L’Italia è il Paese oppresso dal peggior sistema fiscale e burocratico
di Vittorio Pezzuto – Italia Oggi
Siamo un Paese oppresso dal peggior sistema fiscale e burocratico delle 29 economie europee: lo dimostra l’Indice della Libertà Fiscale, monitoraggio comparato realizzato per il terzo anno consecutivo dal Centro studi ImpresaLavoro su elaborazione dei dati Eurostat e Doing Business (Banca Mondiale). Muovendo da sette diversi indicatori – ognuno dei quali analizza un aspetto specifico della questione fiscale – è stato infatti ottenuto un risultato che suona come un’ennesima bocciatura per l’Italia, dal momento che anche quest’anno si colloca con appena 40 punti all’ultimo posto nella classifica finale (guidata nell’ordine da Irlanda, Estonia e Svizzera).
Il nostro Paese registra cattive performance nelle specifiche graduatorie relative al numero delle procedure (Svezia prima, Italia 24esima) e al numero delle ore (Estonia prima, Italia 23esima) necessarie a pagare le tasse, al Total Tax Rate sulle imprese (Lussemburgo primo, Italia 20esima), al costo in termini di personale impiegato per le procedure burocratiche sostenute per essere in regola con il fisco (Estonia prima, Italia 28esima), alla pressione fiscale in rapporto al Prodotto Interno Lordo (Irlanda prima, Italia 23esima), alla differenza della pressione fiscale in rapporto al PIL maturata dal 2000 al 2015 (Irlanda prima, Italia 25esima) e infine alla pressione fiscale sulle famiglie, intesa come la percentuale di tasse sul reddito familiare lordo che paga un nucleo tipo di due genitori che lavorano con due figli a carico (Estonia prima, Italia 25esima).
Per elaborare queste classifiche i ricercatori di ImpresaLavoro hanno di volta in volta attribuito il punteggio massimo al Paese con la migliore performance, riservando poi alle altre economie un punteggio secondo il meccanismo della proporzionalità inversa: più un Paese si allontana dal miglior competitor e meno punti riceve. In tal modo la somma dei singoli indicatori restituisce, per ogni economia esaminata, il tasso di libertà fiscale elaborato su base 100. Più alto è il valore ottenuto da uno Stato (più vicino a 100), più i suoi cittadini sono liberi dal punto di vista fiscale. Il ranking che ne deriva divide così le economie europee in quattro macro aree: Paesi fiscalmente molto liberi (oltre 70 punti su 100), Paesi fiscalmente liberi (tra 60 e 69 punti), Paesi fiscalmente non del tutto liberi (tra 50 e 59 punti) e Paesi fiscalmente oppressi (sotto i 50 punti).
«L’ultimo posto dell’Italia nell’Indice della Libertà fiscale – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro – fotografa un’Italia prigioniera delle tasse, ostile agli investimenti e allo sviluppo delle imprese. Il peso delle imposte su Pil è passato dal 18% del periodo postbellico al 24% degli anni ’70 fino all’attuale e insostenibile 43%. Paghiamo una pletora infinita di tasse e di tasse sulle tasse perché, dopo aver subito il prelievo sul nostro reddito da lavoro, quando compriamo casa o depositiamo i nostri risparmi veniamo sottoposti a ulteriori gabelle. Negli ultimi cinque anni le tasse sul risparmio e sugli immobili sono cresciute rispettivamente di 8 e 10 miliardi, mentre l’elevatissimo cuneo fiscale resta un enorme macigno alla ripresa dell’occupazione. Pagare le tasse è anche laborioso e rappresenta un onere ulteriore per le imprese. Siamo infatti tra i Paesi con il maggior numero di adempimenti fiscali e il tempo richiesto da questo eccesso di burocrazia è un ulteriore onere per il già vessato sistema delle imprese. Occorre ridurre il perimetro dello Stato, dunque la spesa improduttiva, e costruire un Paese fiscalmente meno vessato e più enterpreneur-friendly, pena il vanificarsi della già debole ripresa».