Il colpo (quasi) a vuoto della Bce
Francesco Manacorda – La Stampa
Il bazooka anticrisi di Mario Draghi ha sparato, ma il primo colpo è meno forte di quel che ci si aspettasse: le banche dell’Eurozona hanno chiesto alla Bce 83 miliardi di crediti a tasso agevolato contro una previsione di circa il doppio. E soprattutto il bersaglio al quale il bazooka mira – fuor di metafora i finanziamenti che dovrebbero arrivare specie alle piccole e medie imprese – rischia, almeno in Italia, di non essere colpito. In una situazione in cui l’offerta di credito da parte delle banche si concentra su aziende in salute che hanno già abbondante liquidità, la domanda di finanziamenti arriva invece da chi spesso è fuori dai parametri per ottenerli e i nuovi investimenti latitano, non sarà facile per il nostro sistema cambiare marcia. Anche con l’aiuto del piano Tltro – così si chiama in gergo – di Francoforte.
Se oggi si guarda l’Italia con gli occhi di un banchiere il panorama è questo: un’impresa su quattro è in una situazione debitoria che le banche chiamano «deteriorata» ed è difficile, se non impossibile, farle credito aggiuntivo. Un’altra impresa su quattro è in ottime condizioni: esporta su mercati meno depressi del nostro, incassa e guadagna. È in grado di finanziare da sola il suo sviluppo e spesso rimanda a casa quei banchieri che si affollano davanti alla sua porta per farle credito. Restano altre due imprese, che rappresentano la media del sistema: magari per un periodo vanno bene e poi rallentano, magari ottengono una commessa importante che le aiuta a crescere, magari invece vedono il loro mercato di riferimento prosciugarsi. È con loro che i banchieri devono esercitare al massimo grado la loro arte, distinguendo chi merita credito e chi no, rispettando allo stesso tempo regole severe.
Se si guarda la stessa Italia con gli occhi di un imprenditore si vede un Paese dove è difficile prosperare e ancora più difficile investire. Non solo per i mali che ormai conosciamo a memoria – dall’incertezza del diritto al peso della burocrazia – ma anche perché è un Paese ripiegato su se stesso. Se si pensa di aprire un negozio dove saranno i clienti? Se si vuole costruire un palazzo chi comprerà gli appartamenti? Il 2014 è un altro anno non solo perso in termini di crescita, ma addirittura in retromarcia. Per il 2015 le prospettive di ripresa sono tiepide. L’effetto sui consumi degli 80 euro in busta paga per ora non si vede e le incertezze sul fronte fiscale non incoraggiano certo a spendere. Sarà scorretto dirlo, ma anche il divieto di pagamenti in contanti sopra i mille euro sta probabilmente dando un colpo ai consumi.
In queste condizioni è difficile che agli imprenditori basti avere denaro meno caro per decidere di investire. Ed è impossibile che le banche usino i finanziamenti della Bce – seppur praticamente gratuiti – per concedere crediti a chi non abbia un piano di sviluppo credibile. Federico Ghizzoni, il capo dell’Unicredit che è stata la banca italiana a chiedere la somma più alta di fondi del Tltro, sta girando da settimane a spiegare ai suoi uomini e ai suoi clienti le opportunità di fare e avere credito a basso costo. Ma anche lui ha dovuto rilevare che in Italia «gli investimenti industriali sono pochi». Altri banchieri, più cinici o più rassegnati, sono convinti che se non cambierà il clima la cosa più facile sarà prendere i fondi della Bce e investirli in titoli di Stato. Del resto, nonostante il piano di Francoforte sia mirato al finanziamento delle imprese non ci sono sanzioni per quelle banche che si tirano indietro: semplicemente dovranno restituire due anni prima, cioè entro settembre 2016, i soldi presi dalla Bce.
Per ripartire i soldi facili da soli non sono sufficienti. Serve anche una ripartenza dei consumi interni; serve una fiducia che si costruisce con fatica e si disperde con facilità; servono ovviamente le riforme che agevolino investimenti, anche se gli effetti di queste riforme non possono essere immediati. Draghi l’ha chiarito anche questa estate, annunciando passi aggiuntivi e non convenzionali di politica monetaria, quando ha chiesto ai governi di prendersi le proprie responsabilità sulle riforme. È lui, insomma, il primo a sapere che il bazooka da solo non basta.