Resisterà l’euro alla tempesta che viene da Washington?

Così come è stata concepita, la moneta unica europea (l’euro) appare a rischio nonostante il Presidente della Banca centrale europea (Bce) ripeta che la crisi è superata. Sono stati in tanti a dirlo, sulla base dell’esperienza degli ultimi cinquant’anni, quando la si preparava; il vostro chroniqueur aveva all’epoca una rubrica quotidiana sul quotidiano Il Foglio in cui esprimeva perplessità e venne accusato di essere un agente CIA o KGB.  L’elenco potrebbe essere lungo. Alberto Alesina venne licenziato in tronco dal Ministero del Tesoro per avere espresso dubbi in un saggio accademico. In un lavoro con Enrico Spolaore e Romain e Romain Wacziarg, ha infatti anticipato conflitti anche armati sia all’interno dell’area dell’euro sia tra quest’ultima e i suoi vicini. Nouriel Roubini (considerato, a torto o a ragione, come l’economista che ha previsto con più precisione la crisi finanziaria iniziata nel 2007) ha affermato che «l’eurozona è alla vigilia di una vera e propria rottura: anche ove si riuscisse a ridurre il fardello del debito sovrano, non si riuscirebbe a tornare a tassi adeguati di competitività e di crescita; per molti Paesi i costi di restare nell’unione monetaria ne supererebbero di gran lunga i benefici». Conclusioni analoghe arrivano peraltro dalla lontana Asia: Hwe Kwan Chwo della Singapore Management University afferma che, da un lato, le vicende dell’eurozona negli ultimi anni hanno frenato i progetti (peraltro preliminari) di un’”area monetaria” nell’Asean (l’associazione degli Stati del Sud Est asiatico) e, dall’altro, hanno rafforzato il ruolo di transazione e di riserva di alcune monete asiatiche rispetto all’euro, oltre che al dollaro.

Nel mondo accademico Usa l’analisi di Roubini è ampiamente condivisa: importanti esponenti, prima di tutti Martin Feldstein (alla guida del comitato dei consiglieri economici di due Presidenti degli Stati Uniti oltre che per un trentennio del National Bureau of Economic Research, Nber), non hanno creduto che l’unione monetaria europea sarebbe durata a lungo. Più cauti gli ambienti istituzionali ufficiali quali Tesoro e Federal Reserve Board che non celano un certo scetticismo, pur sperando che si riesca a salvare “il soldato euro” in quanto la sua eventuale dissoluzione creerebbe un lungo periodo di caos nei mercati.

La crisi politica e istituzionale apertasi negli Stati Uniti, con la minaccia di empeachment del Presidente, potrebbe scatenare una tempesta a cui l’euro non reggerebbe. Come avvenne all’inizio degli Anni Settanta quando il ‘caso Watergate’ che portò alla dimissioni dell’allora Presidente Nixon travolse il ‘piano Werner’, primo progetto organico di un’unione monetaria europea.

Per questo motivo è utile leggere il lavoro Luciano Andreozzi e Roberto Tamborini, ambedue dell’Università di Trento. Il paper “Why Is Europe Engaged in an Inter-Dependence War, and How Can It Be Stopped?” (Perché l’Europa è in una guerra di interdipendenza e come può essere arrestata?) è il DEM Working Paper N. 2017/26 e dimostra che tra gli Stati Europei è in corso una “guerra di interdipendenza” (come previsto un quarto di secolo da Martin Feldstein e da Alberto Alesina, Enrico Spolaore e Romain Wacziarg). Quello di Andreozzi e Tamborini è un lavoro altamente teorico ma che descrive in modo acuto le tensioni all’interno dell’area dell’euro, tanto all’interno di ciascun Paese membro quanto tra Paesi e istituzione europea.