Scuola, Stato e pluralismo educativo
di Carlo Lottieri
Ha in sé qualcosa di grottesco la volontà del ministro francese Najat Vallaud-Belkacem di escludere da tutte le scuole della Repubblica (in quanto ritenuta “sessista”) la favola di Cappuccetto Rosso. Sempre più spesso stupidità e politicamente corretto procedono assieme, restringendo gli spazi di libertà dei singoli. Sullo sfondo di tale vicenda, però, c’è una questione più generale che riguarda il nostro paese non meno che la Francia: e si tratta dei programmi ministeriali.
In Italia come in Francia, come in molti altri Paesi occidentali e non solo, le scuole sono istituzioni che godono di una libertà molto limitata. Un po’ ovunque, insomma, la classe politica di governo pretende di definire e orientare cosa deve essere insegnato nelle aule e in che modo. D’altra parte, fin dal diciannovesimo secolo l’istruzione di Stato è un pilastro fondamentale di un progetto ben preciso che punta a controllare l’intera società, tenendo sotto controllo gli spazi in cui i giovani definiscono i loro principi, valori e ideali.
In tal modo le aula scolastiche di Stato sono destinare a essere di volta in vola fasciste, laiciste, clericali, comuniste, tecnocratiche e via dicendo. Le classi politiche proiettano le proprie logiche sull’intera società e usano il sistema d’istruzione per manipolare le giovani menti. La relazione tra il giovane e la famiglia viene progressivamente svuotata, per favorire una maggiore uniformità culturale e “costruire” buoni cittadini, contribuenti ed elettori.
L’argomento usato dai difensori dell’educazioni di Stato è ben noto. Alle istituzioni pubbliche spetterebbe il compito di “liberare” la società dai pregiudizi. Un’élite di persone illuminate avrebbe insomma il compito di far crescere una società più moderna, aperta e tollerante, anche se poi resta sempre da definire quale si il vero contenuto di tali modernità, apertura e tolleranza. Senza dubbio l’idea di un’istruzione pubblica e comune a tutti muove comunque dalla tesi che vi è chi possiede un punto di vista e, per questa ragione, ha il diritto e il dovere di controllare il sistema d’istruzione.
L’alternativa esiste e si chiama pluralismo educativo. Opponendosi alla visione tecnocratica e statalista, questa tesi valorizza la diversità dei punti di vista e la necessità di meccanismi concorrenziali, così che all’interno della medesima società si possa scegliere tra proposte educative diverse. In tal modo ogni scuola dovrebbe essere spinta a sviluppare una propria modalità d’insegnamento e a individuare i contenuti più adatti a una vera crescita umana e professionale.
In questa visione le famiglie sono centrali. In una società liberale, d’altra parte, l’argomento statalista secondo il quale taluni genitori possono usare la propria funzione per inculcare idee violente, fondamentaliste ed estreme non può essere utilizzato per spogliare padre e madre del diritto a educare i figli secondo i propri valori. In linea di massima, nessuno ama i propri figli come la madre e il padre, e per questo motivo è bene che l’educazione sia primariamente nelle loro mani.
Ovviamente un padre che manipola il figlio fino al punto da spingerlo a trasformarsi di una “bomba umana” perde il diritto a prendersene cura, ma questa situazione-limita non può essere chiamata in causa per dissolvere la centralità della famiglia e per negare un fatto cruciale: e cioè che le scuole devono sempre rispondere di fronte ai genitori dei ragazzi di ciò che insegnano e del modo in cui lo fanno. Solo se gli istituti scolastici fanno di tutto per andare incontro alle esigenze delle famiglie possono sperare di avere un buon sistema educativo.
Abbiamo insomma bisogno non già di miniatri che ci dicano cosa i bambini devono leggere, quali materie devono studiare, in quali valori devono credere, ma invece di un mercato di soluzioni educative dierse fra loro, con o senza Cappuccetto Rosso. E abbiamo necessità di dirigenti scolastici che siano animati da uno spirito imprenditoriale e comprendano la necessità di mettersi al servizio dei giovani e delle loro famiglie, sforzandosi d’individuare le soluzioni migliori. La scuola, come ogni altro ambito, può funzionare se non è fuori mercato. È bene che lo si comprenda alla svelta.