Gli italiani hanno un asso nella manica. Aumentare la percentuale di laureati e giocarsi il futuro sulla forza intellettuale
Giuseppe Pennisi – Avvenire
Se si leggono con cura le 280 pagine del Rapporto Istat si nota un nesso poco trattato in documenti analoghi e nel dibattito di politica economica: il link tra mercato del lavoro, proprietà intellettuale ed istruzione. In primo luogo, in materia di indicatori salienti del mercato del lavoro e proprietà intellettuale, l’Italia appare in posizione asimmetrica rispetto al resto d’Europa. Il tasso di occupazione cresce (+0,2% nel 2014) ma meno della media europea e si assesta al 55,7% di coloro in età da lavoro (per raggiungere la media europea dovremmo avere tre milioni e mezzo di occupati in più). Siamo tre punti percentuali in meno di quanto rilevato nel 2008. Pure asimmetrica la contrazione degli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale che caratterizza l’Italia (-1,5% tra il 2008 ed il 2014); nello stesso periodo, gli investimenti in ricerca e sviluppo (una determinante degli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale) sono aumentati dell’11,8% nella media europea. Un dato importante soprattutto per la scuola di pensiero secondo cui fantasia ed ingegnosità ci tireranno comunque fuori dalla crisi. Senza investimenti in prodotti della proprietà intellettuale, l’occupazione resta al palo (sotto questo profilo i due indicatori sono simmetrici tra di loro, ma divergenti dal resto d’Europa).
Invece, il nesso tra occupazione ed istruzione, dopo una fase di incertezza (in parte da collegarsi con l’introduzione ed il rodaggio della nuova struttura – 3 + 2 – dell’istruzione di terzo livello), torna ad essere simmetrico sia con il resto d’Europa sia con l’Italia del passato. I lavoratori in possesso di laurea trovano un’occupazione più presto e sono pagati di più (le donne il 28,9% in più, gli uomini il 67,9% in più) di coloro con un diploma di scuola secondaria superiore. Ci sono naturalmente differenze su base territoriale e professionale. In breve, ciò vuol dire che studiare rende, e rende bene. Se dal generale si va al caso particolare dei dottorati di ricerca (di norma, la categoria maggiormente connessa agli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale), il Rapporto ci dice che a quattro anni dal conseguimento del dottorato, il 91,5% dei ‘dottori’ del 2010 e il 98% dei ‘dottori’ del 2008 sono occupati – oltre il 97% nelle aree disciplinari di ingegneria e informatica, ma anche l’88,7% e l’87,6 nelle discipline letterarie. Questi dati, da un lato, forniscono indirizzo su dove deve andare l’istruzione ma, da un altro, confermano che l’Italia ha almeno un ingrediente per migliorare la propria posizione in investimenti in proprietà intellettuale per uscire dalla crisi. Gli altri due – la liquidità ed i risultati operativi delle imprese – dipendono dalla Banca centrale europea e dalle capacità degli imprenditori.