Sistema previdenziale

Pensioni, giovani dimenticati

Pensioni, giovani dimenticati

di Massimo Blasoni – Metro

L’intesa sulle pensioni siglata tra Governo e sindacati non fa che perpetuare una cattiva abitudine: occuparsi dei pensionati e dei pensionandi a breve termine, dimenticando giovani che una pensione rischiano di non averla mai. La riforma Dini e i suoi successivi aggiustamenti immaginano purtroppo un mercato del lavoro che non esiste più. Per moltissimi il contratto a tempo indeterminato e la regolarità contributiva sono infatti una chimera: oggi si inizia a lavorare tardi e la condizione di precariato costringe a rapporti interrotti e discontinui. Si spiega così il caso dei contributi silenti, quelli che in centinaia di migliaia hanno versato e versano all’INPS ma in misura insufficiente a garantire loro un assegno previdenziale. Tutti soldi che non saranno loro restituiti e che vengono tranquillamente inghiottiti nel disastrato bilancio dell’Istituto.

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Tagliate l’assegno a chi ha versato pochi contributi

Tagliate l’assegno a chi ha versato pochi contributi

Libero – di Massimo Blasoni

In questi giorni si fa un gran parlare dell’introduzione del meccanismo dell’Ape per consentire una costosa, anticipata riscossione dell’assegno previdenziale. E così discorrendo si continua a eludere la questione centrale di un sistema pensionistico iniquo che verrà fatto ricadere sulle spalle dei giovani, molti dei quali rischiano di non avere mai la pensione. Ammettiamolo una buona volta: non esistono pensioni troppo basse o troppo alte, magari da sforbiciare in ragione di un astratto principio di solidarietà. In realtà esistono pensioni giuste (perché proporzionate ai contributi versati) e pensioni ingiuste, perché calcolate con il sistema retributivo e in molti casi maturate da quanti – grazie a leggine compiacenti – hanno potuto andare in pensione in tenera età. Tutta gente che da tempo ha riavuto indietro l’intero monte contributivo versato e che per molti anni ancora continueremo a mantenere.

Da molti anni la spesa per pensioni rappresenta la voce più importante dell’intera spesa pubblica italiana: nel 2015 è stata di quasi 260 miliardi, pari al 31,5% dei complessivi 826 miliardi di euro. Nel tentativo di contenerne la crescita – dovuta all’invecchiamento della popolazione e al basso tasso di occupazione – le diverse riforme previdenziali hanno via via ridotto il tasso di copertura, attraverso il rapido innalzamento dell’età di accesso alla pensione. Si tratta di un sistema alla lunga sostenibile? A prendere per buone le ottimistiche previsioni del Mef, la spesa pensionistica su Pil potrà rimanere all’incirca al livello attuale, scendendo di 1,9 punti percentuali da qui al 2060. Queste stime sembrano però basarsi su assunti tutt’altro che solidi: perché possano avverarsi la produttività del nostro Paese – rimasta quasi ferma negli ultimi 20 anni – dovrebbe infatti tornare “miracolosamente” ai tassi di crescita degli anni Settanta e Ottanta. Non solo: il tasso di occupazione, da sempre a livelli molto bassi in Italia, dovrebbe allinearsi molto rapidamente agli standard europei. Diciamolo con chiarezza: occorrono misure coraggiose per la crescita, ma anche provvedimenti che correggano retroattivamente gli eccessi del passato, riducendo le pensioni dove la sproporzione tra i contributi versati e quanto si riceve è troppo alta. Altrimenti condanneremo le future generazioni a pensioni incerte e misere.