Cassa integrazione, un meccanismo da smontare
Enrico Cisnetto – Il Messaggero
Caro Renzi, già che hai intenzione di fare 30, fai 31. O meglio, se fai 18 (quel solo articolo o addirittura l’intero Statuto dei lavoratori), fai allora un passo in più e smonta la cassa integrazione. Proprio ieri la Uil ci ha fornito gli ultimi dati: nei primi otto mesi di quest’anno si sono consumate circa 714 milioni di ore, corrispondenti a mezzo milione di posti di lavoro mantenuti artificialmente in vita. A fine anno si conteggerà poco meno di un milione c mezzo di lavoratori bisognosi di tutele.
L’altra faccia della medaglia di questi dati è rappresentata da quelli relativi alle imprese. La produzione industriale dal 2007 è scesa del 25%. Una perdita ormai consolidata e che nulla fa prevedere possa essere non dico assorbita ma almeno ridotta. E questo nonostante il forte rimbalzo delle scorte: per la prima volta da oltre un anno, le imprese segnalano un’eccedenza dei magazzini, il cui saldo sale ai massimi dal 2011. Un segnale del fatto che le aspettative di ripresa della domanda non si stanno concretizzando. E la premessa che una volta riempiti i magazzini, si dovrà ulteriormente rallentare la produzione.
Ora, in una condizione come questa, che dura da sette anni, è difficile credere che siamo di fronte ad imprese momentaneamente in difficoltà, che si stanno ristrutturando e in tempi ragionevoli torneranno in piena attività. Dunque, perché spendere una montagna di quattrini per tenere in vita posti di lavoro che solo in pochi casi si potranno dawero salvare? Non è meglio usare queste risorse per sostenere i lavoratori con un sussidio di disoccupazione? È non solo inutile, ma controproducente immaginare che la ripresa della nostra economia passi dal mantenimento in vita di aziende che non hanno più le caratteristiche giuste per competere. Meglio accelerare la loro morte e creare le condizioni per farne nascere di nuove, profilate sulle esigenze dei mercati di oggi. Pensate forse che se non fosse intervenuta la recessione quel quarto di produzione industriale che abbiamo perso sarebbe rimasta in vita? Forse per qualche mese, un paio d’anni, poi avrebbe dovuto soccombere perché quella che attraversiamo non è una crisi congiunturale, ma una stagione di cambiamenti epocali. Allora, mettiamo al riparo i lavoratori – non i posti di lavoro – sostenendoli con un welfare adeguato, che vada loro incontro ma che nello stesso tempo cessi qualora il sussidiato dovesse rifiutare offerte di impiego. E mettiamo le imprese nella condizione di affrontare la crisi con tutta la flessibilità possibile.
La libertà di licenziamento, con indennizzo ma senza clausola di reintegro, è uno strumento utile, ed è un riflesso ideologico pensare che gli imprenditori siano interessati ad abusarne. Anzi, essa li spingerebbe ad evitare tutte quelle forme contrattuali che in questi anni sono state inventate per evitare le rigidità del tempo indeterminato. Ma non basta. Occorre che il Welfare non induca gli imprenditori a voler essi stessi mantenere in vita aziende decotte. Una rivoluzione darwiniana, ecco quello che serve.