Case e tasse rebus, salvate l’Italia malata di fisco
Massimo Scotton – Il Secolo XIX
Il sistema fiscale del nostro Paese necessita da tempo di essere riformato, è un tema che da anni, meglio decenni, ascoltiamo dibattere tra le forze politiche di ogni tendenza, con particolare intensità in periodi di campagna elettorale, nei quali spesso si sente parlare di semplificazione forse senza conoscerne a fondo il significato. Risultati concreti tuttavia non se ne sono visti, anzi. La crisi economica porta alla ribalta l’eccessiva onerosità del carico fiscale su cittadini e imprese oltre alla continua difficoltà di reperire gettito a copertura della spesa pubblica. Fa sorridere, per inciso, leggere la proposta di adeguamento dell’imposta di successione ai più alti standard europei, laddove non si ricorda a memoria di uomo che vi siano mai stati adeguamenti al ribasso in numerosi altri settori impositivi nei quali siamo leader indiscussi a livello europeo, se non mondiale. Ho inteso pertanto riferirmi al sistema fiscale, piuttosto che a questa o quell’imposta nel particolare, per il fatto che è l’intero impianto a dover essere riformato affinché possa costituire una infrastruttura su cui possa basarsi l’attività economica, produttiva e sociale per lo sviluppo del Paese nei prossimi decenni.
L’attuale condizione ha generato inoltre la tangibile compromissione del rapporto di fiducia tra i cittadini, lo Stato e nel particolare la sua amministrazione finanziaria. Quali fattori hanno determinato questa situazione? Un sistema fiscale complesso, fatto di norme per la maggior parte emanate con decretazione di urgenza, che non si inseriscono in maniera organica in alcun disegno globale di tassazione bensì alterano di volta in volta le precedenti condizioni. Un legislatore fiscale che spesso dimostra di non conoscere la materia lasciando ampi varchi a postume interpretazioni. Un sistema sostanzialmente mutante, instabile, spesso persecutorio, mai precettivo, che si traduce in una tassazione ormai insopportabile sia in termini diretti che in termini di oneri indiretti e costi di compliance a carico di imprese e cittadini. Una condizione di incertezza costante non più sostenibile che penalizza altresì gravemente l’immagine del nostro Paese.
L’Italia infatti è stabilmente accreditata di un “deficit di attrattività” per quanto riguarda gli investimenti esteri che preferiscono altre sedi europee, anche in uscita dall’Italia. Le recenti statistiche hanno preso in esame l’ultimo ventennio con raffronti allarmanti: un gap di uno a cinque tra noi e la Gran Bretagna ad esempio, ma non solo, Francia e Germania quasi il triplo rispetto a noi. Tutte le altre nazioni europee riescono a vendere il loro sistema molto meglio dell’Italia, con una legislazione semplice, certezza e stabilità del diritto, poca burocrazia, bassa pressione fiscale e non certo favorendo l’evasione, attraendo quindi, inesorabilmente, capitali ed investimenti. È un mercato anche questo, globale, sul quale è obbligatorio competere. Gli indirizzi espressi alla stampa dal nuovo Direttore dell’Agenzia delle Entrate all’atto del suo insediamento hanno posto in evidenza un rinnovato approccio di valutazione nei confronti di ciò che effettivamente concretizza fenomeni di evasione fiscale rispetto ad errori di interpretazione o applicazione delle norme esistenti. Non si può che condividere tale approccio auspicando ancora una volta che le leggi in materia fiscale diventino più chiare, semplici, a tutto vantaggio di un concreto sostegno all’attività di contrasto a comportamenti chiaramente orientati al compimento di illeciti.
A livello comunale abbiamo assistito ad un notevole inasprimento della tassazione con l’introduzione di nuovi tributi locali il cui pagamento è in scadenza nei prossimi mesi. A questi si aggiunge la rateazione delle imposte a saldo e acconto per le annualità 2013 e 2014. Un impegno pressante per i cittadini e le imprese. Gli enti locali hanno emanato una normativa regolamentare improvvisata, per nulla omogenea sul territorio nazionale, istituendo nuovi tributi Iuc,Tari, Tasi, in parte sostitutivi di altri, le vecchie Ici e poi Imu. Il risultato allo stato attuale è devastante in termini di oneri a carico del cittadino nel reperire aliquote comunali, esenzioni, detrazioni ed altro al fine di poter adempiere con una qualche minima tranquillità all’obbligazione tributaria. Alcune municipalità provvedono, e bene fanno, ad inviare a domicilio bollettini precompilati, altre devono ancora decidere le aliquote. Davvero complicato adempiere da parte del cittadino e di chi professionalmente lo assiste. Benvenuti siano quindi gli 80 euro in busta paga, anche se la maggior parte finisce verosimilmente in pagamento dei tributi comunali nel prossimo mese e la rimanente in pagamento delle rate di prestiti al consumo 60 mesi con i quali è stata comprata la produzione industriale degli anni 2008/2009. Per quella di oggi non ci sono più soldi. Per il legislatore nazionale c’è veramente spazio per una riforma del sistema fiscale italiano, purché davvero abbia voglia di cominciare.