Vicolo cieco
Davide Giacalone – Libero
Ci siamo infilati in un vicolo cieco. Lo percorriamo con baldanza, ma sempre budello ostruito è. Per rendersene conto si leggano, con attenzione e senza inutili polemiche, le cose dette dal ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, in Parlamento: la pressione fiscale diminuirà nel 2015, ma tornerà a crescere dal 2016. La diminuzione, come si legge nella legge di stabilità, è prevista in appena lo 0,1%. Non solo ci vorrà il microscopio, per vederla, ma sarà annullata dalla crescita delle addizionali locali. Se anche così non fosse, comunque è previsto che cresca dello 0,4 nel 2016. E il cielo non voglia che scattino le clausole di salvaguardia, altrimenti sarà uno schizzo poderoso. Posto che la disoccupazione non è prevista mai in discesa sotto il 12% e il prodotto interno lordo non è previsto mai in crescita più dell’1% (considerato già meta da sogno, comunque insufficiente), se ne trae la conclusione che siamo in un vicolo cieco.
Supporre di servire il debito pubblico, che intanto cresce, usando solo gli avanzi primari, in un’economia che non cresce, non è neanche un vicolo cieco, ma un nodo scorsoio. Di operazioni straordinarie non se ne vedono all’orizzonte. I dossier Cottarelli restano chiusi nel cassetto. Anzi, se Enrico Letta disse di volere usare il cacciavite, non essendo riuscito a trovare l’impanatura, Matteo Renzi ha promesso il caterpillar, ma fin qui siamo alle pinzette per la depilazione.
Sarebbe sciocco, oltre che inutile, attribuire tutte le responsabilità agli attuali governanti. Ma è non meno sciocco, e ancor più inutile, pretendere di negare la realtà. Nella legge di stabilità non solo mancano i tagli profondi della spesa pubblica, ma si opera in deficit senza che questo favorisca la ripresa. Non solo mancano le vendite di patrimonio per abbattere il debito, ma si consentono porcherie come la quotazione di Rai Way, che dismette patrimonio per foraggiare spesa corrente. Dov’è, allora, il punto di rottura oltre il quale si dovrebbe cambiare andazzo, o verso? Rispondere che consiste nelle riforme in cantiere, posto che su quelle (dal lavoro alla giustizia) c’è gran clangore di spade politiciste, gran vociare di pupi avversi, ma opacità profonda circa le concrete misure e i loro effetti nella realtà, è propagandismo spicciolo. Tanto non ha senso, una risposta di quel tipo, che ora si puntano gli occhi sulle manovre europee, a cominciare dai 300 miliardi di cui parla il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker.
Ammesso (e non concesso) che quei soldi esistano, noi e i francesi stiamo facendo di tutto per dare scuse a chi non vuole utilizzarli. Non è tanto la polemica sui burocrati, che di suo è insensata (piuttosto: nelle istituzioni europee c’è certamente troppa burocrazia, spesso ottusa, come tutte le burocrazie, ma noi italiani manchiamo di alti burocrati capaci e influenti, da quelle parti, avendo continuato a spedirci gli altrimenti non collocabili). Quanto l’ostinarsi a non capire che le politiche espansive, che siano monetarie o frutto d’investimenti pubblici, richiedono rigore nell’amministrazione della spesa pubblica, altrimenti ci si indebita per niente. Tecnica che noi conosciamo bene. Se non si stoppa la spesa corrente improduttiva l’espansione monetaria somiglia alle trasfusioni fatte a un signore con la giugulare aperta: più pompi e più svasi. Vedo medici pazzi che corrono dicendo: più sangue, altrimenti muore. Ne serve uno che sappia cucire, in modo da rendere sensato il sangue trasfuso.
I numeri che il governo stesso mette nero su bianco descrivono una cartella clinica da morte celebrale. Il paziente non reagisce. Poi, per carità, facciamo un regalo all’imminente vedova, con 80 euro al mese, e uno alla figlia, con 80 euro per l’allattamento, ma non si riprende un accidente, dato che prendiamo 81 euro allo zio che ha comprato un appartamento e 82 al cugino che ha dei risparmi. Fatti i conti: a quella famiglia freghiamo i soldi. Fa rabbia, perché una tale sorte non è affatto ineluttabile. Gli strumenti per cambiare direzione di marcia ci sono eccome. Ma qui ci si trastulla litigando, sperando che le mazzate nascondano il vuoto retrostante.