Quel difficile confronto con l’Europa sulla legge di bilancio
Ricardo Franco Levi – Corriere della Sera
Nelle intenzioni e nelle speranze dell’Italia che l’aveva proposta a fine agosto, la Conferenza dell’Unione europea sul lavoro che si terrà domani a Milano avrebbe dovuto essere il grande appuntamento per affrontare con proposte concrete e condivise la piaga della disoccupazione, a partire da quella giovanile, vera emergenza dell’Europa. Purtroppo non sarà così. Vista l’opposizione soprattutto tedesca e, personalmente, del cancelliere Angela Merkel a un’enfasi sulla disoccupazione che avrebbe potuto portare a un indebolimento della linea dell’austerità sui conti pubblici, non sarà un vero e proprio vertice ma (e non è poco, visto il rischio che l’appuntamento fosse addirittura cancellato) solo un «dibattito aperto e libero», prima tra ministri del Lavoro e poi tra capi di Stato e di governo.
Questo passo indietro è un segnale indicativo del vento gelido che soffia sull’Europa e segna per l’Italia l’avvio di un difficile slalom sulla pista ghiacciata e tra le porte strette del calendario europeo. Il 15 ottobre il governo italiano presenterà la bozza della legge di bilancio alla Commissione europea che, da quel momento, avrà due settimane di tempo per approvarla o rimandarla al mittente per una riscrittura. Il 23 ottobre ci saranno un Consiglio europeo (l’istituzione che riunisce i capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione) dedicato a un esame della situazione economica dell’Unione accompagnato da un «summit» della zona euro. Il primo di novembre, sempre che le audizioni di fronte al Parlamento europeo non portino alla bocciatura di uno o più commissari e quindi a uno slittamento della data, s’insedierà la nuova Commissione europea presieduta dal lussemburghese Jean-Claude Juncker. Il 4 di novembre la Commissione presenterà le proprie previsioni d’autunno che varranno a dare il quadro di riferimento aggiornato per l’evoluzione dell’economia europea. Entro il 30 di novembre, ma con buona probabilità attorno al 12, la Commissione renderà nota la propria opinione sulla bozza di bilancio presentata dal governo italiano. Un vero e proprio slalom, dunque. E in condizioni molto, ma molto impegnative. La settimana scorsa, a fronte di una crisi che continua a far sentire il proprio morso e che sconsiglia di gettare altra acqua gelata su economie già depresse, tanto l’Italia quanto la Francia hanno annunciato programmi di finanza pubblica che non rispettano gli impegni presi con l’Unione europea. L’Italia, pur impegnandosi a mantenere il disavanzo sotto il limite del 3 per cento del prodotto interno lordo, ha rimandato dal 2015 al 2017 il pareggio di bilancio strutturale (un traguardo che, al di là del dettaglio tecnico, segna il raggiunto equilibrio dei conti pubblici). La Francia è andata anche oltre, annunciando che fino al 2017 resterà sopra, e abbondantemente sopra, pure al limite del 3 per cento. Possiamo sperare, affiancandoci alla Francia, di godere di un occhio di riguardo da parte degli altri Paesi membri e delle autorità dell’Unione europea?
La risposta, è bene non farsi illusioni, è «no». No, perché il fronte dell’austerità si è ormai esteso a comprendere quasi tutti i Paesi, non più solo la Germania e i suoi alleati più tradizionali (Austria, Repubblica Ceca, Olanda, Finlandia, Paesi baltici) ma anche Paesi «periferici» come la Spagna e addirittura il Portogallo che nelle ultime riunioni si è segnalato ed espresso come «il più duro tra i duri». In queste condizioni, cosa può fare e cosa può aspettarsi l’Italia?
Stante le regole attuali – regole, è bene ricordarlo sempre, volute e approvate dai governi – una bocciatura della bozza di bilancio approvata martedì scorso dal governo con la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (il cosiddetto Def) di aprile è da mettere nel conto delle cose possibili. Appellandoci al grado di flessibilità, invero importante, previsto dalle regole comuni e facendo valere la clausola sulla «severa recessione» nella zona dell’euro o dell’intera Unione potremmo cercare di negoziare un allungamento dei tempi concordati per il raggiungimento del pareggio di bilancio o una temporanea sospensione delle eventuali procedure di infrazione. Ma l’aria che tira non sembra particolarmente favorevole a questa via d’uscita. A meno che… A meno che il governo italiano non sia in grado di mettere sul piatto un pacchetto di riforme così rilevante nella sua portata e così credibile nella sua realizzazione (attenti però! brucia ancora il ricordo di quando la Francia ottenne due anni in più per mettersi in regola, salvo poi non mantenere alcun impegno) da mutare i termini della situazione. Termini – è chiaro -, non tecnici, ma chiaramente ed esplicitamente politici.
La più difficile delle curve che lo slalom potrà presentare sarà quella che potrebbe seguire a un’eventuale bocciatura della bozza di legge di bilancio. In quel caso, potrebbe essere forte la tentazione di rilanciare con una sfida, di rispondere contestando apertamente ogni disciplina e minacciando di seguire la Francia sulla strada di bilanci con disavanzi non più diligentemente sotto il 3 per cento ma volutamente e abbondantemente sopra quel limite. Per l’Europa dell’euro potrebbe essere un momento di rottura. Per l’Italia, appesantita da un enorme debito pubblico, si potrebbe aprire una partita molto dolorosa con i mercati finanziari.