Bruxelles faccia rotta sull’unione fiscale
Lugi Zingales – Il Sole 24 Ore
Tra le polemiche su chi si arroga (ingiustamente) il diritto di salire in cattedra e chi dovrebbe fare i compiti a casa prima di protestare, l’eurozona sta sprofondando nella deflazione senza un serio dibattito politico. Il conflitto che contrappone Mario Draghi ai falchi tedeschi, da Hans Werner Sinn ad Axel Weber, non è un dibattito tra italiani e tedeschi o tra buoni e (presunti) cattivi, non è neppure solo un dibattito economico, è principalmente un dibattito politico su quale Europa vogliamo. È un dibattito che non dovrebbe essere lasciato in mano solo ai banchieri centrali (passati, presenti o futuri), ma dovrebbe avvenire ai massimi livelli di governo, perché ne dipende la sopravvivenza stessa dell’eurozona.
Il problema fondamentale dell’area euro oggi è la deflazione. Draghi lo ha sicuramente capito, Hans Werner Sinn meno. Come ho scritto in agosto, però, per combattere la deflazione in Europa non basta il quantitative easing (Qe). Soprattutto non basta il quantitative che la Bce è in grado di fare. Giovedì lo hanno capito anche i mercati, che hanno reagito molto negativamente alle parole di Draghi. Quello che stupisce non è tanto il pessimismo, quanto il ritardo. Gli unici titoli che la Bce può comprare sono i titoli che in condizione normale la Bce può prendere a garanzia per operazioni di finanziamento. Proprio perché facilmente riscontrabili, questi titoli avevano già sul mercato un valore vicino alla pari prima dell’annuncio del Qe. Quindi il Qe non può funzionare aumentando il valore di questi titoli in portafoglio alle banche. Ma non può neppure funzionare aumentando la liquidità in mano alle banche, perché questi titoli erano già impegnati presso la Bce in operazioni di pronti contro termine. Trasformare un pronti contro termine in un acquisto dei titoli da parte della Bce aumenta la liquidità delle banche solo per l’ammontare dell’haircut, ovvero per il margine che la Bce richiedeva in queste operazioni. Presumibilmente questo margine è molto limitato, perché la Bce già da tempo sta cercando di pompare liquidità nel sistema. Ergo l’impatto sarà limitato.
Ma allora perché Draghi si ostina a spingere questa strategia? Perché non ha altre armi nel suo arsenale. Anzi, perfino queste armi spuntate generano l’opposizione da parte dei tedeschi, che le vedono come illegali secondo i trattati. Non sono un giurista, ma da un punto di vista economico non ho dubbio che i tedeschi abbiano ragione sul fatto che queste manovre violino lo spirito dei trattati costitutivi. La Bce è stata creata con un divieto assoluto di operare manovre fiscali, quali la monetizzazione del debito (quello che faceva Banca d’Italia prima del “divorzio” del 1981). Per quanto limitati, gli acquisti di titoli con del rischio di credito (come proposto da Draghi) hanno una componente fiscale. Se le società emittenti quei titoli fanno default, la Bce non può rivendere sul mercato i titoli e quindi ha di fatto monetizzato parte del debito. Date le restrizioni in termini di qualità di credito imposte dalla Bce, questa è una possibilità alquanto remota. Ma agli economisti tedeschi questo non importa: è il principio. Combattono questa battaglia sapendo di perdere, per vincere la guerra: bloccare qualsiasi mossa futura della Bce. L’eurozona è un’unione monetaria, non fiscale e non permetteranno mai che lo diventi attraverso manovre surrettizie.
Anche qui i tedeschi hanno ragione. Le decisioni fiscali sono di competenza dell’autorità fiscale in cui i cittadini sono rappresentati, non di un’autorità monetaria, per lo più un’autorità monetaria disegnata per essere totalmente indipendente dal potere politico. Dove non sono d’accordo con i tedeschi è sulla soluzione. La loro strategia è quella di trascinare il problema il più a lungo possibile, perché questa situazione di stallo beneficia il loro Paese. Per l’Italia e tutto il sud d’Europa questo stallo è devastante. O si procede rapidamente verso un’unione fiscale, o è meglio riconoscere che l’unione monetaria da sola non funziona e procedere a un divorzio consensuale, cercando di minimizzarne gli inevitabili danni collaterali. Rimandare il problema non aiuta a risolverlo e ci costa in termini di disoccupazione e desertificazione industriale. È questo il dibattito politico che vorremmo veder oggi in Europa.
La grande vittoria elettorale alle Europee proprio alla vigilia dell’inizio del semestre di presidenza italiana della Ue aveva offerto a Matteo Renzi un’occasione unica per aprire e condurre questo dibattito. Purtroppo già metà di questo semestre è passata senza un’iniziativa significativa. Tanto meno un dibattito serio su questi problemi. L’interesse di Renzi per l’Europa sembra essersi esaurito dopo la nomina di Federica Mogherini ad Alta rappresentante Ue per la politica estera e la sicurezza. Sicuramente una posizione prestigiosa. Ma procedendo in questo modo Mogherini rischia di trovarsi ministro degli Esteri di un’Unione che non esiste più.