Italia

I giovani e il mercato del lavoro: tanti giovani non cercano lavoro. Non hanno voglia di lavorare o i salari sono troppo bassi?

I giovani e il mercato del lavoro: tanti giovani non cercano lavoro. Non hanno voglia di lavorare o i salari sono troppo bassi?

La fascia d’età canonicamente considerata dall’Istat 15-34 anni, per rilevare la percentuale dei giovani occupati in Italia, sconta evidentemente il fatto che i minori al lavoro sono fortunatamente pochissimi. Tuttavia, la percentuale di occupati nella fascia 15-34 evidenzia profonde differenze tra le regioni italiane. Il basso numero di giovani occupati trova in parte spiegazione con il decremento del salario medio nel nostro Paese. Dai dati OCSE sulla variazione percentuale dei salari medi annui negli ultimi 30 anni, si rileva che l’Italia è l’unico Paese, tra quelli considerati, in cui il salario medio annuo è sceso: -2,9%. Per converso, nello stesso periodo, in Germania l’incremento è stato del 33,7% e in Francia del 31,1%.

Occupazione in Italia

Nel 2021 in Italia gli occupati tra i 15-64 anni sono 21.849.198 che equivalgono ad una percentuale piuttosto bassa (37,04%) se si considera il totale della popolazione italiana (58.983.169). Il maggior numero di lavoratori si riscontra nella fascia d’età tra i 35-49 anni (15,05%). A seguire coloro che hanno tra i 50-64 anni (13,63%) e per ultimi i giovani tra i 15-34 anni (8,36%). È da considerare che, secondo le rilevazioni OCSE, solo il 3,1% dei giovani tra i 15-19 anni lavora (4,2% uomini e 2,0% donne).

A livello regionale si conferma la stessa panoramica presentata per il contesto nazionale. Infatti, la fascia d’età con il minor numero di occupati rimane quella dei giovani tra i 15-34 anni in tutte le regioni d’Italia. Le regioni con il maggior numero di occupazione giovanile sono il Trentino-Alto Adige (11,74%) – Provincia Autonoma di Bolzano (12,60%) e Trento (10,89%) – la Lombardia (9,89%), il Veneto (9,87%), l’Emilia-Romagna (9,48%), il Friuli-Venezia Giulia (9,31%), e il Piemonte (9,14%). Al contrario, il minor numero di giovani occupati si riscontra in Sicilia (5,82%), Calabria (6,32%), Campania (6,69%), Puglia (6,92%) e Molise e Sardegna (7,02%).

Il divario Nord-Sud evidenzia che i giovani sono più occupati al Nord-Est (9,84%) e al Nord-Ovest (9,48%) rispetto al Sud (6,62%).

Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati ISTAT e OCSE.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati ISTAT

Il salario medio annuo

Sorge spontaneo chiedersi: perché i giovani non cercano lavoro in Italia? Non hanno voglia di lavorare o i salari sono troppo bassi? Hanno perso fiducia nelle loro prospettive di lavoro in Italia e stanno cercando altre opportunità all’estero?

Dai dati OCSE sulla variazione percentuale dei salari annuali medi tra il 1990 e il 2020 si evince che in alcuni Paesi come la Germania e la Francia il salario medio annuale è aumentato rispettivamente di +33,7% e +31,1%. L’Italia è l’unico Paese in cui negli ultimi 30 anni il salario medio annuo non è aumentato ma è, invece, diminuito (-2,9%).

«La ricerca evidenzia, da un lato, quanto sia elevato il numero dei giovani che non lavorano, ovvero che entrano nel mondo del lavoro dopo i 30 anni – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro – dall’altro ci suggerisce che il problema dei salari bassi esiste: l’Italia è l’unico Paese OCSE in cui il salario medio annuo negli ultimi 30 anni non è aumentato».

Elaborazione ImpresaLavoro su OCSE

Medici di base: prevalgono le regioni del Sud. Gli uomini battono le donne ma non in pediatria

Medici di base: prevalgono le regioni del Sud. Gli uomini battono le donne ma non in pediatria

I medici generici nelle regioni italiane

Il medico di famiglia, la figura responsabile dell’assistenza e dell’erogazione di tutte le cure integrate e continuative del paziente, è centrale nella vita di ognuno di noi. I crescenti dibattiti sullo stato in cui si trova la sanità italiana portano a porsi svariate domande alle quali darsi una risposta: quanti pazienti segue un singolo medico di base nelle regioni italiane? Quali sono i dati della medicina pediatrica? Ci sono più uomini o più donne ad esercitare la professione?

Nella maggior parte delle regioni italiane ciascun medico di base segue meno pazienti rispetto al proprio carico potenziale, ovvero il numero di pazienti che ogni medico generico potrebbe prendere a carico sulla base degli adulti residenti. Al contrario, i territori in cui si registra un numero di scelte superiore a quello del carico potenziale per medico sono il Lazio, la Puglia, il Molise e la Basilicata. Nella maggior parte delle Regioni del Nord, il numero degli adulti residenti per medico di base è più elevato rispetto alla media nazionale, evidenziando la Provincia Autonoma di Bolzano (1603 per medico generico), la Lombardia (1442 per medico generico), la Provincia Autonoma di Trento (1395 per medico generico) e il Veneto (1374 per medico generico). Contrariamente, nelle Regioni del Sud, il numero degli adulti residenti per medico generico è inferiore al livello nazionale, evidenziando la Basilicata (1039 per medico generico), il Molise (1045 per medico generico), l’Umbria (1049 per medico generico), l’Abruzzo e la Sicilia (1059 per medico generico). Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati del Ministero della Salute e del FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati del Ministero della Salute

Nel 2021 una ricerca eseguita dal FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) rileva che il 22,6% delle persone hanno un rapporto che dura da più di 20 anni con il proprio medico di famiglia. All’estremo opposto, il 21,3% degli adulti ha un rapporto da meno di 3 anni con il proprio medico di base.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati del FMMG (Federazione Italiana Medici di Famiglia)

I medici pediatri nelle diverse regioni italiane

Sulla base dei dati riportati dal Ministero della Salute, è possibile esaminare anche la situazione dei bambini e dei giovanissimi. Nel campo della medicina pediatrica, dove i professionisti sanitari accompagnano l’individuo dalla nascita fino ai 14 anni di età, emerge che in tutte le Regioni italiane il numero di bambini residenti per medico pediatra risulta essere maggiore rispetto al numero di scelte.  

A livello nazionale, ad ogni medico pediatra spetterebbero circa 967 bambini. Si evidenza un dato al di sopra della media nella Provincia Autonoma di Bolzano (1229 per pediatra), Piemonte (1215 per pediatra), in Friuli-Venezia Giulia (1093 per pediatra), in Lombardia (1071 per pediatra) e in Veneto (1065 per pediatra). Invece, le regioni con un dato inferiore alla media nazionale sono la Puglia (839 per pediatra), la Sicilia (850 per pediatra), l’Umbria (858 per pediatra), il Molise (862 per pediatra) e l’Emilia-Romagna (870 per pediatra).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati del Ministero della Salute

Medici di base e medici pediatri per genere

Dai dati del Ministero della Salute, si evince che la branca della medicina generale risulta essere più popolata dagli uomini che dalle donne, soprattutto in Campania (75,6%), in Puglia (73,5%), in Molise (72,5%), Calabria e Sicilia (71,3%). La medicina pediatrica risulta avere meno uomini che donne, principalmente in Lombardia (23,3%), in Valle d’Aosta (25,0%), in Umbria (26,1%), in Piemonte (26,9%) e in Emilia-Romagna (27,6%).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati del Ministero della Salute
Competenze digitali: Italia sotto la media europea. Valle d’Aosta e Lombardia possiedono i talenti del digitale.

Competenze digitali: Italia sotto la media europea. Valle d’Aosta e Lombardia possiedono i talenti del digitale.

Competenze digitali: quadro europeo

Nel 2021 in Europa gli individui che possiedono competenze digitali superiori al livello base sono in media il 26%. Sopra la media europea si collocano l’Olanda (52%), la Finlandia (48%), l’Islanda (45%), la Norvegia (43%), l’Irlanda e la Svizzera (40%). Al contrario, i Paesi con il numero minore sono l’Albania (4%), Bosnia ed Erzegovina (5%), Macedonia del Nord e Bulgaria (8%), Montenegro e Romania (9%). L’Italia si trova ancora sotto la media europea registrando il 23% di individui con competenze digitali superiori al livello base. Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati Istat, Eurostat e Unioncamere sistema informativo.

Competenze digitali: quadro europeo


Elaborazione ImpresaLavoro su dati Eurostat 2021 – Livelli di competenze digitali degli individui

Quadro italiano: competenze digitali elevate

Le competenze digitali sono la chiave della futura trasformazione tecnologica della maggior parte delle aziende. Sempre più imprese richiedono ai propri dipendenti, oltre alle skills di base, di possedere competenze digitali elevate. Com’è, a tal proposito, la situazione italiana corrente?

A livello regionale, si evince che la percentuale degli individui che possiedono un livello elevato di competenze digitali si raggruppa nel Nord Italia, principalmente in Valle d’Aosta (28,3%), Lombardia (26,6%), Friuli-Venezia Giulia (25,8%), Trentino-Alto Adige (25,7%) ed Emilia-Romagna (25%). Al contrario, si nota un minor numero di individui che detengono competenze digitali elevate in Sicilia (14,4%), Campania (16,6%), Calabria (16,7%), Basilicata (17,8%) e Puglia (18%).

Le fasce d’età risultano essere un fattore importante: con l’aumento degli anni, infatti, il livello di competenze digitali diminuisce. I giovani tra i 20-24 anni possiedono un livello di competenze avanzato (41,5%) insieme ai ragazzi tra i 16-19 anni (36,2%). Il livello scende fra gli adulti tra i 45-54 anni (20,3%) e tra i 65-74 anni (4,4%).



Elaborazione ImpresaLavoro su dati ISTAT – BES 2020 – campione per 100 persone di 16-74 anni

Competenze digitali richieste dalle imprese con ripartizione territoriale

L’innovazione digitale comporta la necessità di nuove figure professionali qualificate dotate del giusto background di competenze tecnologiche di base e specialistiche. Quali sono le competenze digitali richieste dalle imprese italiane? Dove si concentra maggiormente questa richiesta?

Nel 2021 si evince che la richiesta da parte delle imprese di competenze digitali e linguaggi e metodi matematici è maggiore al Nord Ovest rispetto al resto del Paese. In Italia sono particolarmente richieste le competenze digitali elevate al Nord Ovest (23,4%), al Centro (21,8%), al Sud e nelle Isole (20%) ed al Nord Est (18,4%). Al secondo posto delle competenze richieste si trovano le capacità di utilizzo dei linguaggi e metodi matematici, sempre con prevalenza al Nord Ovest (17,3%), al Sud e Isole (16,3%), al Nord Est (14,6%), e al Centro (15,5%).

Al terzo posto, con una richiesta inferiore, le capacità di gestione delle soluzioni innovative che, a differenza delle prime due, vengono predilette maggiormente al Sud e nelle Isole (13,1%), il Nord Ovest (10,9%), il Centro (10,3%), infine il Nord Est (8,8%).




Elaborazione ImpresaLavoro su dati Unioncamere – ANPAL, Sistema informativo Excelsior, 2021

«Il nostro Paese ha fatto notevoli passi in avanti negli ultimi anni – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro – ma occorre raddoppiare gli sforzi: vincere la sfida digitale è fondamentale per la crescita economica delle nostre imprese».

Diminuiscono le nascite a causa della Pandemia. I nati da genitori stranieri sono di più al Nord

Diminuiscono le nascite a causa della Pandemia. I nati da genitori stranieri sono di più al Nord

A livello nazionale, il totale delle nascite durante il 2020 è di 404.892, in diminuzione rispetto all’anno precedente (417.614). Il Nord-ovest detiene il maggior numero di nascite in comparazione con il resto d’Italia (26,15% del totale). A seguire il Sud (24,44%), il Nord-est (19,56%), il Centro (18,54%) e le Isole (11,31%).
La regione che registra la percentuale più elevata rispetto al totale delle nascite è la Lombardia (17,1%), seguita dalla Campania (11,13%), dalla Sicilia (9,27%) e dal Veneto (8,07%). Tuttavia, si evince che le regioni con il numero più basso di nuovi nati sono la Valle d’Aosta (0,19%), il Molise (0,42%), la Basilicata (0,87%), l’Umbria (1,30%) e il Friuli-Venezia Giulia (1,84%).
Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati Istat.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

Picchi bassi a causa della pandemia

La media annua della diminuzione delle nascite dal 2009 al 2019 è di -2,8%. A seguito del picco dei contagi di marzo 2020, vi è stata una ripercussione anche sulle nascite con una discesa evidente tra novembre e dicembre 2020 (-9,5%). Il picco più basso risulta essere a gennaio 2021 (-13,6%). Dai dati si evince una ripresa a marzo e aprile 2021 (4,5% e 1% rispettivamente), per poi tornare in negativo nei mesi successivi.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

Divario fra madri italiane e straniere

In Italia il numero di figli medio per donna è inferiore per le italiane rispetto alle straniere (1,17 e 1,89 rispettivamente). La regione in cui le italiane e le straniere hanno più figli è il Trentino-Alto Adige (1,45 e 2,27). Sotto la media nazionale, le italiane con il numero minore di figli si trovano in Sardegna (0,94), in Molise (1,01), in Toscana e Umbria (1,07). Al contrario, le straniere hanno meno figli in Lazio e Sardegna (1,56), Toscana (1,69) e Calabria (1,70).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

La classifica italiana rispetto al divario dei nati da genitori italiani e stranieri mostra una differenza maggiore al Nord (ovest 0,86 ed est 0,85), rispetto alla media nazionale tra le italiane e straniere (0,72). Il gap minore si nota al Centro Italia con 0,54.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

«Il decremento delle nascite durante la pandemia» – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro – «è la riprova che l’incertezza sul futuro pesa enormemente sulla scelta di avere dei figli. Tra qualche mese sapremo se anche la guerra in Ucraina avrà contratto ulteriormente il numero dei nuovi nati».

Istruzione: nel 2020 più donne che uomini tra i laureati in Italia. Ancora importanti divari Nord-Sud.

Istruzione: nel 2020 più donne che uomini tra i laureati in Italia. Ancora importanti divari Nord-Sud.

Differenze regionali di istruzione

In Italia nel 2020 la media nazionale dei laureati in possesso di un titolo di studio terziario di I e II livello è di 14,5%, a differenza del 2019 in cui la cui percentuale era del 13,9%. La classifica a livello regionale mostra una maggiore quantità di laureati in Lazio (18,5%). Al secondo posto si trova l’Abruzzo (15,9%), continuando con l’Umbria (15,7%), il Molise (15,6%), Emilia-Romagna (15,5%) e Marche (15,4%). La percentuale più bassa di laureati si registra nella provincia di Bolzano (12,1%), seguita dalla Sardegna (12,4%), Sicilia e Puglia (12,5%). Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati Istat.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

Divario regionale e di genere

Nel 2020 in tutte le regioni italiane risultano aver conseguito il titolo di laurea più le donne rispetto agli uomini. Il Lazio, la regione con più laureati in Italia, possiede anche la percentuale più alta di laureate donne (19,6%), seguita da Abruzzo (17,8%), Umbria (17,7%), Molise (17,6%), Emilia-Romagna e Marche (17,1%). Per gli uomini le percentuali più elevate di laureati si trovano in Lazio (17,2%), in Lombardia (14,1%), Liguria (14%), Abruzzo (13,9%) e Emilia-Romagna (13,8%). In fondo alla classifica, le regioni con una percentuale inferiore di laureate donne sono la Sicilia e la Puglia (13,5%), al contrario degli uomini laureati che risultano meno in Sardegna (10,3%) e nella Provincia Autonoma di Bolzano (10,5%).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

Divario Nord-Sud

Nel 2020 la percentuale più elevata di laureati si trova nell’Italia Centrale (17,2%), nettamente superiore alla media italiana (14,9%). Tuttavia, risulta ancora evidente la differenza tra il Nord e Sud del Paese, in quanto l’Italia Meridionale e Insulare (rispettivamente 13,7% e 12,8%) restano al di sotto della media nazionale.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat

Rimane un divario tra Nord e Sud anche per quanto riguarda l’analfabetismo: l’Italia Meridionale e Insulare (1% e 0,89%) hanno una percentuale più alta rispetto al Nord-ovest/est (0,36% e 0,32%), Centro (0,34%) e alla media nazionale (0,56%).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat
Immobiliare: nel 2020 calo delle compravendite nelle Regioni italiane. Elevato valore rata mensile in Lazio e Valle d’Aosta.

Immobiliare: nel 2020 calo delle compravendite nelle Regioni italiane. Elevato valore rata mensile in Lazio e Valle d’Aosta.

Compravendite

Nel 2020 la stima del valore di scambio della compravendita degli immobili residenziali ammontava a 89.058 milioni di euro a livello nazionale. Dai dati regionali si evince che la quota maggiore del totale è stata spesa per la compravendita di abitazioni situate nella Regione Lombardia (quasi 22 milioni), il 9% in meno del 2019. La contrazione del fatturato del 2020, rispetto all’anno precedente, evidenzia perdite rilevanti nelle Regioni Campania e Basilicata (rispettivamente -15,2% e -14,6%). A seguire Calabria (-11%), Valle d’Aosta (-11,2%), Sicilia (-10,3%) e Liguria (-10%). Contrazione delle compravendite non distanti dalla Lombardia si riscontrano anche in Toscana (-9,7%), Lazio (-9,5%), e Piemonte (-8,2%). Mentre contrazioni minori di fatturato si registrano nelle Marche (-2,5%) e in Friuli-Venezia Giulia (-4,2%). Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati del Rapporto Immobiliare 2021 dell’Agenzia delle Entrate.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati dell’Agenzia delle Entrate, rapporto immobiliare 2021

I mutui ipotecari

Il totale del capitale erogato nel 2020 è 35.886 milioni di euro. Confrontando i dati con l’anno precedente si riscontra un calo del -1,8%.
Dai dati regionali si evince che le contrazioni più rilevanti del capitale finanziato per l’acquisizione di abitazioni si registrano in Basilicata (-10,5%) e in Sicilia (-6,5%). Modesti aumenti di capitale invece in Emilia-Romagna (+1,7%), Friuli-Venezia Giulia (+1%) e Veneto (+0,2%).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati dell’Agenzia delle Entrate, rapporto immobiliare 2021

Nel 2020 in Italia il tasso di interesse medio ammonta a 1,93%. Sotto la media nazionale si collocano diverse regioni, come la Liguria (1,76%), l’Emilia-Romagna (1,78%), il Piemonte e la Valle d’Aosta (1,82%), la Lombardia (1,83%), il Veneto (1,85%), le Marche (1,87%), la Toscana (1,90%) e il Friuli-Venezia Giulia (1,92%). Al di sopra del 2% di interesse si collocano il Lazio (2,19%), la Campania e la Calabria (2,18%), il Molise (2,17%) e la Puglia (2,11%).
Il valore massimo della rata mensile si registra in Lazio (691 euro) e in Valle d’Aosta (659 euro). Rate al di sotto dei 500 euro in Basilicata (482 euro), in Abruzzo (471 euro), in Calabria (464 euro), Umbria (450 euro) e Molise (446 euro).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati dell’Agenzia delle Entrate, rapporto immobiliare 2021

Centro Studi Impresa e Lavoro: “nel 2020 il 44% degli italiani ha acquistato online”

Centro Studi Impresa e Lavoro: “nel 2020 il 44% degli italiani ha acquistato online”

In Italia nel 2020 il 44% dei cittadini ha effettuato acquisti online di almeno un bene o servizio, a differenza del 2018 la cui percentuale di acquisti online era del 36%. Il nostro Paese si colloca così al quint’ultimo posto di questa particolare classifica europea, appena al di sotto del Portogallo (35%) e al di sopra di Romania (38%), Serbia (38%), Macedonia del Nord (34%) e Bulgaria (31%). Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati Eurostat.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Eurostat

In Italia i consumatori più attivi online risultano essere di età compresa tra i 25 e i 34 anni (il 62% ha acquistato beni o servizi online) e i giovanissimi di età compresa tra i 16 e i 24 anni (59%). Col progredire dell’età aumentano invece in proporzione la diffidenza e il digital divide, tanto che a comprare online sono stati soltanto il 31% dei cittadini di età tra i 55 e i 64 anni (in aumento rispetto al 22% del 2018), il 15% dei cittadini di età tra i 65 e i 74 anni (+10% rispetto al 2018) e solamente il 3% degli over75 (+2%).

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Eurostat

Analizzando le scelte di questi consumatori negli ultimi 3 mesi del 2020, si osserva come resti bassissima la frequenza degli acquisti, quasi sempre uno o due acquisti a testa, solo il 9% ne ha effettuati da 3 a 5.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Eurostat

I beni più acquistati online dagli italiani sono stati vestiti e articoli sportivi (23%), film e musica (15%), viaggi e alloggi per vacanza (11%), attrezzatura elettronica (11%), articoli casalinghi (10%), cibo e generi alimentari (10%), libri e riviste (9%), biglietti per eventi (4%), servizi di telecomunicazioni (3%). Curiosamente, solo il 2% ha deciso di affidarsi alla Rete per l’acquisto di software per computer. Secondo una rielaborazione del Centro studi ImpresaLavoro, il 67% degli italiani ha acquistato online da siti esteri, principalmente tramite Amazon per il 94%, su eBay per il 52% e su Zalando per il 44%.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Eurostat

Negli ultimi tre mesi del 2020 nelle regioni italiane si è riscontrata una maggiore propensione al Nord d’Italia per l’utilizzo dell’e-commerce. Lombardia e Trentino-Alto Adige al primo posto con 44.4%, seguiti da Valle d’Aosta (43.5%), Veneto (43.2%), Emilia-Romagna (42.7%), Friuli-Venezia Giulia (41.5%), e Piemonte (40.6%). In fondo alla classifica si trova la Puglia con 31.4%, seguita dalla Sicilia (27.4%), Campania (26.1%), e Calabria (24%).

Posti letto RSA: Ci sono ancora posti letto in Italia, si trovano principalmente al Nord

Posti letto RSA: Ci sono ancora posti letto in Italia, si trovano principalmente al Nord

I posti letto in Europa

La popolazione anziana è in netto aumento in comparazione con l’andamento demografico europeo, provocando una crescente domanda di assistenza sociosanitaria. Infatti, secondo le proiezioni demografiche future svolte da Eurostat, sarà considerevole non solo l’incremento della popolazione anziana ma anche di quella molto anziana, arrivando a toccare il 14.6% della popolazione totale europea. Di conseguenza, viene stimata una crescita dei posti letto entro i prossimi vent’anni da uno studio ISIMM nei seguenti Paesi: in Austria (+43%), in Svizzera (+75%), in Belgio (+33%), in Italia (+33%), in Spagna (+14%), in Francia (+5%), e in Germania (+29%). Inoltre, secondo gli ultimi dati completi del OECD (Health online database) 2019, si evince che l’Italia, rispetto ai principali Paesi Europei, risulta quart’ultima nella classifica con 18,8 posti letto ogni 1000 abitanti over 65 anni, in confronto con la media dei Paesi OCSE che si aggira intorno ai 39,3 posti letto.
I Paesi dove si nota una maggiore quantità di posti letto ogni 1000 residenti over 65 sono il Lussemburgo con 80,8 posti, l’Olanda con 72,1, il Belgio con 68,1, la Svizzera con 63,6, la Germania con 54,2 posti a pari merito con la Finlandia. Infine, dopo l’Italia seguono la Lettonia con 13,4 posti, la Polonia con 11,3 ed infine la Grecia con 1,8 posti ogni 1000 anziani.


Elaborazione ImpresaLavoro su dati OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), 2019

I posti letto in Italia.

La popolazione anziana è in netto aumento in comparazione con l’andamento demografico europeo, provocando una crescente domanda di assistenza sociosanitaria. L’Italia, oltre a trovarsi in fondo alla classifica Ocse con 18,8 posti letto nelle RSA ogni 1.000 residenti over 65, registra un’alta percentuale di popolazione anziana (più del 20%). Un rapporto dell’Health of Glance del 2019 prevede che una persona su 8 avrà in media 80 anni entro il 2050, determinando una crescita sempre maggiore della domanda socio-assistenziale. Secondo i dati del Ministero della Salute, i residenti in RSA durante il 2019 erano 329.142, pari al 2,4% in rapporto alla popolazione residente over 65.

Secondo gli ultimi dati Istat, i posti letto operativi nelle RSA sono al momento 125.340 nel Nord Ovest, 94.341 nel Nord Est, 45.125 nel Centro, 28.371 nel Sud e 19.480 nelle Isole. La scarsità di posti letto si evince principalmente al Sud. Il rapporto dei posti letto operativi sugli abitanti over 65 rileva una percentuale più alta al Nord Est (3,40%), seguito da Nord Ovest (3,24%), Centro (1,58%), Isole (1,33%) e Sud (0,84%). 

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Istat, 2018

In particolare, analizzando i dati di ogni regione italiana si nota come il Trentino-Alto Adige disponga della percentuale più elevata di posti letto operativi su over 65 (4,40%), seguito da Piemonte (3,89%), Friuli-Venezia Giulia (3,75%) e Valle d’Aosta (3,58%). In fondo a questa classifica si trovano invece Puglia (1,07%), Calabria (1,04%), Campania (0,56%) e Basilicata (0,49%).  

Indice della Libertà Fiscale, l’Italia resta ultima in Europa

Indice della Libertà Fiscale, l’Italia resta ultima in Europa

Per il terzo anno consecutivo il Centro studi ImpresaLavoro ha elaborato l’Indice della Libertà Fiscale, analisi comparata di 29 economie europee che consente di monitorare efficacemente la questione fiscale in pressoché tutti i Paesi che compongono il nostro continente geografico. Elaborando i dati Eurostat e Doing Business (Banca Mondiale) è stato così possibile far emergere anche le differenze tra chi sta dentro il sistema dell’Unione Europea e chi sta fuori, tra i Paesi che hanno adottato l’euro e quelli che, invece, hanno scelto di mantenere la propria autonomia monetaria.

L’Indice della Libertà Fiscale è stato realizzato muovendo da sette diversi indicatori, ognuno dei quali analizza e monitora un aspetto specifico della questione fiscale. Il Paese migliore in un determinato indicatore riceve il punteggio massimo attribuito a quel settore. Alle altre economie viene attribuito un punteggio secondo il meccanismo della proporzionalità inversa: più un Paese si allontana dal migliore, meno punti riceve.

La somma dei singoli indicatori restituisce, per ogni economia esaminata, il tasso di libertà fiscale elaborato su base 100. Più alto è il valore ottenuto da uno Stato (più vicino a 100), più i suoi cittadini sono liberi dal punto di vista fiscale. Il ranking che ne deriva divide i paesi in quattro macro aree: Paesi fiscalmente molto liberi (oltre 70 punti su 100), Paesi fiscalmente liberi (tra 60 e 69 punti), Paesi fiscalmente non del tutto liberi (tra 50 e 59 punti), e Paesi fiscalmente oppressi (sotto i 50 punti).

Il risultato così ottenuto suona come un’ennesima bocciatura per l’Italia, dal momento che anche quest’anno si colloca con appena 40 punti all’ultimo posto nella classifica finale (guidata nell’ordine da Irlanda, Estonia e Svizzera). Il nostro Paese si conferma fiscalmente oppresso e registra cattive performance nelle classifiche relative a ciascun indicatore analizzato: numero delle procedure (Svezia prima, Italia 24esima) e il numero delle ore (Estonia prima, Italia 23esima) necessarie a pagare le tasse, Total Tax Rate sulle imprese (Lussemburgo primo, Italia 20esima), costo in termini di personale impiegato per le procedure burocratiche sostenute per essere in regola con il fisco (Estonia prima, Italia 28esima), pressione fiscale in rapporto al Prodotto Interno Lordo (Irlanda prima, Italia 23esima), differenza della pressione fiscale in rapporto al PIL maturata dal 2000 al 2015 (Irlanda prima e Italia 25esima) e infine pressione fiscale sulle famiglie, intesa come la percentuale di tasse sul reddito familiare lordo che paga un nucleo tipo di due genitori che lavorano con due figli a carico (Estonia prima, Italia 25esima).

«L’ultimo posto dell’Italia nell’Indice della Libertà fiscale – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro – fotografa un’Italia prigioniera delle tasse, ostile agli investimenti e allo sviluppo delle imprese. Il peso delle imposte su Pil è passato dal 18% del periodo postbellico al 24% degli anni ’70 fino all’attuale e insostenibile 43%. Paghiamo una pletora infinita di tasse e di tasse sulle tasse perché, dopo aver subito il prelievo sul nostro reddito da lavoro, quando compriamo casa o depositiamo i nostri risparmi veniamo sottoposti a ulteriori gabelle. Negli ultimi cinque anni le tasse sul risparmio e sugli immobili sono cresciute rispettivamente di 8 e 10 miliardi, mentre l’elevatissimo cuneo fiscale resta un enorme macigno alla ripresa dell’occupazione. Pagare le tasse è anche laborioso e rappresenta un onere ulteriore per le imprese. Siamo infatti tra i Paesi con il maggior numero di adempimenti fiscali e il tempo richiesto da questo eccesso di burocrazia è un ulteriore onere per il già vessato sistema delle imprese. Occorre ridurre il perimetro dello Stato, dunque la spesa improduttiva, e costruire un Paese fiscalmente meno vessato e più enterpreneur-friendly, pena il vanificarsi della già debole ripresa».

Unione Europea: dal 2009 al 2015 Italia contributore netto per 38,6 miliardi di euro

Unione Europea: dal 2009 al 2015 Italia contributore netto per 38,6 miliardi di euro

Mentre a Roma si celebrano i sessant’anni dei Trattati Europei e il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem critica i paesi del Sud per aver sprecato i loro soldi elogiando al contempo la solidarietà e il rigore dimostrato durante la crisi dalle nazioni nordeuropee, è utile analizzare a fondo la dinamica dei rapporti finanziari tra Italia e Unione Europea e di provare a fare un bilancio tra quanto versiamo ogni anno a Bruxelles per il funzionamento dell’Unione e quanto riceviamo dall’Europa sotto forma di trasferimenti e contributi. Il saldo, nonostante le parole poco generose di Dijsselbloem, è fortemente negativo per il nostro Paese. Negli ultimi sette anni, infatti, abbiamo versato nelle casse di Bruxelles 111miliardi di euro, ricevendone indietro circa 73. Siamo quindi contributori netti dell’Unione per ben 38,6 miliardi di euro in sette anni. Circa 5,5 miliardi di euro all’anno: questo è quanto paghiamo per rimanere nell’Unione se ci fermiamo ai soli saldi finanziari tra quanto diamo e quanto riceviamo.

L’Italia non è l’unico contributore netto dell’Unione ma rimane comunque il quarto paese per contribuzione netta in valore assoluto. Siamo in compagnia di grandi economie continentali come Germania, Regno Unito e Francia. Sono, invece, percettori netti, cioè ricevono da Bruxelles più di quanto versano, tutti i paesi entrati nell’Unione in seguito all’allargamento ad est e alcuni membri storici come la Spagna (14 miliardi in sette anni), il Portogallo (20 miliardi), la Grecia (30 miliardi). Sui conti pesa anche l’incognita della Brexit: il Regno Unito, infatti, è stato contribuente netto dell’Unione per ben 54 miliardi di euro negli ultimi sette anni. Una cifra che rischia ora di essere ripartita tra gli altri contributori netti, Italia compresa, allargando ancora di più il divario tra quanto versiamo a Bruxelles e quanto riceviamo dall’Europa.

Secondo Massimo Blasoni, imprenditore e Presidente del Centro Studi ImpresaLavoro “È chiaro che i flussi finanziari non sono tutto e che la mera aritmetica tra quanto versiamo e quanto riceviamo da Bruxelles non garantisce un quadro completo della nostra partecipazione al programma di integrazione europeo. Però quei numeri dicono comunque molto sul ruolo che abbiamo e su quello che dovremmo avere. Sediamo nei consessi europei con la timidezza dello scolaro che non ha fatto i compiti per casa quando invece dell’Unione siamo un pilastro irrinunciabile, oltre che un paese fondatore. L’andamento della nostra economia negli anni dell’euro è stato sempre peggiore della media dei nostri partner continentali, eppure il nostro paese non si è sottratto ai suoi compiti. Ha versato nelle casse dell’Unione più di quanto ha ricevuto in cambio, ha partecipato a strumenti di stabilità finanziaria di cui non ha mai usufruito, ha pagato con l’instabilità politica interna e un’endemica debolezza economica la sua partecipazione a mercato e moneta unica. La posizione di contributori netti dovrebbe garantirci maggiore autorevolezza nella trattativa con gli altri paesi: un vantaggio sprecato in questi anni dalla debolezza dei nostri governi”.