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Dopo il gelato, l’aspirina

Dopo il gelato, l’aspirina

Fancesco Forte – Il Giornale

Il decreto legge sblocca cantieri che il premier Renzi aveva presentato come una misura per il rilancio della nostra economia, che è entrata in recessione nel secondo trimestre e che, secondo le stime Istat rimarrà allo stesso livello nel terzo, non serve per il rilancio del 2014 e costituisce una mera aspirina per gli anni successivi. I 10 miliardi di nuove spese di investimenti sbandierati dal premier, infatti, ammesso che il decreto si realizzi secondo le previsioni, come al solito, più ottimistiche che realistiche, non darà luogo a lavori nel 2014 e comporterà 3 miliardi di lavori fra il 2015, il 2016 e il 2017, da includere nella legge di stabilità. Gli altri vanno a finire dopo. Tanto che sono piovute critiche dal presidente dei costruttori edili (Ance) Paolo Buzzetti: «Sblocca Italia ha un’ottima impostazione, ma se non ci mettiamo i soldi e non facciamo ripartire le cose perché l’ Europa ci blocca, i problemi restano tutti lì». Insomma, «non si tratta di provvedimenti choc che facciano ripartire l’economia.13,8 miliardi so pochi, ci aspettavamo una botta maggiore su tutto, un impegno maiore».

Non c’è più in questo testo la parte migliore della sua bozza iniziale ossia la proroga e rivitalizzazione della legge obbiettivo, varata da Berlusconi nel 2001 per coinvolgere nel finanziamento delle grandi opere le iniziative private in modo efficiente. Il testo varato dal Consiglio dei ministri (ancora suscettibile di modifiche) è pensato e scritto in burocratese di vecchio stile dirigista. Esso consiste di semplificazioni del dirigismo, non in un nuovo modo di legiferare consono all’economia dei mercati globali. Ci sono due sezioni di questo decreto migliori della media, di ispirazione berlusconiana quella sulle concessioni perla banda larga, che deriva dai progetti di Berlusconi primi ostacolati da lobby monopolistiche nazionali e poi affossati insieme al resto del decreto sullo sviluppo del ministro Romani, dell’autunno 2011, bocciato per ragioni politiche e quella sull’asse ferroviario Napoli-Bari ispirata dalla Regione Campania guidata da Forza ltalia. Per la banda larga, gli investimenti nelle aree in cui occorre l’incentivo pubblico, ora (ci sono le gare per le concessioni alle grandi imprese private, e gli investimenti non inizieranno prima del 2016. 

Grazie al Pd, dunque l’Italia avrà la cablatura elettronica globale solo alla fine di questo decennio anziché all’inizio. Per la Napoli-Bari il governo nomina come Commissario l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato,di fatto in un regime di concessione ispirato alla Legge obbiettivo. Ma,pur con la connessa semplificazione e accelerazione di procedure, il programma sarà operativo solo alla fine del 2015. 

La parte sulla privatizzazione di imprese pubbliche è slittata al futuro, data la contrarietà di Regioni ed enti locali feudo delle sinistre. Sono rimaste le norme sulle nuove competenze della Cassa Depositi e Prestiti e sui «project bond», nuovo strumento finanziario per l`investimento privato/pubblico e sulla privatizzazione di immobili del Demanio militare tutte scritte in tortuoso burocratese.

C’è una parte sullo sblocco della burocrazia nell’edilizia pubblica, molto smagrita per le opposizioni di giustizialisti, ambientalisti, fanatici dell’intervento pubblico nel settore culturale e di fanatici delle regolamentazioni urbanistiche-edilizia. Tutti tabù della vecchia sinistra ex Pci, Pdup e via cantando. Per dare un’idea di questa zavorra basta un comma sulle regole edilizie: «La destinazione di uso di un fabbricato è quella prevalente in termine di superficie utile. Il mutamento di destinazione d’uso all’interno di essa è sempre consentito, salva diversa previsione delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici». Frase gattopardesca sembra che tutto cambi, ma c’è una clausola, (che ho messo in corsivo) per cui tutto resta come prima. Nel complesso, Renzi sino ad ora non ha fatto nulla per farci uscire dalla crisi con nuovi investimenti né per privatizzazioni onde ridurre debito e spesa pubblica, né per l’efficienza dei rapporti di lavoro: la sfida maggiore su cui lo richiamano le frasi recenti di Marchionne.

Lo stato ci riprova: mette in vendita palazzi ed ex conventi

Lo stato ci riprova: mette in vendita palazzi ed ex conventi

Andrea Ducci – Corriere della Sera

All’Agenzia del Demanio lo considerano un banco di prova. Il tentativo di prendere il polso al mercato immobiliare per riavviare le annunciate dismissioni di palazzi e terreni pubblici, incontrando, finalmente, l’interesse di investitori e operatori del real estate. Così, l’Agenzia, guidata da Stefano Scalera, annuncia un nuovo bando per piazzare 15 immobili di Stato con l’obiettivo di incassare almeno 11 milioni di euro. L’operazione non è nuova e sottopone al mercato un elenco di beni in parte già noti agli addetti ai lavori. Ma tant’è. L’importante è rimescolare le carte e portare a casa più soldi possibile. A ricordarlo è la legge di Stabilità del 2014, che indica un gettito derivante dalle dismissioni pubbliche di almeno 500 milioni di euro all’anno. Allo stato attuale un mezzo miraggio.

Per avvicinarsi all’obiettivo il primo lotto di immobili resterà in offerta fino al 29 settembre. All’interno del pacchetto c’è un po’ di tutto e per tutte le tasche: appartamenti, uffici, palazzetti storici, ex conventi, terreni ed ex aree militari. Il pezzo più a buon mercato è una ex caserma a Triora (Imperia), per un paio di fabbricati e il terreno annesso la base d’asta è 430 mila euro. Per poco di più (494 mila euro) è possibile presentare un’offerta per un edificio intero (15 appartamenti) in una zona centrale di Trieste. L’immobile più costoso inserito nel bando è nella periferia sud di Verona, vicino alla zona artigianale. Nel dettaglio, si tratta di un’area di 3 mila metri e di un capannone con un valore di base d’asta fissato a 1,42 milioni. In Veneto si trova anche l’ex base missilistica di Ceneselli (Rovigo), chi acquista dovrà farsi carico della bonifica dei terreni e della rimozione dei beni mobili abbandonati dai militari sul terreno. In totale l’area è grande poco più di 8 ettari e comprende 42 fabbricati. Il prezzo di partenza per aggiudicarselo è 1,35 milioni.
Al Demanio, vista la taglia e la tipologia degli immobili, confidano molto sul mercato retail puntando sul pregio storico architettonico di alcuni beni. A Firenze e a Spoleto, per esempio, finiscono in asta due palazzine ad uso ufficio mentre a Caravaggio (Bergamo) è prevista la vendita all’incanto dell’ex Casa del Fascio (tre piani per un totale di oltre 1.200 metri di superficie). Un capitolo a sé fa l’elenco degli immobili inseriti nel progetto Valore Paese Dimore. L’intento dell’operazione è valorizzare castelli, conventi e strutture di pregio creando un modello integrato di ospitalità e attività culturali con la collaborazione delle amministrazioni locali. Non a caso il progetto, oltre al Demanio, vede coinvolti Invitalia, Anci (Associazione dei comuni), Ministero dei beni Culturali e Cassa Depositi e Prestiti.

In tutto sono circa 200 gli immobili individuati e inseriti nel portafoglio del progetto Valore Paese Dimore. Il valore aggiunto agli occhi degli investitori dovrebbe essere il corredo di «strumenti tecnici normativi e finanziari» riservato a questo genere di beni. Tradotto, vuol dire un percorso agevolato per la conversione in strutture turistiche e ricettive. È quanto previsto per il Forte Pianelloni (850 mila euro) a Lerici (La Spezia), un’ex fortificazione con tanto di terreni e antica cinta muraria, Casa Nappi (511 mila euro), un palazzetto storico nei pressi del santuario mariano di Loreto (Ancona), e l’ex convento seicentesco di S. Domenico (921 mila euro) nella città vecchia di Taranto. Nel caso di questi due ultimi immobili, però, qualcosa non ha funzionato. Tornano in asta dopo essere rimasti invenduti in occasione dei precedenti bandi.

Conventi e isole all’asta, ora il demanio ci riprova

Conventi e isole all’asta, ora il demanio ci riprova

Mario Sensini – Corriere della Sera

Una base d’asta per ciascun immobile, offerte segrete e vincolanti, non solo online, e tempi lunghi per la loro presentazione, con il bando che resterà aperto almeno fino a tutto agosto. “Recepite” le indicazioni del mercato e soprattutto degli operatori internazionali, che non hanno gradito la mancanza del prezzo base nelle precedenti aste, l’Agenzia del Demanio rimette in vendita cinque grandi complessi immobiliari che a marzo non avevano trovato acquirenti, insieme (sul mercato torneranno l’isola veneziana di Poveglia, il convento di San Domenico a Taranto, Casa Nappi a Loreto, il Castello di Gradisca) e altri dieci grandi proprietà, con una base d’asta che va da un minimo di 400mila euro ad un massimo di 1,5 milioni. La nuova asta, la cui data non è ancora fissata, sarà un test fondamentale per l’Agenzia del Demanio, che aveva in programma la dismissione entro quest’anno di almeno 50 grandi complessi immobiliari, ma l’operazione non è decollata. Nel 2014, con il meccanismo delle aste, ne è stato ceduto solo uno, un vecchio ospedale a Trieste, per 610mila euro. Tutti gli altri sono rimasti invenduti. O perché le offerte erano troppo basse o perché non contenevano le garanzie previste. Certo, la congiuntura del mercato immobiliare non aiuta ma gli obiettivi sono ancora molto lontani. La legge di Stabilità del 2014 varata dal governo Letta prevedeva un incasso di 500 milioni di euro l’anno dalla dismissione degli immobili pubblici. Ospedali, fari, vecchi conventi e soprattutto tantissime caserme distribuite nei centri storici delle città italiane. Quelle dismesse dalle Forze armate sono centinaia ma anche del famoso piano per la loro dismissione ormai da mesi si sono perse le tracce.