Il divieto di importare Ogm è un suicidio
Davide Giacalone – Libero
Dopo il suicidio Ogm, agricolo e scientifico, si prepara quello degli allevamenti. L’Italia del pregiudizio s’appresta a pregiudicare una vitale catena produttiva. L’alternativa al suicidio consiste nella più ridicola delle incoerenze. Alla fine di questa storia ci ritroveremo ad avere geneticamente modificato, e cancellato, la ragionevolezza.
Il trionfo della paura irrazionale e della regressione antiscientifica si ebbe durante la presidenza italiana dell’Unione europea, quando i nostri ministri dell’agricoltura, della sanità e dell’ambiente tornarono felici e annunciarono di avere affondato, in un sol colpo, sia l’idea stessa di Ue che la nostra ricerca scientifica e produzione agricola. Risultato che avevano colto suggerendo e ottenendo che ciascuno Stato potesse continuare a proibire (sebbene in via temporanea) la coltivazione degli Ogm (organismi geneticamente modificati) nei propri campi. A quel punto andava a farsi benedire il pilastro giuridico del mercato comune, ovvero che ciascun cittadino europeo può competere con gli altri, a parità di diritti.
Da noi è proibito quel che altrove è consentito. La proibizione in sé è totalmente illegittima, quindi passibile di condanna davanti alla Corte di giustizia. La sua temporaneità è il trucco per renderla possibile. Ricordo che: a. Buona parte della ricerca scientifica Ogm è made in Italy, sicché l’ordalia superstiziosa costringe i migliori cervelli a emigrare; b. i nostri allevamenti consumano, al 90%, soia e mais Ogm, ma d’importazione. Risultato: mangiamo Ogm ogni giorno, ma non possiamo produrli e non è conveniente neanche tenere in Italia i laboratori di ricerca, visto che non c’è mercato.
Ora la Commissione europea s’appresta a un passo avanti, verso il baratro: così come ciascun Paese può proibire la coltivazione potrà anche proibirne l’importazione. E qui si apre un bivio, che sarebbe ridicolo se non fosse tragico: o, coerentemente, proibiamo anche l’importazione, nel qual caso non ci saranno più mangimi nei nostri allevamenti, o dovremo importarne di così costosi da mettere le nostre produzioni fuori mercato; oppure, incoerentemente, stabiliremo che si può importare quel che non si può produrre, continuando a prendere in giro noi stessi e a far finta che, così, non si mettano gli Ogm nel piatto degli italiani.
Del resto, perché mai abbiamo proibito la coltivazione? Perché pericolosa? In questo caso non dovremmo certo agevolare chi quel pericolo lo pratica in 73 milioni di ettari statunitensi, 42 brasiliani, 24 argentini e 12 indiani (solo per’citare le più diffuse coltivazioni). Né possiamo consentire che, mangiando quella roba, le carni che poi commerciamo riconsegnino il pericolo ai consumatori. Siccome, però, non sapremmo come altro fare, ecco che siamo prossimi alla fine della filiera degli allevamenti. Se, invece, proibiamo la cosa solo perché non abbiamo l’onestà e il coraggio di dire l’ovvio, ovvero che gli Ogm non solo sono diffusi ovunque, non solo li consumiamo massicciamente, ma non presentano alcun pericolo, se proibiamo solo per seguire la gnagnera insulsa del falso biologico e del falso naturale (non c’è nulla, fra le cose che mangiamo, che sia tale e quale la natura creò, nulla), allora dovremo sopravvivere grazie all’incoerenza.
Alternativa piuttosto triste, cui si giunge dopo il festival dell’ignoranza e della superstizione. Gran risultato per chi, come noi, nell’innovazione e nella qualità alimentare dovrebbe avere fonti di orgoglio e ricchezza. Non di risibile miseria culturale ed economica.