Scommessa da 80 euro
Davide Giacalone – Libero
La scommessa degli 80 euro, fin qui, si dimostra vincente dal punto di vista elettorale e perdente sul fronte dei consumi, che non sono aumentati. Lasciamo da parte gli opposti fronti del partito preso, talché per i tifosi del governo sarebbe stata una grande svolta e per gli oppositori una gran presa in giro. I primi potrebbero sostenere che è ancora presto per valutare, i secondi devono prendere atto che il bonus c’è, in determinate buste paga (e che il provvedimento somiglia a quello sulle pensioni minime, alzate d’ufficio dal governo Berlusconi). È più interessante cercare di capire il perché questo modo di procedere non è in grado di risolvere alcun problema.
Due elementi sono evidenti a occhio nudo: 1. gli 80 euro non sono 80, chi ha di meno (quindi una maggiore propensione a consumare ogni centesimo che incassa) prende nettamente meno; 2. il bonus arriva in contemporanea non solo con gli aggravi fiscali relativi alla casa e al risparmio, ma anche in una caos tributario che delude, quando non cancella, ogni speranza di potere avere più reddito disponibile. Già questo tandem è bastevole a far passare ogni voglia di pedalare. Ma, anche qui, si potrebbe ottimisticamente sperare che una volta passate le scadenze fiscali, ove i soldi risparmiati non siano da quelle vaporizzate, passa anche la paura e tornano i consumi. Ed è qui, forse, che si nasconde l’errore più grosso.
L’Italia non è un insieme d’individui, ma di famiglie. Quando il presidente del Consiglio presentò questa iniziativa l’argomentò dicendo: una madre potrà andare una sera in più a mangiar fuori con le amiche. Ha ragionato, insomma, considerando quella madre come un individuo che fa i conti per sé. Nella realtà, però, quella madre (con il padre, i figli e i nonni) vive in un gruppo familiare, che ha visto, in questi anni, notevolmente scendere il reddito disponibile. Sicché il bonus va a compensare parte della perdita, non a creare un di più che sarà gradevole spendere.
Confesercenti ha calcolato che, dal 2008 a oggi, i pensionati hanno perso 1.419 euro di reddito. Circa 118 al mese. I nuclei familiari in cui ci sono dei pensionati sono anche fortunati, nel senso che hanno un cespite sicuro, ma 118 meno 80 fa pur sempre 38: mancano ancora 38 euro. Ci vorranno 17 mesi e mezzo per recuperare quel che si è perso. Sempre ammesso che non si continui a perdere e facendo finta che siano davvero 80. Con questo ritmo ne riparliamo nell’ottobre del 2015.
Confcommercio fa osservare che le nuove imprese che aprono sono la metà di quelle che hanno chiuso e chiudono. Considerando il reddito di quell’attività commerciale come componente di un reddito familiare ecco che cresce la distanza fra quel che si è perso e quel che si riprende. Con quella cresce anche la distanza temporale per recuperare, ammesso che sia mai possibile farlo. Ma se proiettiamo così avanti nel tempo gli sperati effetti del bonus da (meno di) 80 euro ecco che si entra in uno spazio nel quale non solo non è affatto detto che si stabilizzi, dato che le coperture trovate sono relative solo ed esclusivamente al 2014, ma c’è anche il rischio, negato a parole ma concreto nei numeri, che altri aggravi fiscali giungano a correggere i conti pubblici, oggi sbilanciati verso un deficit superiore al previsto (anche perché il prodotto interno lordo cresce di un terzo, quindi due terzi in meno, rispetto alle previsioni governative).
Il tutto assumendo che la crescita dipenda dalla ripresa della domanda interna, laddove sarebbe corretto considerare che la domanda interna dipenda dalla crescita. Che non è un gioco di parole, o il cane che si morde la coda, ma il cuore della scelta politica da farsi: tagliare le spese pubbliche per alleggerire la pressione fiscale sul mondo produttivo, quindi rilanciando la produttività e premiando l’Italia che ha continuato a correre ed esportare; oppure usare quei tagli (che siccome non ci sono diventano maggiore peso fiscale) per premiare i consumatori, senza alcuna contropartita produttiva. Il governo, con il bonus, ha imboccato la seconda strada. Credo sia corretta la prima. E se questo mio ragionamento non è sballato non serve a nulla attendere, se non a perdere tempo.
Matteo Renzi potrebbe rispondere: non sono così sprovveduto, e con me i miei consiglieri e ministri (oddio…), ho usato il bonus per avere maggiore forza e ora che l’ho avuta posso varare quelle riforme destinate a rendere credibile la prima strada. Magari fosse vero. Escluderei di accendergli un cero, ma sarei disposto al monumento equestre. Magari fosse. Gliecché, al momento, le riforme sono annunci, o abbozzi bozzolosi, e le tasse sono realtà. Così procedendo i conti non torneranno mai.