedersi messa sotto il controllo della troika. Per due motivi. Il primo è che la congiuntura favorevole dei mercati sta mantenendo i tassi di interesse molto bassi e dunque il Paese per ora è in grado di sostenere l’enorme debito pubblico senza dover ricorrere ai prestiti europei. II secondo è che un’ipotetica bancarotta italiana sarebbe talmente disastrosa che neppure l’intervento dell’Esm potrebbe scongiurarla E senza intervento del Fondo salva Stati non ci sarebbe intervento della troika, che è sostanzialmente un comitato di creditori.
Tuttavia proprio per questi motivi l’Italia, Paese “too big to fail”, si trova ancora una volta nella difficile condizione di osservato speciale delle autorità monetarie europee e internazionali. Se non riprende la strada della crescita, Roma non potrà continuare per molto a rimborsare un debito che diventa sempre più pesante con il diminuire del reddito prodotto. E la crescita, è convinzione comune, può arrivare solo con una serie di radicali riforme strutturali che taglino la spesa inutile, avviino le privatizzazioni tante volte annunciate, riformino il mercato del lavoro e restituiscano al Paese una amministrazione pubblica efficiente, dalle Regioni al fisco, dalla giustizia alla scuola, alla sanità. È essenziale, per evitare un collasso dell’Italia e un tracollo dell’euro, che queste riforme, tante volte promesse e mai attuate, vengano finalmente rese operative.
La richiesta di Draghi di una «cessione di sovranità» su questa materia costituisce dunque anche la risposta sostanziale alla domanda sul rischio di commissariamento dell’Italia. L’Italia deve dare garanzie ai partner europei che le riforme tante volte promesse verranno finalmente attuate. E queste garanzie devono essere concrete e verificabili perché, anche in Europa, la politica degli annunci non basta più.
Come ottenere questo risultato senza ricorrere alla troika? La risposta potrebbe essere nei cosiddetti “accordi contrattuali”, che la Commissione e il Consiglio stanno studiando da tempo. In pratica, un governo firma un accordo specifico con Bruxelles in cui si impegna a realizzare riforme precise, dettagliate e scadenziate nel tempo (dall’approvazione delle norme alla loro attuazioneconcreta). E in cambio riceve dall’Europa l’autorizzazione a rinviare, per un periodo determinato, gli aggiustamenti di bilancio a cui sarebbe tenuto in base alle norme comuni. Nel caso dell’Italia, per esempio, fermo restando il rispetto del deficit al 3%, il governo potrebbe evitare la drastica riduzione del debito a cui sarebbe tenuto, senza per questo incorrere in una procedura di infrazione cherisulterebbealtrimenti inevitabile.
Sarebbe nell’ interesse dell’ Italia che questi “accordi contrattuali” prendessero forma al più presto proprio per evitare forme di commissariamento più invasive. E comunque, anche se gli accordi non dovessero essere concretizzati in forma giuridica, sarà questa l’unica strada che il governo potrà percorrere presentando a Bruxelles uno scadenziario di riforme concrete in cambio della tanto auspicata “flessibilità” nel giudizio sui nostri malandati conti pubblici.