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Edilizia: nel periodo 2010-2016 Italia agli ultimi posti in Europa per andamento di produzione, ore lavorate e permessi di costruzione

Edilizia: nel periodo 2010-2016 Italia agli ultimi posti in Europa per andamento di produzione, ore lavorate e permessi di costruzione

L’andamento del mercato delle costruzioni tra il 2010 e il 2016 ha registrato un crollo verticale dell’Italia di tutti i suoi indicatori: produzione, ore lavorate e permessi di costruzione. Il nostro Paese si colloca così agli ultimi posti delle rispettive classifiche tra tutti i Paesi dell’Unione europea a 28, in quanto ad arretramento nel periodo temporale considerato. È quanto risulta da una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro realizzata su elaborazione di dati Eurostat.

Produzione nel settore delle costruzioni

L’indicatore misura le variazioni complessive nel volume di output del settore costruzioni, depurate dall’inflazione. In buona sostanza misura l’andamento del volume della produzione nel settore e la sua variazione dal 2010 al 2016. L’Italia fa segnare un arretramento del 32,2%: in Europa solo Slovenia (-45%), Cipro (-47%), Portogallo (-47,1%) e Grecia (-47,6%) fanno peggio mentre tutti i nostri principali competitor registrano viceversa dati nettamente più positivi. Se la Francia e la Spagna arretrano rispettivamente del 12,9% e del 3,2%, altri Paesi registrano invece un andamento fortemente positivo: Germania (+7,6%), Regno Unito (+11,3%) e Irlanda (+25,1%). Desta soprattutto impressione che il dato italiano registri un andamento 8 volte peggiore di quello registrato dalla media dei Paesi dell’Unione europea a 28: -32,2% contro -3,9%.

Ore lavorate

Crollano simultaneamente anche le ore lavorate, uno degli indicatori che misura con maggior precisione l’andamento dell’occupazione di questo settore. Sempre rispetto al 2010, in Italia nel 2016 si sono lavorate nel settore costruzioni quasi un terzo in meno delle ore (-28,6%), con evidenti ripercussioni sull’occupazione e sul numero di lavoratori lasciati a casa dalle aziende in crisi. In Europa solo Cipro (-41,0%) e Portogallo (-44,1%) registrano un dato peggiore del nostro. Tutti i nostri principali competitor segnalano invece dati nettamente più positivi. Arretrano anche la Grecia (-17,4%) e la Francia (-9.6%) ma in misura decisamente più contenuta della nostra. Le ore lavorate aumentano invece in Gran Bretagna (+11,2%), in Germania (+11,8%) e soprattutto in Irlanda (+32,6%). In particolare va sottolineato come il dato italiano nel periodo di riferimento risulti quasi 17 volte peggiore di quello della media dei Paesi dell’Unione europea a 28 (-28,6% contro -1,7%).

Permessi di costruzione

A trainare verso il basso il nostro mercato delle costruzioni c’è certamente anche l’andamento dei permessi di costruzione concessi per l’edificazione di nuove residenze civili: il loro numero, rispetto al 2010, si è più che dimezzato facendo registrare un preoccupante -65,7%. Questo è un importante indicatore del ciclo economico poiché fornisce alcune informazioni sul carico di lavoro nell’industria edile nel prossimo futuro. In Europa solo Cipro (-74,5%) e Grecia (-86,2%) registrano un dato peggiore del nostro. Se in generale la media dei Paesi dell’Unione europea a 28 risulta stabile (-0,1%), diversi nostri competitor assistono a una flessione del dato: Francia (-4,8%), Irlanda (-11,4%), Portogallo (-52,9%) e Spagna (-53,4%). Va infine osservato come una crescita a ritmi molto sostenuti sia invece riuscita al Regno Unito (31,2%) e soprattutto alla Germania (+80,6%). Anche in questo caso desta allarme la straordinaria sproporzione del dato italiano con la media dei Paesi dell’Unione europea a 28 (-65,7% contro -0,1%).

«I dati evidenziati dalla nostra ricerca son a tal punto negativi da non poter essere giustificati solamente dalla crisi economica ormai sistemica in cui si dibatte il nostro Paese» osserva Massimo Blasoni, imprenditore e presidente del Centro studi ImpresaLavoro. «A incidere vi sono i provvedimenti adottati via via dagli ultimi governi (Monti, Letta, Renzi), che hanno finito per trasformare la casa da “bene rifugio” in “bene incubo”. A un prolungato blocco del mercato immobiliare (che solo adesso sembra registrare tenui segnali di risveglio) è così corrisposto quello ben più pericoloso dell’intero comparto delle costruzioni, che da sempre costituisce uno dei maggiori traini dell’intera economia. Le nostre performance sono da ultimi della classe: un dato che davvero non può non allarmare».

Così il patrimonio pubblico viene svalutato sul mercato

Così il patrimonio pubblico viene svalutato sul mercato

Massimo Blasoni – Il Tempo

Alloggi occupati illegalmente, famiglie che avrebbero diritto a una casa popolare che rimangono per strada, patrimonio immobiliare pubblico in affitto a prezzi stracciati agli amici degli amici: la cronaca ci propone ciclicamente una pletora di esempi di come lo Stato imprenditore nel settore immobiliare sia completamente fallito. E questo vale sia per gli immobili che Comuni, Regioni, enti pubblici possiedono come proprio patrimonio e fanno rendere pochissimo (lo si venda subito, piuttosto che concederlo a prezzi irrisori a partiti, associazioni amiche, parlamentari dello stesso colore politico) sia con riferimento al più generale tema delle politiche abitative.

In tema di edilizia popolare, lo Stato ha finanziato enti che hanno costruito (a prezzi fuori mercato) case da destinare alle famiglie bisognose, ha scelto a chi dovessero essere concesse e infine ha deciso che la tale famiglia dovesse per forza di cose andare ad abitare in quel determinato appartamento. Risultato? Il valore del patrimonio immobiliare pubblico continua a deteriorarsi e i flussi di cassa derivanti dai canoni agevolati sono spesso inesigibili perché gli stabili sono occupati da chi non ne avrebbe diritto o perché gli inquilini sono morosi.

Una soluzione liberale a questo problema esiste e consiste nella privatizzazione. Alle famiglie bisognose si potrebbe erogare un sussidio finanziario finalizzato all’affitto di un immobile. Che non dovrà essere costruito, mantenuto, controllato dal Comune o dall’agenzia pubblica per l’edilizia popolare locale ma potrà essere liberamente contrattato nel mercato. Le famiglie potrebbero vivere in contesti da loro scelti e smetteremmo di finanziare aziende per l’edilizia popolare, cda, presidenti, direttori.

Una transizione morbida tra questi due modelli potrebbe poi avvenire con un piano di dismissione degli alloggi pubblici a favore di chi oggi ci abita e che potrebbe riscattare l’abitazione a prezzi convenienti (con l’affitto trasformato in mutuo) o ancora di cessione del patrimonio a strumenti di gestione immobiliare avanzata (fondi, società immobiliari private, ecc.) sottoposti a controllo pubblico. Tutto quello, insomma, che oggi non avviene.

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Edilizia, serve velocizzare

Edilizia, serve velocizzare

Massimo Blasoni – Metro

In Italia per un permesso a costruire si attendono mediamente 233 giorni, in Germania 96, in Danimarca 64, negli Stati Uniti 78, nel Regno Unito 105. Negli ultimi 5 anni la richiesta di costruzione si è dimezzata per la crisi (dal 2008 a oggi il comparto ha registrato un calo del 23,78% degli occupati, pari a 464mila posti di lavoro) ma i tempi per l’ottenimento di una licenza edilizia non sono cambiati. È un evidente controsenso: il numero degli addetti pubblici non è diminuito e la mole di lavoro si è dimezzata. Con evidenti ricadute negative per i cittadini, per le imprese, per il nostro Pil che non riparte.

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Moles: “Meno tasse per rilanciare l’edilizia italiana”

Moles: “Meno tasse per rilanciare l’edilizia italiana”

di Giuseppe Moles*

Storicamente l’edilizia ha sempre fatto da motore all’intera economia permettendo lo sviluppo, diretto e indiretto, di tanti altri settori; si tratta di un settore cruciale per l’intera economia nazionale perché ad alta intensità di lavoro, con un indotto enorme e a basso contenuto di importazione.

Dal rapporto di ImpresaLavoro emerge invece un quadro a tinte fosche, costellato da segni negativi per quanto riguarda le imprese e l’occupazione: una crisi che sembra non finire mai, con il settore dell’edilizia che continua a registrare un calo preoccupante di lavoro, investimenti e occupazione. Tutto ciò non deve meravigliare: in Italia negli ultimi anni si è privilegiata l’imposizione elevatissima sugli immobili, cioè un esproprio surrettizio essenzialmente motivato dalla crescente necessità, per lo Stato, di disporre di sempre più denaro.

Ridurre le tasse sugli immobili, invece, significa lasciare più soldi a investitori, lavoratori e consumatori, con tutto quello che ne discende, e quindi favorire un rilancio dell’edilizia ed il suo infinito indotto. Solo riducendo drasticamente i balzelli che gravano sugli immobili l’edilizia potrebbe poco per volta riprendersi, creando occupazione e reddito e facendo così aumentare gli incassi del fisco, perché tassare gli immobili non solo non frutta ma, al contrario, riduce le entrate tributarie: le imposte sulla casa non solo soltanto inique, sono anche controproducenti perché riducono le entrate delle amministrazioni pubbliche.

Queste ovvietà sono del tutto ignorate dai nostri governanti, a testimonianza dell’analfabetismo economico della classe politica: ne deduco che nessuno dei nostri governanti degli ultimi anni si sia dato la briga di seguire un corso d’introduzione all’economia. Mi consola il fatto che, finché non la tasseranno, la speranza è un lusso che possiamo permetterci.

* membro dell’ufficio di presidenza di Forza Italia, fondatore di “Rivolta l’Italia

Come la crisi ha cambiato l’occupazione: crollano le costruzioni, bene i servizi

Come la crisi ha cambiato l’occupazione: crollano le costruzioni, bene i servizi

È quello delle costruzioni il comparto che ha registrato il calo più elevato di occupati dal 2008 ad oggi, perdendo il 23,78% degli addetti in sette anni: un’emorragia di 464mila posti di lavoro che non si è fermata nemmeno negli ultimi due anni, quando gli altri settori hanno fatto segnare timidi segnali di ripresa, perdendo rispetto al 2013 64mila900 posti.

Costruzioni

Più contenuto il calo degli occupati in Agricoltura (-3,35%) e nell’Industria (-8,76%) con entrambi i settori che hanno visto crescere negli ultimi due anni il numero dei propri addetti: + 26mila300 occupati in agricoltura e +48mila occupati nell’industria.

Cresce l’occupazione nei servizi che è già oggi oltre i livelli fatti registrare prima della crisi (+1,74%): 267mila nuovi posti di lavoro, di cui ben 233mila negli ultimi due anni, a maggior dimostrazione di come sia il terziario il settore che sta trainando maggiormente la ripresa dell’occupazione nel nostro paese.

L’analisi dei livelli occupazionali nelle singole regioni italiane evidenza come in una sola regione italiana, la Liguria,  il numero degli addetti nel settore delle costruzioni sia in linea con i valori fatti registrare prima della crisi (+0,94%). In tutto il resto del paese la percentuale di occupati nell’edilizia arretra sensibilmente, con punte del 46,67% in Molise, del 39,09% in Calabria e del 38,73% in Sicilia. A soffrire non è  solo il Sud: l’occupazione nelle costruzioni cala nettamente anche in Emilia Romagna (-29,33%), Valle d’Aosta (-29,16%) e Umbria (-29,14%) Nelle altre regioni del Nord il calo è più contenuto, ma comunque  marcato: in Lombardia gli occupati nel settore costruzioni scendono del 22,77%, in Piemonte del 16,73%, in Trentino del 15,63%.

L’Agricoltura fa segnare generalmente cali dei livelli occupazionali più modesti, con otto regioni italiane che registrano oggi un numero di occupati nel settore superiore a quello del 2008. Si tratta di Marche (+31,75%), Abruzzo (+30,01%), Toscana (+17,91%), Sardegna (+13,26%), Lazio (+12,43%), Friuli Venezia Giulia (+10,96%), Veneto (+5,88%) e Lombardia (+4,75%). Sono due regioni del Sud, invece, a far segnare il record negativo di posti persi nel settore: in Molise l’occupazione agricola cala del 40,49% e in Puglia del 23,54%.

Agricoltura

Nel settore industriale sono ben lontane dai livelli occupazionali pre-crisi praticamente tutte le regioni del nord del Paese, storicamente sede delle principali imprese manifatturiere ed industriali: la Lombardia perde rispetto al 2008 il 3,64% degli occupati nel settore, il Veneto il 14,04%, il Piemonte il 7,10%, il Friuli Venezia Giulia l’8,84%. Va Meglio l’Emilia Romagna che oggi registra l’1,76% di occupati in più nel settore rispetto a sette anni fa ed è, assieme alla Basilicata, la regione in cui la crisi del comparto si è percepita di meno. Sardegna (-23,45%), Calabria (-20,37%), Puglia (-20,34%) e Liguria (-17,56%) sono le quattro regioni che per converso fanno registrare i cali più consistenti.

Industria

I servizi, come detto, trainano la ripresa: il Lazio da solo (+9,55% di occupati nel settore rispetto al 2008) contribuisce a più di metà della crescita del comparto rispetto agli anni pre-crisi. Segue il Trentino Alto Adige (+8,54% ma con numeri in valore assoluto molto più limitati), Toscana (+5,43%) e Umbria (+4,78%). Soffre anche in questo comparto il Sud del paese: l’Abruzzo perde l’11,46% degli occupati, la Calabria il 9,31%, la Sicilia il 4,40%.

Servizi

Affitti immobiliari? Nessuna liberalizzazione

Affitti immobiliari? Nessuna liberalizzazione

di Carlo Lottieri

Uno dei settori più bisognosi di riforme è quello delle locazioni a uso commerciale, ancora vincolato da una legge di 40 anni fa (il ben noto e famigerato “equo canone”) che per tanti aspetti è riuscita a non subire modifiche su questo punto nonostante le lenzuolate delle vere o presunte liberalizzazioni. Si tratta di una normativa che ingessa il settore e che, a dispetto delle intenzioni, finisce per danneggiare un gran numero di soggetti intenzionati ad aprire un negozio. Basti pensare che i contratti commerciali devono essere almeno di 12 o addirittura 18 anni. Il legislatore voleva tutelare l’impresa a danno della proprietà dell’immobile, ma a ben guardare ha fatto danni in entrambe le direzioni. Non potendo cedere in locazione un locale per periodi più brevi, molti proprietari tengono in effetti il proprio bene fuori dal mercato e producono così quella rarefazione che fatalmente fa alzare i prezzi. Ogni volta che si va contro il mercato, d’altra parte, ci si deve aspettare che quest’ultimo in qualche modo “reagisca”.
Per di più il proprietario non può nemmeno chiedere che i canoni aumentino, eccezion fatta per un parziale adeguamento all’inflazione. E anche questo viola quella libertà contrattuale senza la quale non abbiamo una società libera. Il ceto politico italiano non vuole proprio comprendere che ogni manipolazione dei prezzi di mercato produce un degrado della vita economica. Sembra che la società nel suo insieme, a dire la verità, non avverta l’urgenza di sottrarre il processo normativo al controllo che su di essa esercitano le corporazioni più organizzate e influenti. E in questo caso appare chiaro come una miope lettura degli interessi dei commercianti (di alcuni di loro, a dire il vero) impedisca d’immettere un po’ di libertà in questo settore.
Va anche ricordato come l’intero ambito della proprietà immobiliare, e quindi anche le unità dedicate alle attività commerciali, negli ultimi anni abbia subito un salasso fiscale senza precedenti. A questo punto siamo di fronte a una sorta di “sovietizzazione” che sta progressivamente sottraendo ai legittimi proprietari ogni forma di controllo sui loro beni: per il possesso dei quali devono destinare allo Stato somme crescenti, devono accettare tempi contrattuali e canoni imposti per legge, devono subire vincoli che rendono assai difficile e costoso modificare la destinazione ad altro impiego. Lo Stato è ormai il super-proprietario di ogni così e questo si vede dinanzi a ogni proprietà: mobiliare o di altro tipo. Ma nel caso degli immobili a uso commerciale siamo forse arrivati a una situazione estrema, che davvero non ha paragoni. Di recente ci si è orientati a permettere l’uscita da questa trappola normativa, che inibisce ogni negoziazione tra proprietario e locatario, almeno per le realtà di grandi dimensioni e cioè quando i canoni annui superano i 250 mila euro all’anno. È un passo positivo, ma riguarda solo un numero limitato di casi e non ha alcuna rilevante conseguenza sul mercato immobiliare nel suo insieme.
In Parlamento c’è stato chi, intervenendo sul decreto Sblocca Italia, ha pure provato a favorire una qualche liberalizzazione del settore, ma si è trovato di fronte a un muro. Una volta di più l’alleanza tra l’insipienza del ceto politico e il cinismo demagogico di qualche responsabile di categoria ha finito per avere la meglio.
Su questo, per ora, l’Italia sembra proprio non sbloccarsi: e questa non è per nulla una buona notizia.
Privatizzazioni, il mattone fa flop

Privatizzazioni, il mattone fa flop

Mauro Romano – Milano Finanza

Le privatizzazioni fanno flop anche nell’immobiliare. Il 2014, che sarebbe dovuto essere l’anno del riavvio delle dismissioni pubbliche in grande stile, sarà invece ricordato come quello del loro sonoro fallimento. Non solo infatti il governo ha dovuto fare marcia indietro sul fronte della privatizzazione delle grandi aziende, a partire da Poste ed Enav, ma ora emerge che anche per quanto riguarda il mattone di Stino le previsioni non sono state rispettate. L’obbiettivo su questo fronte era incassare almeno 500 milioni di euro dalla cessione di palazzi e terreni pubblici e, come già accaduto lo scorso anno, vista la difficoltà di venderli sul mercato, era stata chiamata in campo come acquirente la Cassa Depositi e Prestiti.

L’intervento di Cdp in soccorso delle casse pubbliche, anticipato da MF -Milano Finanza a fine settembre, però quest’anno si è fermato a circa la metà di quanto previsto dal ministero dell’Economia. Secondo indiscrezioni, la doppia vendita da parte del Demanio e di alcuni enti locali, chiusa in extremis a ridosso del 31 dicembre 2014, avrebbe visto lo stacco di un assegno da circa 250 milioni da parte di Cdp. Eppure si era lavorato per mettere la maggior quantità possibile di carne al fuoco. Basti pensare che, oltre agli immobili già in mano all’Agenzia del Demanio, sono stati venduti anche asset che erano nella disponibilità di Croce Rossa, Inail, Inps e ministero della Difesa. Non solo: fin dall’autunno il Tesoro aveva allertato gli enti locali della possibilità di prendere parte all’operazione ma sindaci e governatori regionali non si sono precipitati a sfruttare l’occasione fornita dall’ormai consueta vendita di fine anno.

Dai decreti pubblicati in Gazzetta Ufficiale a fine 2014 emerge infatti che solo la Provincia di Venezia, il Comune di Firenze e quello di Torino hanno risposto alla chiamata. mettendo a punto le delibere propedeutiche alla cessione, come pure hanno fatto l’ospedale Sant’Anna di Como e l’Asl di Milano, per essere poi autorizzati a vendere a trattativa diretta gli asset così individuati alla Cdp. La Cassa anche quest’anno dovrebbe aver acquistato gli immobili, per un valore complessivo di circa 250 milioni, attraverso la controllata Cdp Investimenti sgr, che ha già un fondo ad hoc per la valorizzazione del patrimonio pubblico: il Fiv. In particolare, questi asset, come quelli già acquistati lo scorso anno, dovrebbero essere destinati al compatto Extra, sottoscritto dalla stessa Cdp con poco più di un miliardo. Una parte di questi immobili però potrebbe presto essere dirottata nell’ultima iniziativa immobiliare messa in pista dalla spa del Tesoro, ossia la creazione di un fondo dedicato allo sviluppo del turismo per favorire la gestione di importanti asset da parte di operatori specializzati, che non necessariamente dovranno acquistarne la proprietà. Proprio qui confluiranno per iniziare quattro immobili Fiv Extra che si trovano a Venezia, Bergamo, Verona e Torino, per un valore complessivo, una volta riqualificati, di 90 milioni. Ma quest’anno che tipo di immobili sono stati acquistati da Cdp? Dai decreti pubblicati alla vigilia di Natale, che riportavano gli elenchi predisposti dai venditori, si legge che tra i papabili c’erano per esempio la Cavallerizza Reale di Torino, la caserma Mameli di Milano, l’ospedale militare San Gallo di Firenze.

Immobili, 12 decreti in ritardo

Immobili, 12 decreti in ritardo

Raffaele Lungarella – Il Sole 24 Ore

Per la semplificazione e l’accelerazione delle pratiche edilizie all’appello mancano ancora diversi decreti e regolamenti attuativi delle norme di legge che negli ultimi due anni hanno puntato a rendere più fluidi i meccanismi per i lavori e a rilanciare il mercato della casa. Anche in questo campo, l’urgenza che i governi chiamano in causa per giustificare l’emanazione di decreti legge spesso svanisce quando arriva il momento di emanare direttive e decreti ministeriali per dettagliare le misure da adottare, individuare i beneficiari di eventuali agevolazioni, stabilire criteri e modalità operative. Il record nel ritardo di attuazione, in questo campo, spetta alla semplificazione per i piccoli interventi su beni vincolati.

Autorizzazione paesaggistica
Entro il 10 febbraio del 2013 il ministero per i Beni culturali avrebbe dovuto emanare un regolamento per semplificare ulteriormente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità. A maggio di quest’anno, il termine è stato spostato allo scorso 30 novembre, cioè a 32 mesi dall’entrata in vigore del decreto legge 5/2012, che per primo prevedeva il nuovo intervento. Se tutto procederà come previsto, il contatore dei mesi di ritardo dovrebbe fermarsi sul numero 37: il calendario dell’agenda per la semplificazione 2015-2017 del ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia annuncia che il regolamento sarà predisposto entro marzo 2015 . Il testo dovrà disciplinare anche gli interventi minimi per i quali l’autorizzazione paesaggistica non sarà più necessaria. Nel frattempo, il procedimento semplificato esistente oggi continuerà ad essere applicato agli interventi di lieve entità elencati nell’Allegato al Dpr 139/2010.

Ambiente
Continuano a essere applicati i criteri e le regole vigenti anche per la mancata emanazione di decreti e regolamenti in materia energetica e ambientale. La legge di stabilità per il 2014 (legge 147/2013) fissò alla fine dello scorso giugno il tempo a disposizione del ministero dell’Ambiente per dire ai Comuni come calcolare le tariffe per la copertura totale dei costi del servizio relativo ai rifiuti urbani. Ma i criteri non sono ancora stati decisi. Non è, invece, prevista scadenza per il decreto interministeriale con cui rivisitare le metodologie di calcolo per le prestazioni energetiche degli edifici e per l’installazione di fonti energetiche alternative, ma il decreto legge che ne prevede l’adozione (Dl 63/2013) è di giugno 2013.

Alberghi e condo-hotel
La mancata emanazione degli atti amministrativi può anche bloccare sul nascere la realizzazioni di alcuni programmi. È il caso di alcuni interventi da realizzare nel campo della ricettività alberghiera. Entro lo scorso 31 ottobre era atteso un decreto interministeriale con le indicazioni di beneficiari, tipi di opere ammissibili per riqualificare gli alberghi riconoscendo un credito d’imposta sulle spese sostenute per realizzare gli interventi. Inoltre, finché non arriverà il Dpcm (per la cui emanazione non c’è scadenza) di dettaglio delle iniziative, resta bloccata anche la norma, introdotta dal decreto legge Sblocca Italia, che favorisce gli investimenti per la trasformazione in hotel fino al 40% della superficie di un condominio (i cosiddetti condo-hotel).

Aiuti per la casa
Ferme per ora anche le iniziative nel settore della casa previste dal piano casa Renzi e dal recente Sblocca Italia. I ministri delle Infrastrutture e dell’Economia, con loro decreti, devono definire le caratteristiche dei contratti sottoscritti da proprietari e inquilini che vogliono beneficiare delle agevolazioni fiscali, previste dal Dl 47/2014, per favorire l’acquisto di una casa dopo almeno sette anni di affitto. L’assenza di un decreto ministeriale congela anche gli investimenti dei privati intenzionati ad acquistare, avvalendosi di una deduzione dal reddito del 20% su un prezzo fino a 300 mila euro, un’abitazione da affittare per otto anni a canone concordato o comunque più basso di quello di mercato. In entrambi questi casi non è prevista scadenza per gli atti di attuazione.

Imu e cedolare secca
Anche il Cipe è in ritardo. Entro lo scorso 27 giugno avrebbe dovuto aggiornare la lista dei Comuni ad alta tensione abitativa dove applicare la cedolare secca con aliquota al 10% alle case affittate a canone concordato, come prevede il Dl 47/2014. Intanto, resta valido l’elenco del 2004. Devono ancora attendere, infine, i contribuenti che hanno versato erroneamente la quota statale dell’Imu: i Comuni non possono rimborsarla perché, a un anno dall’approvazione della norma che lo prevede, mancano le indicazioni ministeriali.

Stabilità, deluso l’immobiliare

Stabilità, deluso l’immobiliare

Italia Oggi

La Confedilizia è stata ascoltata in audizione dalla commissione bilancio della Camera dei deputati in merito al disegno di legge di stabilità. Per la prima volta in almeno vent’anni, però, l’organizzazione storica della proprietà immobiliare non ha depositato in Parlamento un documento illustrativo della propria posizione né formulato alcuna specifica proposta. Ciò, segnala una nota della Confederazione, per denunciare in modo manifesto l’assenza di un sia pur minimo segnale di attenzione al settore immobiliare nel provvedimento principale del governo in materia economica.

La situazione di gravissima crisi in cui versa il settore immobiliare, ha rilevato la Confedilizia, è talmente conclamata che non necessita neppure di essere illustrata al Parlamento. Da tre anni a questa parte, sugli immobili si è abbattuta un’offensiva fiscale senza precedenti che ha portato i proprietari a versare nel solo 2014 quasi 28 miliardi di imposte rispetto ai 9 del 2011 e l’Italia ad avere una imposizione sul settore quasi doppia rispetto a quella media dei Paesi Ocse (2,2% contro 1,2%). Un carico tributario talmente elevato e dirompente che avrebbe messo in ginocchio qualsiasi comparto dell’economia. E che, puntualmente, ha provocato la conseguenza che è sotto gli occhi di tutti: abbattimento del valore degli immobili di duemila miliardi, vero e proprio «furto legalizzato»; riduzione dei consumi dovuta alla consapevolezza, nei proprietari, del depauperamento del proprio investimento e perdita delle garanzie per il futuro che la proprietà di un immobile dava.

Effetti, già gravissimi, ai quali se ne stanno aggiungendo due ulteriori, ancora più inquietanti, negli ultimi mesi: la distruzione delle case da parte degli stessi proprietari, per renderle non assoggettabili a tassazione, e la rinuncia ai propri beni a favore dello stato in base alla normativa del codice civile.
In questo quadro, ha sottolineato la Confedilizia, il fatto che il disegno di legge di stabilità non contenga alcuna misura per l’immobiliare e consolidi così una politica di tassazione del risparmio e dell’investimento in edilizia, non può che lasciare sconcertati. Specie se si pensa che un messaggio di fiducia come quello della riduzione di un quasi simbolico 3% delle rendite catastali, aumentate del 60% dal governo Monti e confermate in tali termini dai governi successivi, sarebbe costato non più di 7-800 milioni di euro e che fondi immobiliari e società di investimento immobiliare quotate (Siiq, due in tutta Italia, fra cui una delle cooperative) e non quotate (Siinq) godono ogni anno di oltre 500 milioni di euro di sgravi fiscali e hanno appena ottenuto ulteriori 30 milioni di euro di agevolazioni col decreto Sblocca Italia e la liberalizzazione dei soli grossi comparti (centri commerciali ecc.) di cui sono proprietari.

Mercato delle costruzioni in Italia e in Europa

Mercato delle costruzioni in Italia e in Europa

REPORT

La tassazione sugli immobili in Italia (fonte: Confedilizia) passa nel periodo 2011-2014 dai 9,2 miliardi di euro del gettito ICI ai 28 miliardi del gettito IMU-TASI facendo segnare un aumento del 204% in 4 anni. A risentire maggiormente di questo inasprimento fiscale è il mercato delle costruzioni che fa segnare negli stessi anni un crollo verticale di tutti i suoi indicatori: si tratta di dati così negativi da non poter essere giustificati solamente dalla crisi economica da cui il nostro paese fatica ad uscire. «Ad incidere, con ogni evidenza – osserva il presidente di “ImpresaLavoro” Massimo Blasoni – ci sono i provvedimenti che i governi che si sono succeduti (Monti, Letta, Renzi) hanno adottato e che hanno finito per trasformare la casa da “bene rifugio” in “bene incubo”. Così, a un prolungato blocco del mercato immobiliare (che solo adesso sembra registrare tenui segnali di risveglio) è corrisposto quello ben più pericoloso dell’intero comparto delle costruzioni che fa segnare performance che ci pongono agli ultimi posti in Europa, molto distanti da quanto accade nelle principali economie mature con cui giornalmente ci confrontiamo».

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Produzione nel settore delle costruzioni
L’indicatore rappresenta l’andamento del valore aggiunto complessivo, depurato dell’inflazione, del settore costruzioni. In buona sostanza misura l’andamento del valore della produzione nel settore e la sua variazione rispetto al 2011. L’Italia fa segnare un arretramento di quasi il 30%: in Europa solo Cipro, Portogallo e Grecia fanno peggio e tutti i nostri principali competitor segnalano dati nettamente più positivi. La Francia arretra solo del 5,1%, il Regno Unito del 3,2% mentre la Germania registra un, seppur lieve, incremento (+0,6%). La performance della Spagna è la migliore tra le grandi economie europee: +18.9%. Desta soprattutto impressione che il dato italiano risulti sei volte peggiore di quello registrato dalla media dei Paesi dell’Europa a 27: -29,3% contro -5%.

tabella1 buono

* Elaborazione ImpresaLavoro su dati Eurostat (Production in costruction, quarterly data). Sono stati presi a riferimento il primo trimestre del 2011 e l’ultimo trimestre disponibile, che per quasi la totalità dei Paesi è il secondo del 2014.

Ore lavorate
Crollano conseguentemente anche le ore lavorate, l’indicatore che misura con maggior precisione l’andamento dell’occupazione di questo settore. In Italia nel 2014 si sono lavorate nel settore costruzioni quasi un terzo in meno delle ore rispetto al 2011, con evidenti ripercussioni sull’occupazione e il numero di lavoratori lasciati a casa dalle aziende in crisi. In Europa solo Cipro (-42,60%), Portogallo (-35,30%) e Croazia (-30,90%) hanno registrato un dato peggiore del nostro. Tutti i nostri principali competitor segnalano invece dati nettamente più positivi. La Francia arretra solo del -4,20% mentre le ore lavorate addirittura aumentano in Irlanda (+16,50%), nel Regno Unito (+3,70%), in Spagna (+ 1,40%) e in Germania (+0,90%). In particolare va sottolineato come il dato italiano risulti quasi cinque volte peggiore di quello della media dei Paesi dell’Europa a 27 (-28,90% contro -6,10%).

tabella2

* Elaborazione ImpresaLavoro su dati Eurostat (Labour input in construction, quarterly data). Sono stati presi a riferimento il primo trimestre del 2011 e l’ultimo trimestre disponibile, che per quasi la totalità dei Paesi è il secondo del 2014.

Permessi di costruzione
A trainare verso il basso il nostro mercato delle costruzioni c’è certamente l’andamento dei permessi di costruzione richiesti per l’edificazione di nuove residenze civili: il suo numero, rispetto al 2011, si è più che dimezzato facendo registrare un preoccupante -63%. In Europa solo Cipro (-72%), Grecia (-68%) e Portogallo (-66%) hanno registrato un dato peggiore del nostro. Ma in generale è l’intera Europa ad andar male rispetto a questo indicatore, anche se con proporzioni completamente diverse e con una media nei cali di richieste di permessi di costruzione che si assesta al 20% tra i 27 Paesi dell’Unione. Alcune grandi economie riescono comunque, nonostante tutto, a crescere a ritmi sostenuti anche in questo comparto: rispetto al 2011, i permessi di costruzione richiesti crescono in Germania del +19% e nel Regno Unto addirittura del +27%.

tabella3

* Elaborazione ImpresaLavoro su dati Eurostat (Building permits, quarterly data). Sono stati presi a riferimento il primo trimestre del 2011 e l’ultimo trimestre disponibile, che per quasi la totalità dei Paesi è il secondo del 2014.

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