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Taci, il capo ti ascolta. Sorvegliati speciali in ufficio

Taci, il capo ti ascolta. Sorvegliati speciali in ufficio

di Matteo Basile – Il Giornale

Taci, il capo ti ascolta. O almeno potrebbe. E potrebbe fare pure di peggio. Spiare, controllare, intromettersi. Tenerti sotto controllo. Avere un accesso diretto alla tua casella di posta elettronica, al tuo smartphone ma anche monitorare la tua produttività e addirittura avere un quadro preciso del tuo stile di vita e delle tue abitudini. Potrebbe, almeno in teoria e, chissà, forse in un futuro prossimo potrà farlo davvero. Perché la tecnologia unita alla volontà delle aziende di aumentare la produttività in periodo di crisi economica potrebbe portare a questo e altro.

Negli ultimi anni in tema di spioni aziendali è successo un po’ di tutto, per nostra fortuna soprattutto all’estero. Emblematico il caso di una segretaria negli Stati Uniti, licenziata perché in una mail indirizzata ad un’amica aveva scritto «Il mio capo è un idiota». E lui, il capo, che controllava la corrispondenza, non l’ha presa bene. Ma se in America le leggi possono consentire episodi di questo tipo, anche in Europa, dove la legislazione è più stringente in tema di spionaggio aziendale, episodi analoghi non sono del tutto assenti. A Londra, pochi mesi fa, i giornalisti del Daily Telegraph hanno trovato sotto le loro scrivanie una scatoletta con scritto «OccupEye». È bastata una ricerca sul web per scoprire che quelle scatolette misteriose contenevano sensori di movimento e temperatura capaci di rivelare ai datori di lavoro se una scrivania era occupata o meno. Niente altro che una spia in grado di monitorare quanto e come i dipendenti stavano alla loro postazione. Sollevazione generale inevitabile, proteste durissime, scuse dell’azienda e provvedimento ritirato. Ma la convinzione che sì, un giorno, l’eccezione potrebbe anche diventare norma. E potrebbe pure essere peggiore. Succede già oggi infatti che molti minatori e camionisti australiani indossino il cappellino «SmartCap» che, attraverso sensori simili a quelli necessari per effettuare un elettroencefalogramma, verifica che i lavoratori siano svegli e reattivi. Tornando al Regno Unito, i magazzinieri dei supermercati della catena «Tesco» indossano un braccialetto che traccia i loro spostamenti e la percentuale di lavoro svolto: benefit se si finisce in anticipo il proprio compito, penalità se si va in pausa senza preavviso. Ma il top si è raggiunto in Messico dove la «InterMex» ha obbligato i dipendenti a scaricare un’applicazione che tramite gps comunica in tempo reale ai vertici dell’azienda tutti gli spostamenti e i movimenti dei dipendenti. Una sorta di braccialetto elettronico come quelli installati ai carcerati in regime di semilibertà, tanto che un’impiegata ha denunciato l’azienda. E ha pure vinto. Troppo, senz’altro. Ma sarà questo il futuro che ci aspetta sul posto di lavoro?

Forse, ma non ora. Perché in Italia la legislazione parla chiaro e non consente nulla di simile. Anche se il Jobs Act ha leggermente allargato le maglie dei controlli sui lavoratori da parte dei propri capi. «Si è modificata le norma del 1970, quando esistevano solo telecamere e registratori ma non c’erano computer, posta elettronica e smartphone», spiega l’avvocato Aldo Bottini, presidente dell’Associazione nazionale avvocati giuslavoristi e tra i massimi esperti del settore. Alcune cose si possono fare ma con limiti e confini ben precisi. «Con le nuove norme si mantiene il principio per cui non si possono installare strumenti tecnologici di monitoraggio con l’unica finalità del controllo dell’attività lavorativa – spiega il legale -. Per installare strumenti tipo telecamere serve ancora un accordo sindacale o l’autorizzazione amministrativa. La novità è che il principio non si applica agli strumenti di lavoro come pc e smartphone che non sono assoggettati all’autorizzazione. Di fatto attraverso questi strumenti si può legittimamente controllare l’attività del lavoratore a patto che lo stesso venga informato della possibilità in maniera chiara e completa. È lo stesso principio che vige in tutta Europa. L’unica novità è che le aziende dovranno dotarsi di un’adeguata policy per l’utilizzo il controllo, il funzionamento e le eventuali conseguenze nell’abuso di tutti questi strumenti».

Il problema dunque, alla fine rischia di ricadere sulle aziende, costrette a districarsi tra norme e cavilli burocratici che complicano non poco la vita. «La legislazione italiana è un incubo, il numero di norme è elevatissimo e spesso in aperta contraddizione», attacca Massimo Blasoni, imprenditore e presidente del centro studi «ImpresaLavoro». «Accanto alle sacrosante norme per la tutela della privacy ne servirebbero anche altre a tutela della produttività e di chi fa impresa». Un altro problema per le aziende sono i furbetti del certificato medico, quelli che cioè tendono a darsi malati con eccessiva leggerezza se non con cadenza regolare. «Ci sono pessime abitudine da parte di alcuni medici un po’ troppo benevoli nel fornire certificati – spiega Blasoni -. Le verifiche sono assolutamente labili e chiedere un intervento è pressoché inutile. Questo finisce per essere un ulteriore gravame per chi deve districarsi quotidianamente tra tasse, cavilli e burocrazia. Spesso si è arrivati a contese con dipendenti indifendibili che grazie all’intervento dei sindacati e a sentenze sconcertanti sono riusciti ad essere reintegrati».

Già, i sindacati. Organo a tutela del lavoratore sfruttato o maltrattato oppure ultima spiaggia per chi fa il furbo ma sa che in un modo o nell’altro, alla fine, avrà le spalle coperte? «Non scherziamo, chi commette una truffa non solo è indifendibile ma da attaccare – racconta Guglielmo Loi, della segreteria nazionale della Uil -. L’importante è agire sempre nell’ambito delle regole, dall’ultimo impiegato fino al massimo dirigente. Deve essere chiaro quali sono i limiti e quali i doveri. Un lavoratore deve essere informato con precisione quando entra in possesso di un’apparecchiatura aziendale». Anche perché il controllo sul dipendente, alla fine, può rivelarsi un’arma a doppio taglio. «Capita spesso che il telefono aziendale resti acceso ed operativo per motivi di servizio ben oltre l’orario di lavoro. In caso di controllo eccessivo un dipendente potrebbe decidere di rendersi irreperibile finito il suo orario e, a quel punto, nessuno potrebbe lamentarsi».

Alla fine, come spesso accade, a far la differenza è il buonsenso. Ma nel dubbio è sempre meglio comportarsi secondo le regole. Perché il Grande Fratello è tra noi e, forse, guarda proprio noi. Anche sul posto di lavoro.

Vigilessa sorpresa a rubare cacciata ma con buonuscita

Vigilessa sorpresa a rubare cacciata ma con buonuscita

Matteo Basile – Il Giornale

Un diritto da preservare per alcuni. Un totem vecchio di 40 anni da abbattere per altri. Un business per molti. Si scrive «Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori», si legge «Articolo 18». Altro che tutelare i poveri lavoratori indifesi. Spesso, troppo spesso, diventa una scusa per quei furbetti che vogliono approfittarsi delle pieghe della legge e, quando ci sono, di giudici compiacenti per trarne profitto. Ma quanto accaduto a Genova va oltre.

Scordiamoci discriminazioni e comportamenti fuori legge di capi cattivoni, contratti farsa, dimissioni in bianco e ricatti assortiti. Succede che una vigilessa, in servizio nel capoluogo ligure, venga sorpresa a rubare. Nessuna calunnia: era in locale ed è stata immortalata dalle telecamere di sorveglianza mentre frugava dentro una borsa non sua e portava via dei soldi. Immagini che la inchiodano ma in un primo momento i vertici del corpo di polizia municipale non fanno nulla. Fino a che la notizia diventa di dominio pubblico e allora ecco il cambio di rotta: sospensione immediata dal servizio e ritiro dell’arma cui fa seguito il licenziamento in tronco. Ma lei non ci sta, fa ricorso e, udite udite, trova un giudice che le dà ragione. Almeno in parte.

È colpevole ma, in base all’articolo 18, la causa non è infondata. Ma è colpevole, quindi reintegrarla proprio non si può. Allora il giudice decide così: ok al licenziamento ma con una mega buonuscita equivalente a 18 mensilità. Hai rubato? Si. Sei colpevole? Si. Ti cacciano a pedate perché non degna di rappresentare la divisa che indossi? Ni. Perché comunque puoi incassare un anno e mezzo di stipendio senza colpo ferire. E tante grazie all’articolo 18. Nella sua assurdità l’ordinanza emessa dal Tribunale parla chiaro. «I fatti contestati non sono idonei a integrare giusta causa o giustificato motivo, con conseguente illegittimità del licenziamento». Il che significherebbe il reintegro sul posto di lavoro che avrebbe del clamoroso. Ma il dispositivo va avanti e specifica: «Per poter applicare le sanzioni previste in caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo occorre tener conto delle modifiche apportate dalla legge 92 del 2012», vale a dire la legge Fornero che rimodula alcuni aspetti dell’articolo 18. E allora? Ci ha provato e le andata male, arrivederci e grazie? No, ecco la beffa. Niente reintegro sul posto di lavoro ma mega contentino. Diciotto mensilità da corrispondere alla vigilessa dalla mano lesta. Che, per inciso, saranno elargiti dalla collettività in quanto la polizia municipale è sotto diretta giurisdizione del Comune, in questo caso quello di Genova.

Storture da articolo 18 avallate, ovviamente, dai sindacati che in questa causa di lavoro che rasenta il paradosso sono stati in prima fila a sostegno della «povera» lavoratrice. E via con i cattivi pensieri dato che proprio loro, i paladini dei lavoratori bistrattati, per ogni causa di lavoro che va a buon fine (come nel caso in questione) si intascano una bella percentuale di quanto incassato dal lavoratore. Con buona pace di tutti quei lavoratori, privi di ogni tutela contrattuale e ovviamente di articolo 18, che anche se realmente cacciati a pedate senza alcun valido motivo dal proprio datore di lavoro, presentandosi presso un ufficio sindacale si sono sentiti rispondere: «Eh, ci dispiace, ma non possiamo fare nulla». Che strano.

Massimo Blasoni(Presidente ImpresaLavoro): «Schiacciati dalla burocrazia, chi crea lavoro è senza voce»

Massimo Blasoni(Presidente ImpresaLavoro): «Schiacciati dalla burocrazia, chi crea lavoro è senza voce»

 Matteo Basile – Il Giornale

«Di economia dovrebbe parlarne chi l’economia la conosce davvero perché la fa. Chi si ostina a fare impresa e a creare lavoro nonostante tutto». Questa l’idea di base che ha spinto Massimo Blasoni a creare un centro studi di ispirazione liberale in grado di catalizzare imprenditori, ricercatori e studiosi capaci di analizzare la situazione del Paese e capire il modo di uscire dalla stagnazione in cui langue il Paese. Un board scientifico con nomi di primissimo livello, un direttore – Massimo Bressan – di 32 anni, due sedi (a Roma e a Udine) e tanta voglia di metterci la faccia e fare la propria parte anziché limitarsi a coltivare l’orticello.
Blasoni è imprenditore del Nord Est “da manuale”: partito da zero è ora a capo di un’impresa nel settore delle residenze socio-sanitarie con 40 filiali, 1.300 dipendenti e fatturato e utili in costante aumento. Ma dopo alcune esperienze in politica che non lo hanno entusiasmato perché, spiega, «troppi sembra vivano sulla Luna», ha deciso di darsi da fare diversamente. Già il nome scelto per il Centro Studi dice tutto: impresa e lavoro. Facile no?
«In Italia fare impresa è difficilissimo. Paghiamo più tasse, abbiamo meno credito dalle banche e operiamo in un Paese senza infrastrutture e con una burocrazia insopportabile. Vogliamo dare voce a chi fa impresa: in primis partite Iva e piccoli artigiani che sono il vero tessuto sociale dell’Italia».
Come imprenditore ha successo. Chi glielo fa fare?
«Serve un grande impegno perché senza chi fa impresa andiamo incontro a un futuro fatto di giovani disoccupati, di aziende fallite e di imprese cedute all’estero. La strada è questa, dobbiamo invertirla e farlo in fretta».
Proprio voi «imprenditori-evasori-nemici dello Stato»?
«Magari anche uscendo da questi stereotipi senza senso. l’evasione va colpita duramente. Ma il binomio imprenditori-evasori è fuori dalla logica. I nemici sono altri».
Uno è senz’altro la burocrazia.
«L’Italia sembra divisa tra controllori e controllati. Troppo spesso sembra che in Italia ci siano più attività di ispezione che attività che producono. Non è più accettabile».
Eppure adesso c’è Renzi il nuovo, il giovane, il risolutore…
«Abbiamo verificato quel che ha detto e quel che ha fatto. Finora non ha mantenuto niente di ciò che ha promesso e tutti gli indicatori sono in peggioramento».
Quindi bocciato senza appello?
«Lui fa il politico di professione, mi pare che per il momento non abbia compreso la terribile situazione dell’economia. Per nulla».
La situazione è nera, quale sarebbe la prima e più urgente misura da adottare?
«È necessario ridurre le imposte alle aziende. Questo significherebbe creare posti di lavoro da subito. L’economia non riparte con misure omeopatiche come gli 80 euro ma solo con una vera e forte contrazione delle tasse per le imprese».