Un rischioso senso di impotenza
Francesco Guerrera – La Stampa
A prima vista, la differenza non si vede. Come sempre, il lago di Como risplende nel sole autunnale, Villa d’Este pullula di potenti italiani e stranieri e i dibattiti vertono su argomenti profondi, seri e ambiziosi («Agenda per cambiare l’Europa»; «Oggi il mondo di domani»; «Un’alternativa per l’Italia» e così via). Ma a ben guardare c’è qualcosa di strano al forum economico Ambrosetti versione 2014. L’élite di politici, economisti e scienziati vede riflessa nelle acque cristalline del lago l’immagine della propria impotenza.
Dai conflitti dell’Est-Europa alle barbare decapitazioni nel Medio Oriente, dall’anemia economica che affligge l’Europa alla riluttanza a investire da parte d’imprenditori e aziende, i più importanti esponenti della politica e della finanza mondiale poco possono. Se ne parla, dei problemi annosi e di quelli più recenti, si cercano di mandare messaggi a Putin, a Draghi, a Renzi; si critica la leadership di Obama e la strategia pappamolla dell’Unione Europea nei confronti della Russia. Ma sembra un copione un po’ stanco. Un dovere più che un desiderio vero di affrontare le sfide enormi che la geopolitica e i mercati stanno ponendo alla classe dirigente del pianeta. «Nell’era del terrore, non ci sono vittorie, solo successi temporanei», ha detto uno dei partecipanti alla platea. Si riferiva al terrorismo che sta sconvolgendo il Medio Oriente, ma è una frase che si addice anche ad altre questioni.
Il simposio della Ambrosetti stava per iniziare giovedì quando la Banca Centrale Europea ha sorpreso i mercati con un nuovo taglio ai tassi d’interesse e l’inizio di una manovra di stimolo enorme. Gli investitori hanno applaudito, gli imprenditori, soprattutto quelli che esportano, si sono preparati a godersi un euro in ribasso e le banche hanno promesso di prestare di più. Ma il «magic moment» non è durato nemmeno ventiquattr’ore. Venerdì mattina, è arrivato Peter Praet, uno dei luogotenenti di Mario Draghi, a stemperare gli entusiasmi. «Le politiche monetarie possono solo comprare del tempo e non risolvere i problemi strutturali delle nostre società», ha spiegato il barbuto belga, che siede nel comitato esecutivo della Bce. Traduzione: noi banchieri centrali abbiamo fatto tutto il possibile e forse di più, se i politici non ci aiutano, la ripresa economica ve la scordate e i miliardi di stimolo staranno buttati al vento. I mercati questo lo sanno e hanno già ripreso il tran-tran di prima del taglio dei tassi. La differenza cruciale con l’America, dove queste dosi da cavallo di stimolo hanno evitato la depressione e rilanciato l’economia, è che l’economia Usa è più flessibile. Lascio ad altri i giudizi politici e morali sui diritti dei lavoratori e i costi della sanità e altri servizi, ma non c’è dubbio che gli Stati Uniti sono un atleta più agile: quando cadono al tappeto si rialzano più velocemente della vecchia Europa. Gli investitori se sono accorti e stanno spingendo le Borse americane da record a record, nonostante i venti di guerra provenienti dall’Est e dal Sud del mondo.
Non è che la mossa di Draghi non avrà effetti positivi: l’euro scenderà aiutando i produttori europei che vogliono vendere all’estero. E anche gli spread sui buoni del Tesoro andranno giù, consentendo a debitori cronici come l’Italia di respirare un pochino. Ma non sono vittorie definitive, solo successi di tappa, traguardi della montagna in una corsa in cui non si sono ancora affrontati né le Alpi, né i Pirenei.
Quando ho chiesto a un imprenditore straniero perché non investisse di più in Italia, ha guardato per un po’ il lago, forse cercando di non offendermi con la sua risposta. «Che le devo dire?» ha sospirato. «Qui ci vogliono mesi per ottenere permessi e il mercato del lavoro è ossificato».
«Però il posto è stupendo», ha aggiunto, quasi scusandosi per le parole sincere e crudeli. Non è il solo. Quando i partecipanti del forum hanno dovuto indicare il loro livello di fiducia nelle sorti economiche dell’Ue, quasi la metà ha risposto «basso» o «molto basso». E’ una statistica preoccupante, soprattutto perché rilevata a meno di due giorni dall’annuncio dello stimolo massiccio della Bce. La realtà è che le fantomatiche «riforme strutturali» – il mercato del lavoro, le pensioni, la sanità, le tasse ecc. ecc. – non le fa o non le vuole fare nessuno. Non i politici, né tantomeno l’elettorato. Forse l’attuale governo italiano sarà un’eccezione, ma per ora quasi tutta l’Europa è afflitta dalla sindrome «nimby», l’acronimo inglese per «Not In My Back Yard»: fate pure qualsiasi riforma, ma non nel mio cortile di casa.
L’impotenza dell’economia fa da contrappunto alla debolezza della politica estera dei blocchi occidentali. Dietro le quinte settecentesche di Villa d’Este il dialogo su l’Ucraina e il terrorismo islamico è stato un misto deprimente di dichiarazioni aggressive e ammicchi al compromesso, con l’Europa e l’America impegnati in un gioco transatlantico di scaricabarile. «Putin non ha niente di cui temere da questi qui», mi ha detto un esperto di politica estera dopo l’ennesimo briefing fine a se stesso. Niente è ancora perduto perché l’economia e la politica offrono spesso un’altra chance, ma sprecare giorni, settimane e mesi non facilita la situazione. I terroristi si sentono più forti, i nemici ai confini osano di più e i cervelli e gli investitori vanno altrove. Forse il problema è l’esistenza del salotto buono, come crede il primo ministro. Oppure il fatto che quelli seduti sui divani si ostinano a passare il tempo tra il futile e il dilettevole.