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Evasione, la Ue dice addio al segreto bancario

Evasione, la Ue dice addio al segreto bancario

Andrea Bonanni – La Repubblica

Dopo decenni di battaglie, i governi hanno decretato ieri la fine del segreto bancario in Europa. I ventotto ministri delle Finanze dell’Unione, sotto la presidenza dell’italiano Pier Carlo Padoan, hanno finalmente trovato un accordo nella loro riunione a Lussemburgo per aderire ad un meccanismo di scambio automatico di informazioni tra le amministrazioni che prevede tra l’altro anche quelle relative ai dati bancari oltre che ai redditi da lavoro, alle pensioni, ai redditi patrimoniali e immobiliari. In pratica qualsiasi amministrazione fiscale potrà ottenere in modo automatico dalla controparte di un altro stato membro tutte le informazioni patrimoniali relative ad un proprio contribuente che abbia redditi, depositi o immobili in quel Paese.

L’accordo che, come ha spiegato Padoan, «costituisce una pietra miliare nella lotta contro l’evasione fiscale», è stato possibile grazie al fatto che Austria e Lussemburgo hanno rinunciato ad opporre il veto che avevano mantenuto per anni contro qualsiasi decisione in materia. La svolta è maturata dopo che in seno all’Ocse e al G-20 si era formato un consenso generale tra i governi interessati per generalizzare lo scambio di informazioni in modo da mettere un freno all’evasione fiscale.

La direttiva, che era stata proposta più di un anno fa dalla Commissione europea, entrerà in vigore al primo gennaio dell’anno prossimo. Ma il meccanismo di scambio automatico, che richiede l’adozione di uno speciale software da parte delle amministrazioni fiscali degli stati membri, diventerà operativo solo entro il 2017. L’Austria, che ieri ha dato il proprio accordo politico all’intesa, ha chiesto e ottenuto una proroga dì un anno per adeguarsi alle nuove norme, e dunque entrerà a far parte del sistema solo a partire dal 2018. Il Lussemburgo, invece, ha fatto sapere che si adeguerà al sistema di scambio automatico entro i tempi previsti.

L’accordo, naturalmente, aumenta enormemente la pressione sugli altri paradisi bancari del Continente. La Commissione europea ha ricevuto mandato dal Consiglio di chiudere i negoziati per cooptare nel meccanismo di informazioni la Svizzera, San Marino, il Liechtenstein, il principato di Monaco e Andorra. I governi di questi cinque Paesi hanno già, in linea di principio, accettato di adeguarsi alla nuova normativa europea e all’accordo delineato in sede Ocse, anche se c’è da aspettarsi che alcuni cercheranno di guadagnar tempo. Forse un po’ ottimisticamente, la Commissione ha comunicato che conta di chiudere il negoziato con questi Paesi entro la fine dell’anno. Ieri tra l’altro, il Consiglio sotto presidenza italiana ha anche concluso con la Svizzera un accordo che pone fine al contenzioso tra la Ue e la Confederazione sulla tassazione delle imprese, e che riguardava un regime fiscale particolarmente favorevole che la Svizzera applicava alle società che trasferivano la propria sede sul suo territorio. Un regime che molti governi europei consideravano come una forma di «concorrenza fiscale» sleale.

I veri fantasmi di Bruxelles

I veri fantasmi di Bruxelles

Andrea Bonanni – La Repubblica

«Tutto bene», assicura Matteo Renzi dopo l’incontro segreto con Mario Draghi in villeggiatura in Umbria. Tuttavia se il premier sente il bisogno di prendere un elicottero per andare a disturbare le privatissime vacanze del presidente della Bce, è legittimo immaginare che abbia avuto urgenti questioni da risolvere. Specie dopo che Draghi ha spiegato come la recessione italiana sia dovuta alla insufficienza delle riforme promesse dal governo. E dopo che Renzi, in una intervista al Financial Times, ha replicato con un secco «non ci faremo commissariare». Ma quanto è reale il rischio di un cornmissariamento europeo dell’Italia? E quanto peserà, nei mesi a venire, la richiesta di Draghi che i governi nazionali cedano sovranità anche sulle riforme strutturali, dopo aver ceduto a Bruxelles la sovranità sui loro conti pubblici? Perché di questo è lecito immaginare che abbiano discusso il capo del governo italiano e il presidente della Bce nelle due ore e mezza del loro incontro riservato.

Alla prima domanda esistono due risposte: una formale e una sostanziale. La risposta formale è che, oggi, l’unico strumento di “commissariamento” previsto dalle norme europee è quello della troika, composta da rappresentanti della Commissione, della Bce e del Fondo monetario inernazionale. E la troika entra in azione solo qualora un Paese faccia ricorso ai prestiti europei dell’Esm, il Fondo salva-Stati che ha finora dato soldi a Irlanda, Grecia, Portogallo e Cipro. La Spagna ha ricevuto un prestito dall’Esm, ma solo per salvare alcune banche private, e dunque non è stata sottoposta al controllo della troika.

L’intervento della troika non è stato uguale in tutti i Paesi. In Irlanda e a Cipro, per esempio, che avevano un enorme buco finanziario aperto dalla crisi delle banche ma un’economia sostanzialmente sana, il direttorio europeo ha agito con mano relativamente leggera. In Grecia, invece, dove il dissesto era provocato oltre che dalla falsificazione dei conti pubblici anche da una cronica mancanza di competitività, la troika ha agito con durezza esigendo tagli sanguinosi alla spesa pubblica e riforme sociali molto dolorose. In entrambi i casi la cura ha funzionato. Ma il paziente greco ha rischiato seriamente di morire perla medicina somministratagli pagando un prezzo altissimo in termini sociali. E proprio questo potrebbe essere il caso dell’Italia, il cui problema principale, oltre all’enorme debito pubblico, è la scarsa competitività di un sistema-Paese oppresso da una burocrazia tanto invadente quanto inetta.

Ma l’Italia, al momento, non sembra correre il rischio di vedersi messa sotto il controllo della troika. Per due motivi. Il primo è che la congiuntura favorevole dei mercati sta mantenendo i tassi di interesse molto bassi e dunque il Paese per ora è in grado di sostenere l’enorme debito pubblico senza dover ricorrere ai prestiti europei. II secondo è che un’ipotetica bancarotta italiana sarebbe talmente disastrosa che neppure l’intervento dell’Esm potrebbe scongiurarla E senza intervento del Fondo salva Stati non ci sarebbe intervento della troika, che è sostanzialmente un comitato di creditori.

Tuttavia proprio per questi motivi l’Italia, Paese “too big to fail”, si trova ancora una volta nella difficile condizione di osservato speciale delle autorità monetarie europee e internazionali. Se non riprende la strada della crescita, Roma non potrà continuare per molto a rimborsare un debito che diventa sempre più pesante con il diminuire del reddito prodotto. E la crescita, è convinzione comune, può arrivare solo con una serie di radicali riforme strutturali che taglino la spesa inutile, avviino le privatizzazioni tante volte annunciate, riformino il mercato del lavoro e restituiscano al Paese una amministrazione pubblica efficiente, dalle Regioni al fisco, dalla giustizia alla scuola, alla sanità. È essenziale, per evitare un collasso dell’Italia e un tracollo dell’euro, che queste riforme, tante volte promesse e mai attuate, vengano finalmente rese operative.

La richiesta di Draghi di una «cessione di sovranità» su questa materia costituisce dunque anche la risposta sostanziale alla domanda sul rischio di commissariamento dell’Italia. L’Italia deve dare garanzie ai partner europei che le riforme tante volte promesse verranno finalmente attuate. E queste garanzie devono essere concrete e verificabili perché, anche in Europa, la politica degli annunci non basta più.

Come ottenere questo risultato senza ricorrere alla troika? La risposta potrebbe essere nei cosiddetti “accordi contrattuali”, che la Commissione e il Consiglio stanno studiando da tempo. In pratica, un governo firma un accordo specifico con Bruxelles in cui si impegna a realizzare riforme precise, dettagliate e scadenziate nel tempo (dall’approvazione delle norme alla loro attuazioneconcreta). E in cambio riceve dall’Europa l’autorizzazione a rinviare, per un periodo determinato, gli aggiustamenti di bilancio a cui sarebbe tenuto in base alle norme comuni. Nel caso dell’Italia, per esempio, fermo restando il rispetto del deficit al 3%, il governo potrebbe evitare la drastica riduzione del debito a cui sarebbe tenuto, senza per questo incorrere in una procedura di infrazione cherisulterebbealtrimenti inevitabile.

Sarebbe nell’ interesse dell’ Italia che questi “accordi contrattuali” prendessero forma al più presto proprio per evitare forme di commissariamento più invasive. E comunque, anche se gli accordi non dovessero essere concretizzati in forma giuridica, sarà questa l’unica strada che il governo potrà percorrere presentando a Bruxelles uno scadenziario di riforme concrete in cambio della tanto auspicata “flessibilità” nel giudizio sui nostri malandati conti pubblici.