Tutele crescenti, chi le ha viste?
Mario Fezzi – Corriere della Sera
Il primo decreto attuativo della legge delega sul Lavoro viene definito «a tutele crescenti» dallo stesso governo, ma di tutele crescenti in verità non c’è traccia. L’aumentare dell’indennità risarcitoria con il crescere dell’anzianità aziendale non può essere considerato una crescita di tutele, ma solo un aumento proporzionale dell’indennità. Con questo decreto il sistema previsto dall’art.18 dello Statuto dei lavoratori viene rottamato e ne viene introdotto uno nuovo basato sul pagamento di un’indennità risarcitoria.
La reintegrazione resta solo per i licenziamenti discriminatori (inesistenti nella realtà processuale), per quelli orali e per quelli disciplinari basati su un fatto materiale che venga dimostrato come non accaduto o non determinatosi. Attenzione, però: si esclude che il giudice possa valutare la proporzionalità del fatto disciplinare addebitato. Ciò significa che l’addebito di un fatto vero, ma disciplinarmente irrilevante (portarsi a casa una matita, fare una telefonata personale con l’apparecchio aziendale, utilizzare per 5 minuti il pc aziendale per uso personale, prolungare di poco la pausa pranzo, etc.) se dimostrato vero come fatto storico materiale impedisce al giudice di valutare la congruità della sanzione rispetto alla mancanza addebitata. In altre parole, il giudice non può dire che non si può licenziare un dipendente solo perché ha fatto una telefonata o ha tardato 5 minuti al rientro dal pranzo. Il giudice, se il fatto risulta vero, deve dichiarare risolto il rapporto di lavoro.
Nel caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e soggettivo e per giusta causa, se il giudice ritiene che il licenziamento sia illegittimo deve condannare al pagamento di un’indennità pari a due mesi per ogni anno di servìzio (con un minimo di 4 e un massimo di 24). Se il licenziamento è illegittimo per vizi formali (mancanza di motivazione, di contestazione del fatto disciplinare, etc.) il giudice deve condannare a un’indennità tra 2 e 12 mensilità, sempre partendo dalla base di un mese per ogni anno di servizio. Per i licenziamenti collettivi è stato previsto lo stesso regime di quelli per giustificato motivo e per giusta causa. Anche se super illegittimi non danno luogo a reintegrazione ma solo a una indennità, secondo l’anzianità aziendale, tra 4 e 24 mensilità.
Una novità assoluta è poi l’offerta di conciliazione da parte del datore di lavoro. Dopo aver licenziato un dipendente può fargli un’offerta di un’indennità di un mese per ogni anno di anzianità (con un minimo di 2 e un massimo di 18); se il lavoratore accetta e rinunzia ad impugnare il licenziamento, questa indennità è totalmente esente da imposte e da contributi. Il che sembra dare un vantaggio ingiustificato, in danno di coloro che ritengono di voler comunque impugnare il licenziamento, in caso di conclamata illegittimità. Come detto all’inizio, di tutele crescenti non c’è traccia. Si parlava invece di tutele crescenti per il contratto a tempo indeterminato che per i primi 3 anni prevedeva una indennità in caso di licenziamento illegittimo e a partire dal terzo anno invece doveva prevedere la reintegrazione con l’applicazione integrale dell’art. 18. Questo tipo di tutele crescenti è completamente scomparso.
Per concludere credo si possa dire che questo nuovo sistema non può produrre nuova occupazione. Nuova occupazione potrebbe derivare dall’altra norma della legge di Stabilità 2015 che rende conveniente assumere con contratto a tempo indeterminato a causa dello sgravio contributivo nei primi tre anni. Ma allora era sufficiente introdurre questo sgravio, lasciando l’art.18 al suo posto. Se poi i nuovi contratti a tempo indeterminato saranno, come è probabile, in numero uguale ai contratti a termine che non verranno rinnovati o costituiti, per la maggior convenienza economica del primo tipo, il sistema si consoliderà a somma zero; e nessuna nuova occupazione risulterà nemmeno da questa operazione.