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I giovani e il mercato del lavoro: tanti giovani non cercano lavoro. Non hanno voglia di lavorare o i salari sono troppo bassi?

I giovani e il mercato del lavoro: tanti giovani non cercano lavoro. Non hanno voglia di lavorare o i salari sono troppo bassi?

La fascia d’età canonicamente considerata dall’Istat 15-34 anni, per rilevare la percentuale dei giovani occupati in Italia, sconta evidentemente il fatto che i minori al lavoro sono fortunatamente pochissimi. Tuttavia, la percentuale di occupati nella fascia 15-34 evidenzia profonde differenze tra le regioni italiane. Il basso numero di giovani occupati trova in parte spiegazione con il decremento del salario medio nel nostro Paese. Dai dati OCSE sulla variazione percentuale dei salari medi annui negli ultimi 30 anni, si rileva che l’Italia è l’unico Paese, tra quelli considerati, in cui il salario medio annuo è sceso: -2,9%. Per converso, nello stesso periodo, in Germania l’incremento è stato del 33,7% e in Francia del 31,1%.

Occupazione in Italia

Nel 2021 in Italia gli occupati tra i 15-64 anni sono 21.849.198 che equivalgono ad una percentuale piuttosto bassa (37,04%) se si considera il totale della popolazione italiana (58.983.169). Il maggior numero di lavoratori si riscontra nella fascia d’età tra i 35-49 anni (15,05%). A seguire coloro che hanno tra i 50-64 anni (13,63%) e per ultimi i giovani tra i 15-34 anni (8,36%). È da considerare che, secondo le rilevazioni OCSE, solo il 3,1% dei giovani tra i 15-19 anni lavora (4,2% uomini e 2,0% donne).

A livello regionale si conferma la stessa panoramica presentata per il contesto nazionale. Infatti, la fascia d’età con il minor numero di occupati rimane quella dei giovani tra i 15-34 anni in tutte le regioni d’Italia. Le regioni con il maggior numero di occupazione giovanile sono il Trentino-Alto Adige (11,74%) – Provincia Autonoma di Bolzano (12,60%) e Trento (10,89%) – la Lombardia (9,89%), il Veneto (9,87%), l’Emilia-Romagna (9,48%), il Friuli-Venezia Giulia (9,31%), e il Piemonte (9,14%). Al contrario, il minor numero di giovani occupati si riscontra in Sicilia (5,82%), Calabria (6,32%), Campania (6,69%), Puglia (6,92%) e Molise e Sardegna (7,02%).

Il divario Nord-Sud evidenzia che i giovani sono più occupati al Nord-Est (9,84%) e al Nord-Ovest (9,48%) rispetto al Sud (6,62%).

Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, realizzata su elaborazione di dati ISTAT e OCSE.

Elaborazione ImpresaLavoro su dati ISTAT

Il salario medio annuo

Sorge spontaneo chiedersi: perché i giovani non cercano lavoro in Italia? Non hanno voglia di lavorare o i salari sono troppo bassi? Hanno perso fiducia nelle loro prospettive di lavoro in Italia e stanno cercando altre opportunità all’estero?

Dai dati OCSE sulla variazione percentuale dei salari annuali medi tra il 1990 e il 2020 si evince che in alcuni Paesi come la Germania e la Francia il salario medio annuale è aumentato rispettivamente di +33,7% e +31,1%. L’Italia è l’unico Paese in cui negli ultimi 30 anni il salario medio annuo non è aumentato ma è, invece, diminuito (-2,9%).

«La ricerca evidenzia, da un lato, quanto sia elevato il numero dei giovani che non lavorano, ovvero che entrano nel mondo del lavoro dopo i 30 anni – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro – dall’altro ci suggerisce che il problema dei salari bassi esiste: l’Italia è l’unico Paese OCSE in cui il salario medio annuo negli ultimi 30 anni non è aumentato».

Elaborazione ImpresaLavoro su OCSE

Crisi e salari in Italia

Crisi e salari in Italia

di Giuseppe Pennisi*

Quale è stato l’andamento dei salari in Italia da quando è iniziata la crisi? Gran parte dell’informazione giornalistica è necessariamente di parte in quanto basata su dati parziali in cui spesso il breve periodo viene estrapolato in medio e lungo termine.

Quindi è importante un lavoro della Banca d’Italia on line dalla fine della prima settimana di marzo: l’Occasional Paper No 289 Wages and Prices Setting in Italy During the Crisis: The Firms Prespectives. Ne sono autori Francesco D’Amuro, Silvia Fabiani, Roberto Sabbatini, Raffaella Tartaglia Porcini, Fabrizio Venditti, Elena Viviano e Roberto Zizza – tutti del servizio studi dell’istituto di Via Nazionale. Un lavoro di équipe che si basa su due indagini condotte del network sulle dinamiche dei prezzi e dei salari del Sistema Europeo di Banche Centrali (Sebc) , una “rete”, quindi di economisti dei servizi studi delle Banche centrali nazionali dell’eurozona tutti impegnati in ricerche su temi analoghi, utilizzando metodi uniformi, nonché metodi di rilevazioni e questionari armonizzati per analizzare le più importanti trasformazioni nei mercati del lavoro nazionali. La “rete” ha condotto due indagini empiriche (Stato per Stato) nel 2007 e nel 2009 ed una terza nel 2013, i cui risultati sono disponibili da pochi mesi. Il lavoro pubblicato on line riguarda solamente l’Italia. È auspicabile che vengano diffusi anche gli altri studi Paese.

Il lavoro prende l’avvio da una considerazione specifica all’Italia: il debito sovrano ha colpito severamente l’economia italiana, causando un collasso della domanda interna, un aumento dell’incertezza e difficoltà di accesso alla finanza internazionale. Le imprese hanno risposto riducendo l’input di lavoro (aggiustandone i margini sia di intensità – orari di lavoro – sia di livello di occupazione) piuttosto che riducendo i salari nominali o reali. Tuttavia, le trattative e la prassi di determinazione delle retribuzioni sono state influenzate dal quadro economico generale: la proporzione di lavoratori in imprese che sono ricorse a blocchi dei salari, ed anche a riduzioni, è gradualmente aumentata dal 2010 sino a riguardare il 17% dei lavoratori dipendenti nei settori presi in esame dall’inchiesta. Inoltre, numerose imprese hanno adattato le loro strategie di prezzi aggiustandoli più frequentemente che nel passato (spesso abbassandoli a ragione di una maggiore concorrenza).

Le nuove tecnologie  inducono a prospettare un aumento della produttività del lavoro e, quindi, dei salari reali? Non sembra suggerirlo l’esperienza americana, quale analizzata da Chad Syverson delle Booth School of Business della Università di Chicago nello studio Challenges to Mismeasurament: Explanation for the US Productivity Slowdown.

*Presidente del board scientifico di ImpresaLavoro

Un architetto under 40? In media guadagna la metà di un collega “anziano”

Un architetto under 40? In media guadagna la metà di un collega “anziano”

Isidoro Trovato – Corriere della Sera

Tecnicamente si chiama «Pay gap». È il baratro economico che separa i professionisti under 40 dai loro colleghi più anziani. Il divario dei redditi tra giovani e «maturi» ha ormai toccato quota 50,36%. È questo uno degli aspetti più eclatanti dei Rapporto sulla previdenza privata presentato oggi a Roma dal centro studi dell’Adepp (Associazione degli enti previdenziali privati). I giovani under 40, che nel 2007 dichiaravano un reddito medio di 23mila euro (lordi) fanno, oggi sono scesi a 21mila mentre gli over 40 si attestano ancora sopra i 43mila. Una gigantesca forbice che allontana mondi simili ma lontanissimi: distanze che si ampliano a dismisura se si analizzano i dati delle singole categorie.

Nel campo giuridico la differenza dei redditi tra giovani e anziani supera il 56% mentre nell’area delle professionì tecniche un architetto con meno di 40 anni dichiara in media 18mila euro (lordi) l’anno, il 34% in meno di un suo collega più anziano. In tal senso la crisi ha avuto un impatto diverso tra le varie professioni: nel mondo dell’avvocatura si è persino ridotto il gap tra giovani e anziani schiacciando tutti verso redditi più bassi. Prima della crisi infatti il reddito medio degli over 40 era di circa 75mila euro l’anno contro i 28mila dei colleghi più giovani, oggi il divario è sceso a 33mila euro. Diversa invece la dinamica nel gruppo delle professioni economiche, qui il divario generazionale si è ampliato: nel 2007 era al 55% mentre oggi è salito al 58%. Quindi dopo 7 anni i giovani commercialisti guadagnano 32mila euro l’anno in meno dei colleghi senior.

Effetti concreti su un mondo che in pochi anni si è trasformato (a volte disgregato) e fa fatica a trovare un equilibrio tra il suo fastoso passato (quando si parlava di caste e privilegi) e il suo magro presente in cui giovani che hanno studiato per anni, si sono specializzati, hanno superato ostacoli e trafile, oggi sembrano destinati (chi più chi meno) a una «vita spericolata» con pochi ammortizzatori sociali, un incerto futuro previdenziale e scarse certezze retributive.