Ciò che i numeri non dicono
Enrico Marro – Corriere della Sera
Lasciamo in secondo piano il braccio di ferro con Bruxelles. Per certi versi ridicolo, ruotando sull’ipotesi di un aggiustamento dei conti pubblici italiani dello zero virgola, che costerebbe un paio di miliardi, su un bilancio che conta 835 miliardi di spese e 786 miliardi di entrate. Concentriamoci invece sulle due misure chiave della prima manovra del governo Renzi: 1) 5 miliardi di taglio dell’Irap, con un risparmio medio per le aziende di circa 700 euro all’anno su ogni dipendente; 2) 1,9 miliardi per azzerare i contributi sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato. Due misure che si sommano alla conferma degli 80 euro per dieci milioni di dipendenti, con positivi aggiustamenti a favore delle famiglie numerose e delle partite Iva a basso reddito. Complessivamente, la riduzione del cuneo fiscale è apprezzabile, a vantaggio delle imprese e delle retribuzioni nette. Inoltre, il contratto a tutele crescenti, previsto nel Jobs act, non solo costerà meno delle altre forme contrattuali, ma non avrà il vincolo del vecchio articolo 18 sui licenziamenti.
Questo insieme di misure va nella direzione giusta. Ma non basterà a rilanciare la crescita, se non saranno soddisfatte due condizioni: 1) il rilancio degli investimenti, a partire da un completo e miglior uso dei fondi strutturali europei (44 miliardi nel 2014-20); 2) la credibilità dell’Italia sulla capacità di onorare l’enorme debito pubblico e, gradualmente, di ridurlo. Su questi due punti la politica del governo non ha fatto un salto di qualità.
Il taglio della spesa scaricato per 7 miliardi su Regioni, Comuni e Province rischia di tramutarsi nell’ennesimo aumento delle imposte locali. Privatizzazioni e dismissioni immobiliari restano al palo. Quanto agli investimenti pubblici, sono previsti dallo stesso governo in calo. Il debito pubblico salirà anche nel 2015: al 133,4% del Prodotto interno lordo, dal 131,6% del 2014. Oppure dal 127,8% di quest’anno al 129,7% del prossimo, togliendo i 60,3 miliardi che finora l’Italia ha tirato fuori per finanziare i fondi europei salva Stati, di cui hanno beneficiato Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro.