Analfabetismo, pragmatismo e declino della civiltà
di Carlo Lottieri
Una delle cause della crisi epocale che l’Occidente sta vivendo discende dal fatto che la maggior parte delle idee economiche condivise dalla popolazione, a ogni livello, sono semplice sbagliate. Le ragioni di questo diffuso analfabetismo sono numerose, ma tra le altre va certo ricordata l’influenza nefasta esercitata dalla scuola. In un libro di storia a grande diffusione destinato agli studenti delle scuole medie, ad esempio, si può trovare un passo come il seguente, volto a elogiare la politica economica di Francesco Crispi: “Sul piano economico la Sinistra (storica), come aveva promesso ai suoi elettori, adottò il protezionismo, grazie al quale riuscì a creare le premesse del decollo dell’industria”.
In linea di massima, nei libri messi in mano ai ragazzi le soluzioni statalistiche e tecnocratiche sono presentate come superiori a quelle liberali e basate sull’azione di imprenditori e consumatori. Ancor più è frequente la tendenza a sposare una sorta di pragmatismo in ragione del quale bisognerebbe talvolta essere liberali e in altri casi, invece, socialisti. E così è abbastanza comune l’idea che si dovrebbe essere statalisti quando l’economia è fragile, per poi invece sposare la dinamica del capitalismo competitivo quando il sistema produttivo funziona a pieno ritmo.
È questa una visione “pragmatica”, che si vuole laica e aperta, lontana da ogni ideologia, ma che nei fatti è solo teoricamente fragile e logicamente indifendibile. In primo luogo, va detto che ogni teoria economica cerca di rispondere alla medesima richiesta: a come sia possibile, insomma, favorire la crescita economica. E quindi non si capisce come una teoria economica possa essere valida nei giorni pari e non esserlo più in quelli dispari. È ad esempio credibile che il protezionismo possa aiutare un’economia a svilupparsi, ma poi debba essere abbandonato? E precisamente quando bisognerebbe lasciarlo per aprire il mercato?
Lo schema di questi confusionari sostenitori di una cosa come dell’opposto sembrano lasciarci intendere che i Paesi poveri dovrebbero essere statalisti, ma per poi diventare liberisti una volta ricchi. C’è però da chiedersi per quale motivo bisognerebbe abbandonare le logiche della burocrazia pubblica e del rigetto della concorrenza dopo che ci hanno aiutato a liberarsi dalla miseria… Sarebbe un non senso.
Resta solo un problema: che sia sul piano teorico sia sul piano storico regge davvero poco la tesi secondo cui l’intervento statale favorisca la crescita. È semmai vero l’opposto. Questo pragmatismo diffuso è non solo il segnale di una carenza di logica e di una cattiva conoscenza delle nozioni di base dell’economia: quelle che un non economista, per intendersi, potrebbe acquisire facilmente leggendo Frédéric Bastiat o anche L’economia in una lezione di Henry Hazlitt (ora disponibile in italiano grazie a IBL Libri). Più di tutto, però, questo pragmatismo segnala un declino morale, un degrado dei principi fondamentali, l’abbandono di regole un tempo considerate fondamentali e inviolabili.
L’atteggiamento di chi ritiene che talora, per esempio quando un’industria è nascente, sia legittimo e anzi doveroso porre barriere dinanzi all’iniziativa economica (scambi, integrazioni, fusioni e via dicendo) è caratteristico di chi ha smesso di rispettare l’altro e i suoi beni. Lo statalismo di questi pragmatici implica la negazione delle libertà altrui. Lo statalismo a giorni alterni degli orecchianti di economia, inclini a introdurre divieti e obblighi a loro piacere, sottende la dissoluzione del diritto e, prima di tutto ciò, un quasi totale disinteresse per l’altro e la sua dignità.
Per questo è sicuramente importante che i buoni argomenti della logica economica siano conosciuti e che le falsità su protezionismo, rivoluzione industriale, crisi del ’29, piano Marshall e via dicendo siano spazzate via da una conoscenza più attenta e meditata degli avvenimenti passati. La cultura è importante, ma in qualche modo non basta, perché la malattia è più profonda. Se oggi l’Occidente è tanto a disagio questo è in primo luogo conseguente a uno smarrimento etico sulle cui motivazioni è necessario riflettere. Forse nei Paesi di tradizione europea siamo tanto portati a essere ignoranti e superficiali dal nostro avere smarrito il senso autentico della realtà e dei rapporti umani. E se le cose stanno così è difficile essere ottimisti.