La tentazione irresistibile della spesa pubblica
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi – Corriere della Sera
I primi dati sull’economia dell’eurozona nell’ultimo trimestre dell’anno non sono positivi: il 2015 potrebbe iniziare con un ulteriore rallentamento. I risultati definitivi per l’anno che si chiude saranno disponibili solo a metà febbraio, e queste previsioni vanno prese con cautela. Tuttavia le intenzioni di acquisto delle aziende dell’eurozona hanno raggiunto in novembre il livello più basso da 16 mesi in qua. Anche l’indicatore degli ordini è sceso, per la prima volta in un anno. L’indice Markit – che traduce questi dati in una previsione del Prodotto interno lordo (Pil) – vede un’eurozona che nel 2014 è rimasta sostanzialmente ferma (+ 0,1/0,2%) dopo due anni consecutivi di recessione: – 0,7% nel 2012 e -0,4% nel 2013.
Per l’Italia questo significa che la straordinaria serie di 13 trimestri consecutivi di caduta del Pil potrebbe non interrompersi. Tredici trimestri! Non è mai accaduto in un Paese avanzato dalla crisi degli anni Trenta. I risvolti sociali si vedono. Nelle periferie delle grandi città si è accesa una guerra fra deboli, tra italiani impoveriti dalla recessione e immigrati. C’e poi un’altra guerra, quella fra generazioni: padri e madri protetti dai sindacati, e figli precari ignorati. La famiglia italiana compensa questa «guerra» con trasferimenti infra-familiari, con i figli disoccupati mantenuti da genitori pensionati. Ma la prossima generazione, quella dei nostri nipoti, non godrà di un tale lusso. Solo una cura drastica può interrompere questa spirale di depressione. La strada per uscire da questa recessione che pare non finire mai non sono investimenti pubblici che, se va bene, impiegherebbero un paio d’anni a produrre domanda e nel frattempo rischiano di produrre solo corruzione. Occorre abbassare in modo radicale la pressione fiscale su famiglie e imprese per aiutare i consumi e dare una boccata d’aria a chi produce. Non tranquillizza che il ministro dell’Economia, illustrando la legge di Stabilità alla Camera, abbia detto che «la pressione fiscale passerà dal 43,3% del 2014 al 43,2 nel 2015». Cioè rimarrà invariata.
Contemporaneamente, per evitare che la riduzione delle tasse si traduca in un aumento permanente del debito, essa va accompagnata da un impegno formale a ridurre di altrettanto la spesa. Se questo impegno richiedesse un controllo da parte della Commissione europea, esso sia benvenuto: potrebbe solo aiutarci a resistere alle mille lobby che si oppongono ai tagli di spesa. Occorrono fantasia e determinazione nel tagliare spese non essenziali, salvando quelle che veramente garantiscono la protezione dei più deboli. Ma di tagli veri nella legge di Stabilità non c’è più che qualche miliardo.
Quando critica i «burocrati di Bruxelles» Renzi ha ragione: se non fosse stato per il grido di allarme di Mario Draghi e per il suo richiamo al dramma della disoccupazione, sarebbero rimasti arroccati ai decimali del rapporto deficit-Pil. Ma la partita che Renzi ha aperto con Bruxelles è piena di insidie. Se, come ha fatto nell’ultimo vertice europeo, egli si avvicinasse troppo a Cameron e lasciasse intendere di essere anche lui pronto a rovesciare il tavolo, i mercati e gli altri Paesi europei comincerebbero a chiedersi quanto sia solido l’impegno dell’Italia a rimanere nell’unione monetaria. A quel punto sarebbe difficile criticare chi sostiene che la Banca centrale europea, qualora decidesse di acquistare titoli pubblici dei Paesi dell’eurozona, dovrebbe escludere da tali acquisti i titoli di Stato italiani.