Meritocrazia, Italia maglia nera in Europa
Cristina Origlia – Il Sole 24 Ore
Non si può gestire ciò che non si misura. Un principio che vale per tutto e, ancor più, per ciò che normalmente non si considera misurabile, quegli asset intangibili che ormai sappiamo incidere tanto quanto quelli tangibili sulle performance delle persone e delle organizzazioni, come su quelle di un Paese. Se il Pil degli altri Stati europei più industrializzati sta riprendendo a crescere, mentre quello italiano fa molta fatica a risalire, una ragione c’è e sta nelle condizioni di contesto, che frenano drammaticamente qualsiasi sforzo di governo. Finora nessuno aveva elaborato un indicatore quantitativo di sintesi di tali condizioni e quindi dello “stato del merito” di un Paese – perché di questo si sta parlando – confrontabile con altre realtà e aggiornabile nel tempo. Messo a punto da un’équipe dell’Università Cattolica, per il Forum della Meritocrazia, il Meritometro – che sarà pubblicato in esclusiva su “L’Impresa”, il mensile di management del Sole 24 Ore, in edicola da mercoledì 4 febbraio – è una novità assoluta tra gli strumenti di valutazione delle principali istituzioni di ricerca socio-economica internazionali. Si basa su sette pilastri, considerati prioritari a livello mondiale: libertà, pari opportunità, qualità del sistema educativo, attrattività per i talenti, regole, trasparenza, mobilità sociale.
I primi risultati ci dicono che tra 12 Paesi europei, i migliori sono quelli scandinavi, seguiti da Germania, Gran Bretagna e Francia. L’Italia è in ultima posizione, con un punteggio di 23,3 che è meno della metà della Finlandia (67,7), Paese europeo più virtuoso, ma anche inferiore di oltre dieci punti alla Polonia (38,8) e alla Spagna (34,9). «Sono risultati che non ci stupiscono – afferma Giorgio Neglia, coordinatore dell’équipe di lavoro e consigliere del Forum -, ma che vista la fotografia impietosa che danno del nostro Paese, ci auguriamo possano contribuire a indirizzare policy e azioni adeguate. Sappiamo tutti che da noi le “conoscenze giuste” in molti casi contano più delle competenze; per ottenere un appalto, spesso devi avere rapporti privilegiati con la Pa; per avviare un’attività, devi superare ancora iter burocratici eccessivi; per lavorare in alcuni settori devi necessariamente elargire favori. Ciò che non capiamo è quanto questa palude ci stia immobilizzando e quanto la meritocrazia, generando ricchezza e maggiori opportunità, sia un fattore strategico per competere: il capitale umano è il driver dell’economia della conoscenza. Se non crei le condizioni per la sua valorizzazione, muore o se ne va».
Non è un caso che l’Economist abbia dedicato l’ultimo numero al tema “An hereditary meritocracy”, interrogandosi sulle ragioni per cui l’american dream stia svanendo dietro al privilegio di nascere in famiglie facoltose, in grado di assicurare la formazione scolastica migliore ai figli. Un trend pericoloso, che potrebbe dirigere il potere nelle mani di un’élite chiusa su se stessa e, quindi, non aperta a includere le menti migliori del Paese, oltre a creare crescenti disuguaglianze. «Oggi tutto si gioca sulle competenze – commenta Neglia -. Se non ne hai una dotazione significativa, non potrai mai affermarti e il Paese si sarà perso il tuo potenziale intellettuale».
Proprio sui pilastri “libertà”, intesa come possibilità di realizzare i propri obiettivi, e “mobilità sociale” il Meritometro registra le maggiori disparità dell’Italia con gli altri Paesi. Siamo pure indietro, in compagnia di Polonia e Spagna, sul fronte “regole” e “trasparenza”. Differenze sostanziali ci allontanano, poi, dal Nord Europa su “attrattività per i talenti” e “pari opportunità”. L’unico pilastro su cui i risultati non sono drammatici è il “sistema educativo”. «In effetti – conclude Neglia – è un ambito in cui, pur posizionandoci comunque ultimi in classifica, riusciamo a esprimere ancora una certa qualità, che si traduce in ricercatori, manager, designer apprezzati in tutto il mondo, che però, spesso, sono costretti ad andarsene per essere valorizzati. È proprio dalla scuola che bisogna partire per avviare una rivoluzione culturale, che metta il merito al centro di una rinnovata educazione civica da insegnare al pari delle altre materie». Consapevoli che non si tratta di un’operazione di breve periodo, ma che richiede una vision politica e la determinazione necessaria per saper aspettare i risultati.