Il realismo dei conti e il primo taglio lineare

Enrico Marro – Corriere della Sera

La notizia che i contratti pubblici, già bloccati per legge dal 2010, rischiavano di restare fermi ancora qualche anno fu data dai giornali per la prima volta il 10 aprile scorso. Bastava leggere il Def, il Documento di economia e finanza appena approvato dal governo Renzi, per leggere, a pagina 34 della sezione II, che la spesa per i dipendenti pubblici (164 miliardi di euro nel 2013) aumenterà dello 0,3% ma solo «nel 2018 in ragione della nuova indennità di vacanza contrattuale relativa al triennio 2018-2020». Ma se si prevede di pagare tale indennità (che recupera il 50% dell’inflazione) è perché, fino a quella data, non si ha in programma di rinnovare i contratti di lavoro. Il ministero dell’Economia reagì stizzito a questa interpretazione con un comunicato dove assicurava che «le notizie apparse sulla stampa non hanno alcun fondamento» e spiegava che le previsioni del Def «sono elaborate sulla base della legislazione vigente» che al momento non autorizzava il rinnovo dei contratti bloccati dal 2010.

L’ipotesi di una proroga del blocco è circolata sui giornali una seconda volta il mese scorso, ma è stata liquidata, insieme con altre, da Renzi in persona con un tweet: «I giornali di agosto sono pieni di progetti segreti del governo. Talmente segreti che non li conosce nemmeno il governo». Poi, l’altro ieri, improvvisamente, il sottosegretario alla Pubblica amministrazione, Angelo Rughetti, ha ammesso: «Non si può dare tutto a tutti. Se il Def non cambia con la nota di aggiornamento, lo stop ai contratti resta». Appunto. E ieri il ministro Marianna Madia, che pure aveva fatto spallucce alle indiscrezioni giornalistiche di agosto, ha confermato: «In questo momento le risorse per sbloccare i contratti non ci sono». Lo Stato risparmierà così almeno 2,1 miliardi solo nel 2015.

Raccontare come si è svolta la vicenda è utile. Perché essa è paradigmatica di come alla fine anche il governo Renzi debba fare i conti con la dura realtà. È evidente che, nonostante l’ottimismo per tanti versi meritorio del presidente del Consiglio, la coperta è sempre più corta. E non è questione di essere gufi. Ieri Renzi ha promesso che taglierà di 20 miliardi la spesa pubblica nel 2015. Se 2,1 miliardi verranno solo dal blocco dei contratti pubblici, dovrebbe ammettere che aveva ragione chi faceva osservare che non si possono fare tagli così importanti senza toccare le tre voci principali di spesa: pensioni, sanità e pubblico impiego appunto. Infatti, tanto per fare un esempio, dalla riduzione o «aggregazione» (come preferisce Renzi) delle municipalizzate si potrebbero al più risparmiare 500 milioni nel 2015, secondo stime dello stesso governo. Infine, che cos’è la proroga del blocco dei contratti pubblici se non un taglio lineare? Proprio quelli che il governo aveva promesso di non fare. Quanti altri ce ne saranno nella “nuova” Spending review?