Il fisco italiano non merita fiducia: il caso degli investimenti in ricerca
Edoardo Narduzzi – Italia Oggi
Nei paesi avanzati le norme fiscali retroattive non sono pensabili. In sistemi fiscali meno rispettosi dei diritti dei contribuenti può accadere che un contribuente scopra a fine anno che la sua fiscalità è stata modificata con effetti che si iniziano a produrre dal precedente gennaio, mai nei paese dell’Ocse. L’Italia, purtroppo, rappresenta un’eccezione anche a questa regola di civiltà.Il governo Renzi, ad esempio, con l’ultima legge di Stabilità ha modificato con effetto retroattivo almeno tre norme fiscali: quella sulla riduzione dell’Irap del 10%; quella sul regime fiscale di fondi pensione e della casse previdenziali private; quella relativa al credito di imposta sugli investimenti in ricerca. Il caso dell’abrogazione retroattiva per l’intero 2014 del credito di imposta sulle spese di R&D è, poi, perfino paradossale nella sua attuazione. Perché penalizza due volte le imprese che hanno creduto nella serietà della Repubblica italiana.
Il governo Letta aveva introdotto, con decreto legge, data l’urgenza e l’importanza della materia, un credito di imposta del 50% sugli investimenti incrementali rispetto alla media del triennio 2011/13 per l’anno 2014. Supponiamo, come è sicuramente accaduto, che un’impresa abbia investito nel 2014 in attività di ricerca 500mila euro per dotarsi di una nuova offerta per vendere all’estero, visto lo stallo della domanda interna. L’impresa, nel fare il calcolo del costo effettivo del suo investimento e del periodo di payback, ha sicuramente incluso i 250mila euro di credito di imposta (supponiamo che non avesse fatto alcun investimento in R&D nel triennio precedente). Ora, in assenza del credito di imposta, il periodo di recupero dell’investimento raddoppia e quindi la convenienza in termini di cash flow generato si riduce di molto. A fine 2014, poi, la stessa impresa ha scoperto che il governo Renzi ha abrogato retroattivamente la norma che era stata determinante per indurla a investire in innovazione e l’ha lasciata da sola nel dover fronteggiare la copertura finanziaria dei 250mila euro che mancano nel suo piano. Con l’aggravante che, avendo creduto nella serietà fiscale dell’Italia, adesso di ritrova anche 500mila euro di investimenti in ricerca che entrano nel computo del nuovo triennio di franchigia introdotto dal governo Renzi. Se investirà altri 500mila euro in ricerca nel 2015 non avrà diritto ad alcun credito di imposta, stante la legge di stabilità attuale, e per recuperare i 250mila, teoricamente a lei spettanti nel 2014, dovrà investire addirittura 1,5 milioni di euro nel 2015: il credito di imposta è stato dimezzato al 25% e va decurtata la franchigia di 500 mila euro. Insomma cornuto e mazziato. Poi Renzi non può meravigliarsi se l’Italia fa poca innovazione e il pil ristagna.