Europa del rigore, Europa dei favori
Luigi Vicinanza – L’Espresso
Ma che Europa è? Quella prigioniera di parametri intoccabili e di percentuali dello zero-virgola. Quella che ci condanna alla deflazione e a tutto ciò che ne consegue: stagnazione, calo dei consumi, crisi industriale, disoccupazione, vita agra. E ancora quella dei più furbi e scaltri. Dove un Paese fondatore dell’Unione, il Lussemburgo, attira imprese e capitali grazie a un regime fiscale decisamente favorevole sottraendo – sia pure in modo del tutto legittimo – risorse ai partner. Un paradiso fiscale nel cuore del Vecchio Continente, a dispetto del rigore.
Strana Europa. Dalla doppiezza insopportabile, incomprensibile ai più. È ciò che raccontiamo con la nostra inchiesta di copertina, realizzata in esclusiva per l’Italia in collaborazione con un pool di testate internazionali, tra cui “Bbc”, “Guardian”, “Le Monde”, “Suddeutsche Zeitung”. Esiste un buco nero nell’Europa dei vincoli e delle prescrizioni, capace di ingoiare affari milionari, compensando banche, aziende e affaristi con una fiscalità inimmaginabile per chi è costretto a pagare le tasse sul suolo nazionale. Una contraddizione stridente rispetto al regime di regole comuni, pervasive, dettate dall’adozione della moneta unica. Se ne avvantaggiano multinazionali straniere e grandi aziende italiane, da Amazon a Finmeccanica.
Il Granducato del Lussemburgo è uno dei sei Stati promotori dei primi accordi commerciali e poi politici, ormai oltre 60 anni fa, alla base dell’odierna Unione europea. Dal Lussemburgo – di cui è stato primo ministro per 18 anni – proviene l’attuale presidente della Commissione, ]ean Claude Juncker. espressione del gruppo maggioritario nell’Europarlamento, il Partito popolare europeo: a capo di una struttura sovranazionale composta da 28 Stati e 300 milioni di abitanti. Il sogno di una generazione, l’utopia di un continente pacificato dopo i massacri e gli orrori del Novecento. Una speranza: il traguardo dell’euro, la valuta comune capace di rappresentare un’unità di valori ben oltre le persistenti diversità di culture e comportamenti sociali. Con i Paesi mediterranei additati come portatori di un lassismo nei conti pubblici tale da richiedere sempre e comunque vigilanza e rigore. Giusto, giustissimo. Se le regole sono davvero comuni per tutti…
Invece il Lussemburgo si manifesta come un buco nero del sistema fiscale. Chi ha capacità di contrattazione – e l’adeguato sostegno tecnico-finanziario – riesce a spuntare vantaggi strabilianti: 1.400 miliardi di euro all’anno, è stato calcolato, svaniscono dai conti dell’Unione. Tutto regolare. Ma non sempre ciò che non è illecito è opportuno. Eticamente e politicamente. «Non sono il capo di una banda di burocrati; l’Unione europea merita più rispetto, è legittimata non meno dei governi» ha detto Juncker in polemica con il premier italiano Matteo Renzi. Si parlava di debito pubblico, Pil e striminzite percentuali di crescita economica. Questioni essenziali prospettate in questi anni con una rigidità che cozza con la realtà accomodante che raccontiamo. È il corto circuito di una politica europea incomprensibile a larghe fasce dei suoi destinatari. Come in Italia i privilegi e gli sprechi di un ceto politico sordo e cieco hanno alimentato l’onda dell’antipolitica, così in Europa gli egoismi locali e gli opportunismi dei singoli governi stanno facendo montare un risentimento nazional-populista anti-unitario. Forse si può ancora correre ai ripari. Se l’Europa sa ripensare se stessa. La traccia da seguire ha sempre il colore dei soldi. Conduce nel piccolo e ordinato Lussemburgo, preziosa cassaforte del nostro scontento.