Uno dei settori più bisognosi di riforme è quello delle locazioni a uso commerciale, ancora vincolato da una legge di 40 anni fa (il ben noto e famigerato “equo canone”) che per tanti aspetti è riuscita a non subire modifiche su questo punto nonostante le lenzuolate delle vere o presunte liberalizzazioni. Si tratta di una normativa che ingessa il settore e che, a dispetto delle intenzioni, finisce per danneggiare un gran numero di soggetti intenzionati ad aprire un negozio. Basti pensare che i contratti commerciali devono essere almeno di 12 o addirittura 18 anni. Il legislatore voleva tutelare l’impresa a danno della proprietà dell’immobile, ma a ben guardare ha fatto danni in entrambe le direzioni. Non potendo cedere in locazione un locale per periodi più brevi, molti proprietari tengono in effetti il proprio bene fuori dal mercato e producono così quella rarefazione che fatalmente fa alzare i prezzi. Ogni volta che si va contro il mercato, d’altra parte, ci si deve aspettare che quest’ultimo in qualche modo “reagisca”.
Per di più il proprietario non può nemmeno chiedere che i canoni aumentino, eccezion fatta per un parziale adeguamento all’inflazione. E anche questo viola quella libertà contrattuale senza la quale non abbiamo una società libera. Il ceto politico italiano non vuole proprio comprendere che ogni manipolazione dei prezzi di mercato produce un degrado della vita economica. Sembra che la società nel suo insieme, a dire la verità, non avverta l’urgenza di sottrarre il processo normativo al controllo che su di essa esercitano le corporazioni più organizzate e influenti. E in questo caso appare chiaro come una miope lettura degli interessi dei commercianti (di alcuni di loro, a dire il vero) impedisca d’immettere un po’ di libertà in questo settore.
Va anche ricordato come l’intero ambito della proprietà immobiliare, e quindi anche le unità dedicate alle attività commerciali, negli ultimi anni abbia subito un salasso fiscale senza precedenti. A questo punto siamo di fronte a una sorta di “sovietizzazione” che sta progressivamente sottraendo ai legittimi proprietari ogni forma di controllo sui loro beni: per il possesso dei quali devono destinare allo Stato somme crescenti, devono accettare tempi contrattuali e canoni imposti per legge, devono subire vincoli che rendono assai difficile e costoso modificare la destinazione ad altro impiego. Lo Stato è ormai il super-proprietario di ogni così e questo si vede dinanzi a ogni proprietà: mobiliare o di altro tipo. Ma nel caso degli immobili a uso commerciale siamo forse arrivati a una situazione estrema, che davvero non ha paragoni. Di recente ci si è orientati a permettere l’uscita da questa trappola normativa, che inibisce ogni negoziazione tra proprietario e locatario, almeno per le realtà di grandi dimensioni e cioè quando i canoni annui superano i 250 mila euro all’anno. È un passo positivo, ma riguarda solo un numero limitato di casi e non ha alcuna rilevante conseguenza sul mercato immobiliare nel suo insieme.
In Parlamento c’è stato chi, intervenendo sul decreto Sblocca Italia, ha pure provato a favorire una qualche liberalizzazione del settore, ma si è trovato di fronte a un muro. Una volta di più l’alleanza tra l’insipienza del ceto politico e il cinismo demagogico di qualche responsabile di categoria ha finito per avere la meglio.
Su questo, per ora, l’Italia sembra proprio non sbloccarsi: e questa non è per nulla una buona notizia.