Così lo stato nasconde quanto spende
Franco Bechis – Libero
Il suo nome tecnico è “cruscotto”. L’ha ideato Sogei, la società di secondo livello del ministero dell’Economia che è il braccio informatico dello Stato italiano. Il suo aspetto è molto simile a quello di un cruscotto di automobile: una plancia attraverso cui tenere sotto controllo tutti gli indicatori della spesa pubblica. Compito che non dovrebbe essere più così difficile: da qualche settimana è diventata obbligatoria la fatturazione elettronica per tutti i rapporti delle imprese con la pubblica amministrazione e anche fra impresa e impresa. Una condizione ottimale per tenere sotto controllo la spesa pubblica, ma anche per controllare in tempo reale la qualità di quella spesa. Se ogni fattura finisce in quel cruscotto di Sogei diventa immediato controllare ad esempio i costi standard di ogni categoria di spesa pubblica. Basta puntare quel cruscotto su due diverse Regioni ad esempio per capire quanto pagano per uno stesso acquisto: dalle famose siringhe per gli ospedali alla fornitura di mobili per gli assessorati, di gasolio per il riscaldamento e così via. Il cruscotto di Sogei è pronto. La fatturazione elettronica è in grado di far arrivare dati di spesa in tempo reale anche per il più piccolo ente pubblico. Ma tutto questo al momento è solo un fantasma. Possibile, ma non esistente. Il governo di Matteo Renzi, come al solito straordinario nel recitare giaculatorie e slogan di trasparenza, non ha dato l’ok all’utilizzo dei cruscotti. E analoghe barricate arrivano dagli organi rappresentativi degli enti (Comuni, Città metropolitane, nuove Province, Regioni, enti pubblici economici). La battaglia la sta tentando in solitaria il presidente della commissione bicamerale di vigilanza sull’anagrafe tributaria, Giacomo Portas. Lui è un deputato del Pd, ma atipico: è stato eletto alla Camera per la seconda volta come indipendente e leader del movimento “I moderati” che in Piemonte, Liguria e parte dell’Emilia Romagna sono alleati del Partito democratico ottenendo spesso numeri a doppia cifra. «Il cruscotto di Sogei – spiega Portas – è l’uovo di Colombo: basterebbe metterlo sul sito Internet di ogni amministrazione pubblica, dai Ministeri al più piccolo dei Comuni. E i cittadini potrebbero controllare direttamente se la propria amministrazione di riferimento spende bene o male i suoi soldi grazie alla possibilità di confrontare lo stesso acquisto con il cruscotto di un’altra amministrazione. Così si potrebbe scoprire se è vero o meno che una siringa costa il doppio in alcune Regioni rispetto ad altre». Che sia l’uovo di Colombo è vero, il problema è che proprio chi spingeva tanto per la trasparenza, dal premier in giù, non ha alcuna intenzione di mettere quell’uovo in padella.
Le resistenze sono fortissime ovunque, e prima ancora di sperimentare quei confronti sono in mille a mettere le mani e a fornire giustificazioni alla propria spesa, sostenendo l’impossibilità di confrontarla con quella di altro ente analogo. Il ministero dell’Economia non è d’accordo, ma non tutti al suo interno la pensano allo stesso modo. Lo ha fatto capire il viceministro Luigi Casero, proprio davanti alla commissione bicamerale di vigilanza sulla anagrafe tributaria. Lì ha spiegato che la fatturazione elettronica era strumento necessario innanzitutto per censire quello che oggi lo Stato non sa: il debito che ha nei confronti delle imprese per forniture alle pubbliche amministrazioni: «L’obiettivo – ha spiegato Casero – era partire con l’obbligo della fatturazione elettronica nei rapporti con la pubblica amministrazione, in modo tale da far sì che lo Stato fosse esattamente a conoscenza di quanto fosse il debito nei confronti della pubblica amministrazione e di chi. Questo percorso è appena partito, anche se ci sono una serie di problematiche che devono essere risolte. Ancora adesso alcuni fanno fatica a mandare le fatture, ci sono problemi di codici: ci sono una serie di questioni che devono essere superate. Nel momento in cui ci sono i dati a disposizione , oltre alla certificazione del debito c’è anche l’analisi del debito stesso. Quando gli elementi sono a disposizione, l’analisi diventa un aspetto fondamentale di politica economica dello Stato perché a quel punto si può andare a vedere la spesa, com’è stata fatta, confrontarla con il costo standard e così via». Casero ha poi aggiunto a titolo personale: «Secondo me, anche relativamente alla trasparenza, questa è una cosa che deve essere assolutamente portata avanti».
Buone intenzioni, ma alla fine le cose stanno andando in maniera diametralmente opposta a quella che si dice. Sulla spesa dei vari Ministeri, sulle consulenze varie, c’è con il governo Renzi molta meno trasparenza di quella che esisteva un anno fa, e perfino rispetto a 4 o 5 anni fa. Il nuovo governo ha – al contrario – fatto oscurare ogni dettaglio di spesa e di fatturazione perfino nell’amministrazione di palazzo Chigi, dove Renzi guida il governo e ha pure da febbraio la propria residenza privata. Il cruscotto cui tiene tanto Portas è oscurato e la spesa se ne va in grande libertà. È un fallimento ormai conclamato, così come lo è stato il tentativo di centralizzare gli acquisti della pubblica amministrazione attraverso la creazione della Consip: pur di non comprare lì a minor prezzo si è tirata fuori ogni scusa e alla fine quasi tutte le Regioni si sono fatte le loro Consip, moltiplicando le centrali d’acquisto e ovviamente anche quelle di spesa pubblica.