Martedì è arrivato lo scontato “via libera” europeo alla manovra italiana: un dato atteso ma non banale perché costringe il nostro governo ad uno sforzo ulteriore per far calare il deficit strutturale dello 0,3% del Pil. In parole povere si tratta di reperire ulteriori 4,5 miliardi di euro che saranno in larga parte garantiti dal fondo nato per abbattere la pressione fiscale. Lo stesso ministro Padoan ha ammesso come si tratti tutto sommato del “male minore” e di una mossa che benché finisca per indebolire l’effetto espansivo della manovra, ci rimette in linea con i desiderata europei.
In questi anni la nostra adesione all’Unione ci ha garantito stabilità, un mercato libero e un progresso sociale e civile innegabile. Dal 2011 in poi, però, l’Eurozona ha iniziato a palesare alcuni suoi limiti politici: posti davanti alla sfida della Grande Crisi, forse anche peggiore di quella del ’29, gli organismi comunitari non sono stati capaci di liberarsi da una visione burocratica e tecnicista, rimanendo impigliati in numeri, percentuali, meccanismi probabilmente superati dal tempo straordinario che stiamo vivendo.