giallo-rosso

Sul fisco servono le ricette del ’94. Ma i giallorossi faranno il contrario

Sul fisco servono le ricette del ’94. Ma i giallorossi faranno il contrario

Massimo Blasoni è il presidente del Centro studi di ispirazione liberale ImpresaLavoro, ma soprattutto un imprenditore di prima generazione. Con il Gruppo Sereni Orizzonti, uno dei principali operatori sul mercato, costruisce e gestisce residenze sanitarie per anziani in Italia, Germania e Spagna.

In Italia c’è poca o troppa politica?

«È un’opinione personale, sia chiaro, ma le vicende politiche degli ultimi mesi fanno pensare a una soap opera. Colpi di scena, esibizioni estive, repentini cambiamenti di fronte: gli ingredienti ci sono tutti. Le pagine politiche rischiano di assomigliare a quelle del gossip. Poco male se le scelte dei partiti non ricadessero pesantemente sulla vita di tutti noi. Oggi a valori reali gli italiani sono più poveri di quanto non lo fossero nel 2007 e il reddito pro capite tedesco è ormai una volta e mezzo il nostro. Bassa crescita e debito sono un cocktail devastante».

Riuscirà a modificare la situazione attuale il nuovo governo giallo-rosso?

«Temo proprio di no, anzi il rischio è che lo statalismo e il giacobinismo dei 5 Stelle si saldino con la parte del Pd che è ancora ancorata alla centralità della Pa ed è latamente antagonista dell’impresa. Non credo che si privatizzerà Alitalia o si porteranno a termine processi incompiuti come quello di Poste Italiane e Ferrovie. Non credo nemmeno che muterà l’atteggiamento sostanzialmente contrario alle grandi opere dei 5 Stelle. Un errore marchiano in un Paese che ha invece bisogno di rafforzare il sistema di infrastrutture fisiche e digitali. Vagheggiare come risolutivo l’intervento pubblico è quanto di più sbagliato si possa fare. La soluzione non è incrementare il ruolo dello Stato in economia ma piuttosto il contrario. Bisogna agevolare la nascita di nuove imprese non promettendo contributi pubblici ma attirando gli investimenti con meno burocrazia, meno tasse e più formazione dei lavoratori. Occorre trasferire ai giovani il messaggio che è possibile realizzare le proprie idee e creare un’azienda. Andrebbero riproposte misure come quella parte del decreto Tremonti del 1994 che per un triennio stabiliva la completa detassazione delle nuove imprese avviate da under 32. Toglieva Ires, Irap e imposte comunali per l’esercizio di imprese e per ogni tributo i connessi gravosi adempimenti burocratici».

«Statisticamente sì, per certo nel mio caso. Ho avviato la mia azienda sulla base di questa misura che semplificava lo start up e oggi ho più di 3000 dipendenti».

Altre cose da fare?

«Comprendere che non è frutto di un ordine necessario che lo Stato gestisca molta parte della nostra vita. Se penso al sistema pensionistico, ad esempio, è oggettivamente insostenibile e rischia di minare la stabilità dei conti pubblici tanto che ogni anno occorre utilizzare risorse della fiscalità generale per pareggiare i conti in rosso dell’Inps. Perché non ipotizzare un passaggio graduale dal sistema pubblico a ripartizione a uno privato a capitalizzazione? Perché deve essere l’Inps a gestire obbligatoriamente, e male, i denari delle nostre pensioni?».

Proposte azzardate?

«Forse, ma il Paese rischia di essere travolto dall’immobilismo di chi dice di volerlo cambiare».

In Italia cambiano continuamente i governi ma la corsa verso lo sfascio non rallenta mai

In Italia cambiano continuamente i governi ma la corsa verso lo sfascio non rallenta mai

di Massimo Blasoni*

La politica nazionale conta?

Ovviamente, ma molto meno che in passato e soprattutto il mutare di orientamento dei governi che si succedono non sembra avere effetti significativi almeno sulle tasse che paghiamo e sulla crescita del debito. Insomma, al di là delle dichiarazioni roboanti dei sette governi che abbiamo avuto dal 2006 fino a ieri, la pressione fiscale è rimasta sempre in uno strettissimo corridoio che va dal 41,5% del 2007 all’attuale 42,1%. Modestissime differenze ben poco condizionate dai diversi orientamenti: prima dell attuale formula giallo-rossa che sostiene il governo Conte II, siamo passati dal centro-destra al centro-sinistra e quindi al governo giallo-verde.

Anche la crescita del debito nel periodo ha conosciuto una progressione sostanzialmente omogenea, indipendentemente dal colore politico di chi governava. Questo non vuol dire che le scelte dei partiti non ricadano pesantemente su ognuno di noi ma ciò avviene non come un tempo, soprattutto al Nord. Nell’economia globale finiscono per prevalere decisioni e indirizzi che vengono assunti in consessi più ampi. Qualche esempio?

All’ambito nazionale è sottratta la politica monetaria. Un tempo la moneta poteva essere svalutata in una notte, oggi le scelte sull’euro non si fanno certo a Roma. I partiti peraltro controllavano il sistema bancario, con tutto quello che ne consegue. Dalla Banca Nazionale del Lavoro al Banco di Napoli, dal Monte dei Paschi di Siena all’Istituto Bancario San Paolo di Torino, la nomina dei consigli di amministrazione competeva all’ambito politico. Oggi non è più così e i parametri europei di concessione del credito in ogni caso rendono molto più difficile elargire denaro facile a sodali e conoscenti. Sono lontani i tempi in cui le assunzioni nel pubblico impiego erano migliaia e servivano ad appagare le rispettive clientele e i parametri europei limitano di molto gli aiuti di Stato al sistema delle imprese.

Stare in Europa vuol dire accettarne le regole, che, tradotto in termini più comprensibili, significa che incrementare fuori misura deficit o debito comporta sanzioni. E anche se il nostro debito pubblico è in costante crescita sono lontani gli anni 80 in cui il deficit annuo raggiungeva anche il 14% del pil. In definitiva, la signoria dello spread rende di fatto impossibile assumere decisioni che i mercati giudicano radicali o eccessivamente populiste. Il confronto tra i partiti, soprattutto negli ultimi mesi, ha dato un idea della politica fortemente drammatizzata. C è molto della soap opera con colpi di scena, fidanzate esibite, performance balneari e cambiamenti di fronte. Occorre forse che tutti rimettano i piedi per terra e si chiedano cosa concretamente possano fare nei limiti che gli sono concessi.

*Imprenditore e presidente del Centro studi ImpresaLavoro