La prima e decisiva riforma di Renzi
Il Foglio
Non si sa ancora cosa accadrà in Parlamento sulla legge di stabilità ma una cosa è certa: l’incontro fra sindacati e rappresentanti del governo ha sancito la fine della concertazione come politica economica dello stato. I ministri delegati ad ascoltare i sindacati hanno risposto a monosillabi sulle loro richieste di “concessioni”. Il succo era: i sindacati facciano le passerelle in piazza e indichino le loro correzioni specifiche, poi noi vedremo se tenerne conto ma non contrattiamo il loro consenso. Renzi ha chiarito il concetto dicendo che il governo non chiede “permesso” perché “le leggi non si scrivono con i sindacati ma in Parlamento”. E ha aggiunto: “Forse in Italia è arrivato il momento che ciascuno torni a fare il suo mestiere”. La frase più significativa è quella finale: “Le trattative le organizzazioni sindacali devono invece farle, giustamente, con le imprese”. Il premier invita i sindacati a dialogare con le aziende e non solo con la Confindustria che tiene al suo monopolio dei contratti di lavoro e si cura delle grandi imprese. L’esecutivo vuole la disintermediazione, rompere il filo tra politica e parti sociali, per approdare a un mercato del lavoro che privilegi i contratti aziendali. La Confindustria fatica ad ammettere che la concertazione è finita anche per lei tant’è che plaude alla deduzione dell’Irap per i contratti a tempo indeterminato, graditi alle grandi società, ma poi glissa sugli incentivi per i contratti di produttività, rivolti alle piccole. Se lo dicesse, apparirebbe chiaro pure ai mercati che il governo Renzi ha avviato la madre di tutte le riforme: la fine della concertazione che garantiva impropri poteri sia sindacali sia confindustriali.