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Per estendere il bonus e ridurre l’Irap servirebbero oltre 6 miliardi di fondi

Per estendere il bonus e ridurre l’Irap servirebbero oltre 6 miliardi di fondi

Enrico Marro – Corriere della Sera

Allargare la platea dei beneficiari del bonus da 80 euro al mese agli «incapienti» costerebbe quasi 4 miliardi. Gli incapienti, cioè coloro che hanno un reddito annuo inferiore a 8 mila euro e che ora sono esclusi dal bonus, sono infatti 4 milioni. Dare a tutti costoro (dipendenti, autonomi, pensionati) 960 euro l’anno significherebbe sborsare, appunto, 3 miliardi e 840 milioni. Aumentare il taglio dell’Irap a favore delle imprese, già ridotta quest’anno del 10%, costerebbe circa 2 miliardi e mezzo per ogni ulteriori 10 punti di riduzione del prelievo. Numeri importanti che giustificano la cautela del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha spiegato ieri in tv, a Porta a Porta, che spera di allargare la platea, ma ancora non è in grado di garantirlo. Del resto, il primo impegno, ribadito anche ieri sera, è quello di confermare il bonus per chi già ce l’ha, cioè i lavoratori dipendenti con un reddito tra 8 mila e 26 mila euro l’anno, circa 10 milioni di contribuenti. E solo per questo ci vogliono 10 miliardi di euro.

Ma vediamo perché costerebbe così tanto allargare la platea e perché, probabilmente, non ci sarà un’estensione meccanica degli 80 euro, bensì quel «segnale di attenzione» di cui aveva già parlato il governo in occasione del decreto sul bonus, lo scorso aprile. Allora, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, spiegò al Corriere che intervenire anche a favore degli incapienti sarebbe costato «almeno un miliardo in più». Ma l’ipotesi sulla quale si era ragionato prevedeva di dare qualcosa, ma non certo 80 euro, considerando, per esempio, che una parte di coloro che non arrivano a 8mila euro di redditi sono i poveri assistiti con la social card. Per questi ora il governo sta lavorando a un potenziamento del sussidio utilizzando i fondi europei. Delrio, che ha la delega in materia, insieme con Poletti sta studiando la messa a regime e il rafforzamento del Sia, il sostegno all’inclusione attiva avviato dal predecessore di Poletti, Enrico Giovannini, che prevede percorsi personalizzati di inserimento sociale e lavorativo su misura per le famiglie povere e un assegno che può arrivare fino a 400 euro. Sui poveri quindi il governo potrebbe intervenire potenziando questi strumenti.

Non a caso, parlando di un’eventuale estensione del bonus, Renzi si è riferito piuttosto ai pensionati e alle partite Iva. Ma anche qui i numeri sono importanti. I pensionati con un reddito previdenziale tra mille e duemila euro al mese, cioè che grossomodo potrebbero rientrare in una ipotetica estensione del bonus, sono circa 6 milioni e mezzo. Le partite Iva individuali sono 3 milioni e mezzo, con un reddito medio di circa 15 mila euro lordi, secondo una ricerca della Cgil. Anche in questo caso dare 80 euro al mese costerebbe troppo. Ecco perché l’ipotesi di allargamento del bonus che finora è sembrata più realistica è quella, allo studio dei tecnici del governo, che prevede un aumento delle soglie di reddito per le famiglie numerose con un solo stipendio. La soglia per ottenere gli 80 euro potrebbe salire da 26 mila a 31 mila euro con due figli a carico, a 40 mila con tre, a 50 mila con quattro. Una mini-estensione del bonus che costerebbe alle casse pubbliche non più di 200-300 milioni di euro l’anno. Fattibile. Così come appare possibile un nuovo sconto sull’Irap o comunque un taglio del carico fiscale per le imprese rimaste deluse dal mini taglio Irap di aprile.

Andare oltre diventa molto più difficile perché, come ha ammesso Renzi, quest’anno il prodotto interno lordo resterà intorno a zero. E per rispettare il tetto del deficit del 3% bisognerà fare i salti mortali, nonostante la rivalutazione dello stesso Pil che l’Istat ha in corso. Senza contare che il premier, ieri sera, ha aperto alla possibilità di rimuovere il blocco degli stipendi pubblici. Anche qui, però, più che a un rinnovo pieno dei contratti per 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici, che costerebbe 2,1 miliardi solo nel 2015, bisogna pensare a misure limitate (sblocco dei premi, incentivi alla produttività).

Le speranze (mal) riposte

Le speranze (mal) riposte

Dario Di Vico – Corriere della Sera

Gli economisti che si erano detti favorevoli agli 80 euro e non a un maxi-taglio dell’Irap per le imprese avevano sostenuto il provvedimento confidando che i redditi medio-bassi, beneficiari del primo e significativo taglio delle tasse deciso da tempo, spendessero immediatamente i soldi in più trovati in busta paga. La domanda interna ne aveva e ne ha un bisogno enorme e ci si augurava che gli italiani cogliessero al volo l’occasione. Purtroppo dobbiamo constatare che non è andata così. Non c’è stata trasmissione di input tra la riduzione dell’Irpef e l’aumento dei consumi e il motivo prevalente della débacle è abbastanza chiaro: c’erano in parallelo troppe (altre) tasse da pagare e quindi il popolo degli 80 euro ha dovuto abbassare le penne, ha rinunciato a fare shopping e ha malinconicamente accantonato i soldi per ridarli allo Stato sotto forma di Tasi, Tares e quant’altro. Tassa entra e tassa esce. Una partita di giro, se non addirittura una beffa.

Con il senno di poi viene da dire che la trasmissione ai consumi che non si è avuta avrebbe potuto essere stimolata da qualche accorgimento in più, ci volevano politiche di accompagnamento. Se commercianti e albergatori avessero preso a modello il marketing aggressivo di Ikea – solo per fare un esempio – e avessero promosso sconti e offerte speciali qualcosa forse si sarebbe mosso ma arrivati a questo punto è inutile palleggiarsi le responsabilità e litigare, come è accaduto ieri tra Confcommercio e Palazzo Chigi.

A questo punto bisogna essere più pazienti e più determinati allo stesso tempo, non decretare con troppa fretta il fallimento di un’operazione che rimane giusta e da settembre tornare a batere il chiodo con maggiore convinzione e spirito di iniziativa. Gli 80 euro in più restano comunque in busta paga per tutto il 2014, piuttosto non si sa se saranno confermati il prossimo anno e se la platea dei beneficiari verrà allargata, come pure sarebbe giusto. Ben vengano, dunque, i tagli alle tasse anche se bisogna sapere che miracoli non se ne fanno. L’attesissima ripresa dell’economia italiana si è spostata più in là e dovremo aspettare il 2015 per intravedere un incremento del Pil degno di questo nome. Ma dobbiamo anche sapere che la Grande Crisi ci consegna un’economia diversa rispetto a sei anni fa, i cicli non saranno più durevoli come in passato e le imprese dovranno attrezzarsi a fare i conti con mercati in eterna fibrillazione e consumatori impauriti. Facciamoci gli auguri.