Meglio tardi che mai. Non è Cottarelli ad aver sbagliato, è fallimentare l’idea stessa di un commissario alla spesa pubblica

Enrico Cisnetto – Il Foglio

Non ne sentiremo la mancanza. Se è vero che “mister spending review”, alias Carlo Cottarelli, lascerà l’incarico per riapprodare al Fondo monetario, da dove proveniva prima che qualcuno avesse la fessa idea di chiamarlo a sforbiciare la nostra spesa pubblica, inefficiente prima ancora che eccessiva, trattasi di una buona notizia. Anzi, potrei dire meglio tardi che mai, visto che a marzo in questo stesso spazio scrissi una sorta di lettera aperta a Renzi suggerendogli di “rottamare” il commissario alla revisione della spesa come primo costo da tagliare. Ma non per Cottarelli, che non conosco personalmente e nei confronti del quale non ho alcuna riserva tranne quella derivante dal fatto che a suo tempo avesse accettato un siffatto incarico. Anche perché non fu Renzi ad aver avuto la cervellotica pensata di nominare un commissario che con un lanternino si mettesse a cercare eccessi di spesa e di sprechi – sia chiaro, non per i 258mila euro del suo emolumento, che queste sono le miserie populiste cui si attaccano coloro che non hanno idee in zucca – e dunque decidere che a dover essere rottamato non è Carlo Cottarelli ma la figura stessa del commissario non rappresenterebbe per il presidente del Consiglio alcuna forma di autocritica (pratica cui non sembra avvezzo).

Il vero problema, infatti, sta nell’aver immaginato che il governo potesse delegare il compito di ridurre e riqualificare la spesa pubblica – perché di entrambe le cose c’è bisogno, in Italia – a un soggetto privo di rappresentanza e responsabilità politica. E non solo perché ciò denuncia la tendenza della politica a sfuggire ai propri obblighi, cosa che contribuisce in modo devastante al processo di delegittimazione delle istituzioni già in atto, ma anche e soprattutto perché non è così che si ottengono i risultati che si dice di voler perseguire. La spesa pubblica è stata per decenni ed è tuttora il perno intorno a cui ha ruotato buona parte dell’economia italiana e su cui si è retto l’equilibrio sociale del Paese. Ora, renzianamente parlando, il sistema va “rivoluzionato”, e ciò si ottiene solo con le riforme strutturali, non con la ricerca dello spreco qui e della corruzione là, importante nella comunicazione politica ma del tutto secondaria nella realtà macro dei fatti. La rivoluzione non si fa tagliando il numero di auto blu e mettendone qualcuna all’asta. Tantomeno si realizza con i tali lineari, che incidono carne morta e viva allo stesso modo. Anzi, l’obiettivo primario non è neppure la riduzione della spesa bensì le riforme di sistema. Nel senso che quei 7-8 punti di spesa sul Pil di cui dovremmo liberarci diventano conseguenza delle riforme stesse. Le quali non possono che essere concepite e realizzate da governo e Parlamento. Anche perché altrimenti si finisce con scrivere manovre di bilancio che prevedono riduzioni di spesa immaginarie. Come i 14 miliardi ipotizzati per il 2015, di cui non si vede neppure l’ombra.

Prendiamo la previdenza, che nella classifica della spesa è al primo posto. Non va bene che eventuali tagli alle pensioni siano immaginati per ridurre la spesa corrente in modo da far rientrare nei pagamenti il deficit, perché l’equilibrio della spesa previdenziale deve essere calcolato nel lungo periodo. Né tantomeno ha senso che interventi, anche piccoli e una tantum, siano oggetto di spending review – come quelli indicati nello stesso studio presentato da Cottarelli al governo – perché non possono e non devono essere concepiti al di fuori delle sedi istituzionali proprie.

Altro esempio: la sanità, che è al secondo posto in classifica. Ora il commissario può anche scoprire che il posto letto o la siringa in Calabria costano molto di più che in Lombardia, ma la questione va affrontata alla radice a monte. Ha senso che esistano venti sanità diverse? Ha funzionato il passaggio delle competenze alle Regioni, visto che ben sei sono commissariate e almeno altrettante dovrebbero esserlo? No. E allora si faccia la (contro)riforma del Titolo V avendo il coraggio di riportare in capo allo Stato centrale una spesa regionalizzata che in molti casi è del tutto fuori controllo. E già che ci siamo, semplifichiamo un decentramento amministrativo elefantiaco che produce burocrazia e corruzione. L’obiettivo è ridare efficienza alla macchina amministrativa e ripensare il fallimentare Sistema sanitario. Ma vedrete che, come conseguenza, avremm anche un risparmio di spesa, a regime, di almeno 100-120 miliardi. Un lavoro che non può essere affidato ad alcun commissario, neppure fosse il miglior tagliatore di costi del mondo e per di più lavorasse gratis.

Dunque, Renzi approfitti dell’addio di Cottarelli per cambiare strada. Anche perché, se non gli riuscirà di andare a elezioni in autunno – cosa difficile, anche se i maghi del filibustering ce la stanno mettendo tutta per dargli una mano – gli toccherà fare una manovra correttiva prima di fine anno che non potrà certo essere fatta di maggiori entrate fiscali da lotta all’evasione e minori spese da spending review. Non se le beve più nessuno.