Se mancano scelte decise
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore
La realtà è complessa, e cercare parametri che siano in grado di abbracciarla tutta è una sfida impossibile. La vicenda dell’Imu (e ora anche della Tasi) per il Terzo settore lo dimostra bene. Sono stati necessari due anni abbondanti per definire l’attuazione, ora serve una selva di calcoli per capire quanto bisogna pagare e il risultato è sbagliato quando si chiede di sommare, invece che di rapportare fra loro, la percentuale di superficie e la quota di tempo (o di utilizzatori) occupate dalle attività commerciali. Manca un’altra prova, cioè la pioggia di ricorsi che accompagneranno gli accertamenti inevitabilmente ballerini, ma le premesse ci sono tutte e sembra solo questione di tempo. Riassumiamo: in tutti i casi di utilizzo “misto”, dalla parrocchia con sala conferenze all’ospedale con il bar e l’edicola, per capire l’imponibile bisognerà calcolare la quota di superficie occupata dall’attività commerciale, la parte di tempo o di utenti (come?) a cui è destinata, e poi inopinatamente sommarle. Il risultato è una sproporzione evidente fra la complessità dei calcoli, spesso basati su criteri non verificabili, e l’esiguità del gettito che ne verrà fuori. A creare il problema è stata la politica, che non ha voluto assumere scelte chiare su un tema spinoso e ha costretto quindi a inerpicarsi su un sentiero tortuoso di criteri e variabili ingestibili. Sarebbe stato meglio, allora, definire un’Imu ultraleggera, per esempio il 10% di quella ordinaria, per gli utilizzi misti, che probabilmente avrebbe avuto gli stessi risultati per i bilanci pubblici ma avrebbe evitato l’ennesima sfida burocratica ai contribuenti. Questa, però, sarebbe stata una scelta precisa.