Fornitori dello Stato in rivolta: «Versare subito l’Iva ci uccide»

Roberto Giovannini – La Stampa

Per lo Stato è quasi 1 miliardo di gettito atteso aggiuntivo; dunque una marcia indietro è praticamente impossibile. Parliamo dello «split payment», la misura introdotta dalla Legge di Stabilità che impone alle pubbliche amministrazioni di girare direttamente all’Erario l’Iva sui pagamenti ai loro fornitori di beni e servizi. Apparentemente sembra una misura di buon senso: invece di perdere tempo lasciando per qualche mese l’Iva alle aziende che lavorano col “pubblico”, a un certo punto poi costrette a girarla all’Erario, si evitano passaggi intermedi. E soprattutto si evitano le tristemente note «truffe carosello» con false compensazioni Iva. Eppure in queste settimane i costruttori dell’Ance e le associazioni di piccola e media impresa che compongono Rete Imprese Italia hanno lanciato l’allarme: «È una norma killer», affermano le associazioni, sostenute da M5S, Forza Italia e Lega, «il conto per noi è insostenibile». E come afferma il presidente dei costruttori dell’Ance Paolo Buzzetti, «per centinaia di imprese di costruzione sarà la fine». Protestano anche i professionisti, che pure sono esentati dalla novità.

Una vicenda, si capisce, che la dice lunga sulla stato di salute (pessimo) e sulla competitività (risibile) del nostro sistema d’impresa. Perché è davvero misero un paese in cui tante imprese rischiano di chiudere soltanto perché non disporranno più della liquidità rappresentata dall’Iva (dal 10 al 22% per ogni lavoro svolto) che fino all’anno scorso potevano utilizzare per qualche mese, e che oggi invece passa direttamente tra la pubblica amministrazione committente e l’Erario. E in effetti, spiega l’Ance, è proprio il «forte ammanco di liquidità rispetto a quanto attualmente incassato» a spaventare. Tenendo conto, dicono le aziende, che come noto lo Stato non solo ritarda moltissimo i pagamenti per i lavori svolti, ed è pure lentissimo nell’effettuare i rimborsi Iva alle aziende che ne hanno diritto.

E parlando con gli esperti di fisco e con quelli di governo, si capisce che è proprio il nodo della compensazione tra crediti e debiti Iva la ragione che ha spinto il governo a varare lo «split payment», e che preoccupa tante aziende. In precedenza, un’azienda che lavorava col «pubblico», prima di girare all’Erario l’Iva temporaneamente incassata, poteva detrarre da quella somma i crediti Iva, ovvero l’Iva versata a fornitori, subappaltanti e acquisti vari effettuati. Molto banalmente, spiegano al ministero di Via Venti Settembre, quasi sempre tra i crediti Iva si inserivano acquisti discutibili o fatture un po’ gonfiate, contando sull’inefficacia dei controlli fiscali. Per non parlare delle truffe vere e proprie con le fatture false create dalle cosiddette «cartiere». Non è un caso se dallo «split payment» lo Stato si attende moltissime entrate aggiuntive, blindate peraltro con una «clausola di salvaguardia» sulle accise dei carburanti. E il ritardo nei rimborsi Iva «onesti»? Il governo assicura che impiegherà non più di sei mesi per restituire l’Iva «passiva», ma le imprese non ci credono. L’Ance ha varato una raccolta di firme, Rete Imprese chiede correzioni nel «milleproroghe».