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Domani si versa l’acconto Imu-Tasi. Nel 2016 tasse sugli immobili a 49,1 miliardi (+30,2% rispetto al 2011)

Domani si versa l’acconto Imu-Tasi. Nel 2016 tasse sugli immobili a 49,1 miliardi (+30,2% rispetto al 2011)

Domani circa 25 milioni di italiani saranno chiamati a versare l’acconto dell’Imu e della Tasi. Nonostante l’abolizione delle tasse sulla prima casa, resta infatti ancora in vigore il prelievo sulle seconde case e sugli immobili diversi dall’abitazione principale.

Dopo il livello record raggiunto nel 2015 (52,3 miliardi di euro), in Italia il gettito complessivo sugli immobili si è ridotto nel 2016 a 49,1 miliardi di euro (-6,1%). L’anno scorso la pressione fiscale ha toccato comunque valori decisamente più consistenti di quelli registrati nel 2011, con un incremento di 11,4 miliardi di euro su base annua (+30,2%). Lo rileva una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro su elaborazione di dati della Corte dei Conti e di Confcommercio.

Nel periodo 2011-2016 il maggiore incremento registrato ha riguardato la quota patrimoniale del prelievo – più che raddoppiata (+173%) – a differenza delle entrate attribuibili agli atti di trasferimento (-29%) e a quelle sul reddito immobiliare, rimaste sostanzialmente inalterate nonostante la crescita del gettito da locazioni favorita dall’introduzione della cedolare secca sugli affitti.

Il calo di 3,5 miliardi di euro registrato tra il 2015 e il 2016 è interamente attribuibile al taglio della TASI per le abitazioni principali licenziato dal governo nella Legge di stabilità e che ha fatto passare il gettito della misura da 4,7 a 1,1 miliardi di euro. Le entrate derivanti dall’IMU restano invece stabili a 20,4 miliardi su base anna: la componente esplicitamente patrimoniale dell’imposizione sugli immobili è comunque più che raddoppiata rispetto al 2011 quando valeva “solo” 9,2 miliardi di euro. In crescita rispetto a cinque anni or sono risulta in crescita anche il gettito derivante dalle tasse sui rifiuti, che sono passate da 5,6 a 8,4 miliardi di euro.

«Nonostante l’abolizione della Tasi sulla prima casa – osserva l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro Studi ImpresaLavoro – la tassazione sugli immobili nel nostro Paese continua ad essere del 30% più elevata rispetto al 2011. Si tratta di una patrimoniale operata a danno di quello che molte famiglie consideravano un vero e proprio bene rifugio. Una misura che ci venne richiesta a gran voce dall’Europa e che ha prodotto effetti negativi su molti versanti: un impoverimento del patrimonio delle famiglie, la messa in ginocchio del settore dell’edilizia e una depressione dei consumi e della domanda interna. Motivi più che sufficienti per rispedire al mittente le raccomandazioni del Fondo monetario internazionale, che in questi giorni insiste per un aggravio in Italia della tassazione patrimoniale degli immobili».

Sulla casa pesano 11 miliardi di tasse in più

Sulla casa pesano 11 miliardi di tasse in più

di Chiara Merico – La Verità

Uno degli argomenti più gettonati dall’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi è stato il taglio delle tasse a opera del suo governo, un refrain sentito più e più volte, specie nell’ultima fase della campagna elettorale per il referendum. Ma a smentirlo, alla vigilia del giorno in cui 25 milioni di italiani sono chiamati a versare il saldo di Imu, Tari e Tasi, arriva una ricerca del centro studi ImpresaLavoro, secondo cui dal 2011 a oggi il gettito complessivo derivante dalla tassazione sugli immobili è cresciuto del 30,2%, per un incremento su base annua di 11,4 miliardi rispetto a cinque anni fa. Questo anche se nel 2016 il gettito complessivo dovrebbe ammontare a 49,1 miliardi di euro, in calo del 6,1% rispetto al livello record di 52,3 miliardi di euro segnato lo scorso anno.

ANNUNCI TRIONFALI

Insomma, la pressione fiscale sui proprietari di immobili rimane altissima, nonostante l’abolizione della tassa sulla prima casa. E nonostante le rivendicazioni dell’ex premier, che lo scorso febbraio, in una delle sue newsletter Enews scriveva: «Tutti convinti che abbiamo fatto bene ad abbassare le tasse. Ma ciascuno ha la sua personale classifica di quelle che andavano tagliate e di quelle che invece andavano mantenute. Impossibile accontentare tutti. Però (c’è la, ndr.) consapevolezza che rispetto al passato si è cambiato marcia: ora le tasse vanno giù, prima andavano su». Matteo Renzi aggiungeva una lista delle principali obiezioni che si era visto rivolgere: «Perché hai eliminato le tasse sulla prima casa? E perché questa insistenza sugli 80 euro? E perché gli 80 euro alle forze di polizia? E immaginate il resto: Irap, costo del lavoro, tasse agricole, tax credit sulla cultura. Impossibile accontentare tutti, dai».

Certo non è possibile venire incontro a tutte le esigenze, ma a quanto risulta dallo studio di ImpresaLavoro, rispetto al 2011 la pressione fiscale su chi possiede immobili non solo non è calata, ma è aumentata di un terzo. «A subire il maggiore incremento in questi cinque anni è stata la quota patrimoniale del prelievo – più che raddoppiata (+173%), secondo quanto riporta la stessa Corte dei Conti – a differenza delle entrate attribuibili agli atti di trasferimento (-29%) e a quelle sul reddito immobiliare, sostanzialmente inalterate nonostante la crescita del gettito da locazioni favorita dall’introduzione della cedolare secca sugli affitti», si legge nello studio, dove si precisa inoltre che «i 3,6 miliardi di euro di gettito in meno rispetto al 2015 sono integralmente attribuibili al taglio della Tasi per le abitazioni principali, che ha fatto scendere il gettito da 4,7 a 1,1 miliardi di euro. Restano invece stabili a 20,4 miliardi su base annua le entrate derivanti dall’Imu». Ma, sottolinea lo studio, «la componente esplicitamente patrimoniale dell’imposizione sugli immobili è comunque più che raddoppiata rispetto al 2011 quando valeva “solo” 9,2 miliardi di euro. In crescita rispetto a cinque anni fa anche il gettito derivante dalle tasse sui rifiuti che passano da 5,6 a 8,4 miliardi di euro». In totale, oggi gli italiani pagheranno 10,1 miliardi di euro di Imu e Tasi, per una media di 535 euro a testa, con punte di oltre mille euro nelle grandi città come Roma, Milano e Bologna. Chi dovesse ritrovarsi impossibilitato a pagare il saldo entro il 16 dicembre potrà in seguito accedere al cosiddetto ravvedimento operoso, che prevede sanzioni crescenti all’aumentare dei giorni di ritardo.

TREDICESIMA MAGRA

Le scadenze di fine anno pesano parecchio, anche sui bilanci familiari dei fortunati che avranno la tredicesima: dei quasi 35 miliardi di euro che gli italiani incasseranno grazie all’assegno supplementare, infatti, solo il 14,8% (pari a 5 miliardi) potrà essere speso per regali, viaggi e feste di fine anno. Il resto, secondo il rapporto di Adusbef e Federconsumatori, servirà per onorare debiti pregressi, pagare rate del mutuo, bolli auto e bollette, e ovviamente il saldo delle tasse per chi ha una seconda casa. In base ai calcoli delle due associazioni dei consumatori, infatti, per questi contribuenti un terzo della tredicesima, in media circa 530 euro, se ne andrà così, cifra che sale a due terzi (1.000 euro) per chi ha un immobile in una grande città. L’Imu sulla seconda casa assorbirà 2,3 miliardi (4-9,5% rispetto al 2015), mentre la seconda rata della Tasi costerà 2,4 miliardi, +9,1% rispetto al 2015. «Nonostante l’abolizione della Tasi sulla prima casa», osserva Massimo Blasoni, presidente del centro studi ImpresaLavoro, «la tassazione sugli immobili nel nostro Paese continua a essere del 30% più elevata rispetto al 2011. Si tratta di una vera e propria patrimoniale operata a danno di quello che molte famiglie consideravano un vero e proprio bene rifugio. Una manovra che ci venne richiesta a gran voce dall’Europa e che ha prodotto effetti negativi su molti versanti: ha impoverito il patrimonio delle famiglie, messo in ginocchio il settore dell’edilizia e generato grande incertezza, deprimendo consumi e domanda interna».

Via la Tasi? Non basta, il salasso sulla casa vale 11 miliardi in più

Via la Tasi? Non basta, il salasso sulla casa vale 11 miliardi in più

di Antonio Signorini – Il Giornale

Dovevano essere le tasse delle autonomie locali, quelle pagate in cambio di servizi ben definiti e visibili. Poi, per ammissione dello stesso Mario Monti – che da premier le ha trasformate in un incubo per gli italiani – sono state classificate per quello che sono. Tasse patrimoniali, balzelli che colpiscono la proprietà preferita dagli italiani, quella immobiliare. Oggi scade il termine per pagare il saldo Imu e Tasi per il 2016. Appuntamento fiscale capace di rovinare preventivamente le feste (cade in piena zona regali) e castrare la ripresa dei consumi.

Il centro studi ImpresaLavoro ha calcolato l’entità della stangata. Entro oggi circa 25 milioni di italiani dovranno pagare, nonostante l’abolizione delle tasse sull’abitazione principale. Il mattone resta la forma di risparmio più diffusa in Italia e sono ancora molti a possedere una seconda casa oppure un immobile strumentale. Cioè adibito a un’attività imprenditoriale, categoria inspiegabilmente non inclusa nell’esenzione. Dopo il livello record raggiunto nel 2015 (52,3 miliardi di euro), il gettito complessivo sugli immobili in Italia si riduce quest’anno a 49,1 miliardi con una flessione quantificabile nel 6,1 per cento.

«La pressione fiscale risulta comunque ancora ben lontana dai livelli del 2011, rispetto ai quali l’incremento risulta di 11,4 miliardi su base annua, segnando in termini relativi un corposo più 30,2 per cento», spiega il centro studi presieduto dall’imprenditore Massimo Blasoni. «Nonostante l’abolizione della Tasi sulla prima casa – osserva Blasoni – la tassazione sugli immobili nel nostro Paese continua a essere del 30% più elevata rispetto al 2011. Si tratta di una vera e propria patrimoniale operata a danno di quello che molte famiglie consideravano un vero e proprio bene rifugio. Una manovra che ci venne richiesta a gran voce dall’Europa e che ha prodotto effetti negativi su molti versanti: ha impoverito il patrimonio delle famiglie, messo in ginocchio il settore dell’edilizia e generato grande incertezza, deprimendo consumi e domanda interna».

I numeri confermano questa lettura. Il gettito fiscale da immobili è aumentato nonostante siano in flessione le compravendite e quindi sia venuto meno molto gettito da imposte di registro. Cresce solo la quota patrimoniale, cioè le tasse pagate solo per il fatto di possedere un bene, più che raddoppiata (+173%) a differenza delle entrate attribuibili agli atti di trasferimento (-29%) e a quelle sul reddito immobiliare, sostanzialmente inalterate secondo quanto risulta a ImpresaLavoro, nonostante la crescita del gettito da locazioni favorita dall’introduzione della cedolare secca sugli affitti. I 3,6 miliardi di gettito in meno rispetto all’anno precedente sono integralmente attribuibili al taglio della Tasi. Restano invece stabili a 20,4 miliardi su base annua le entrate derivanti dall’Imu: la componente esplicitamente patrimoniale dell’imposizione sugli immobili è comunque più che raddoppiata rispetto al 2011 quando valeva 9,2 miliardi. E in cinque anni il gettito derivante dalle tasse sui rifiuti è passato da 5,6 a 8,4 miliardi di euro.

 

25 milioni di italiani oggi alla cassa per il saldo Imu-Tasi

25 milioni di italiani oggi alla cassa per il saldo Imu-Tasi

Oltre 25 milioni di italiani sono chiamati a versare il saldo dell’Imu e della Tasi. Nonostante l’abolizione delle tasse sull’abitazione principale, infatti, resta ancora in vigore il prelievo sulle seconde case e sugli immobili diversi dall’abitazione principale. Dopo il livello record raggiunto nel 2015 (52,3 miliardi di euro), il gettito complessivo sugli immobili in Italia si riduce quest’anno a 49,1 miliardi con una flessione quantificabile nel 6,1 per cento. La pressione fiscale risulta comunque ancora ben lontana dai livelli del 2011, rispetto ai quali l’incremento risulta di 11,4 miliardi su base annua, segnando ín termini relativi un corposo più 30,2 per cento. Lo rileva una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro.

A subire il maggiore incremento nel periodo considerato è la quota patrimoniale del prelievo – più che raddoppiata (+173%) secondo quanto riporta la stessa Corte dei Conti – a differenza delle entrate attribuibili agli atti di trasferimento (-29%) e a quelle sul reddito immobiliare, sostanzialmente inalterate secondo quanto risulta a ImpresaLavoro, nonostante la crescita del gettito da locazioni favorita dall’introduzione della cedolare secca sugli affitti. I 3,6 miliardi di euro di gettito in meno rispetto all’anno precedente sono integralmente attribuibili al taglio della TASI per le abitazioni principali, facendo scendere il gettito da 4,7 a 1,1 miliardi di euro. Restano invece stabili a 20,4 miliardi su base annua le entrate derivanti dall’IMU: la componente esplicitamente patrimoniale dell’imposizione sugli immobili è comunque più che raddoppiata rispetto al 2011 quando valeva «solo» 9,2 miliardi di euro. In crescita rispetto a cinque anni fa anche il gettito derivante dalle tasse sui rifiuti che passano da 5,6 a 8,4 miliardi di euro.

Nel 2016 tasse sugli immobili a 49,1 miliardi: 11,4 miliardi in più rispetto al 2011

Nel 2016 tasse sugli immobili a 49,1 miliardi: 11,4 miliardi in più rispetto al 2011

Venerdì 16 dicembre circa 25 milioni di italiani avranno un importante appuntamento con il fisco e saranno chiamati a versare il saldo dell’Imu e della Tasi. Nonostante l’abolizione delle tasse sull’abitazione principale, infatti, resta ancora in vigore il prelievo sulle seconde case e sugli immobili diversi dall’abitazione principale.

Dopo il livello record raggiunto nel 2015 (52,3 miliardi di euro), il gettito complessivo sugli immobili in Italia dovrebbe ridursi per quest’anno a 49,1 miliardi con una flessione quantificabile nel 6,1 per cento. La pressione fiscale risulterà a fine anno comunque ancora ben lontana dai livelli del 2011, rispetto ai quali l’incremento risulta di 11,4 miliardi su base annua, segnando in termini relativi un corposo più 30,2 per cento. Lo rileva una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro.

Immobili

Ciò che ha subito il maggiore incremento nel periodo considerato è la quota patrimoniale del prelievo, più che raddoppiata (più 173 per cento) secondo quanto riporta la stessa Corte dei Conti, a differenza delle entrate attribuibili agli atti di trasferimento (meno 29 per cento) e a quelle sul reddito immobiliare, sostanzialmente inalterate secondo quanto risulta a ImpresaLavoro, nonostante la crescita del gettito da locazioni favorita dall’introduzione della cedolare secca sugli affitti.

I tre miliardi e mezzo di calo rispetto all’anno precedente sono integralmente attribuibili al taglio della TASI per le abitazioni principali licenziato dal governo nell’ultima legge di stabilità e che fa passare il gettito della misura da 4,7 a 1,1 miliardi di euro.  Stabili a 20,4 miliardi su base annua sono invece le entrate derivanti dall’IMU: la componente esplicitamente patrimoniale dell’imposizione sugli immobili è comunque più che raddoppiata rispetto al 2011 quando valeva “solo” 9,2 miliardi di euro. In crescita rispetto a cinque anni fa anche il gettito derivante dalle tasse sui rifiuti che passano da 5,6 a 8,4 miliardi di euro.

“Nonostante l’abolizione della Tasi sulla prima casa – ha spiegato Massimo Blasoni, presidente del Centro Studi ImpresaLavoro – la tassazione sugli immobili nel nostro paese continua ad essere del 30% più elevata rispetto al 2011. Si tratta di una vera e propria patrimoniale operata a danno di quello che molte famiglie consideravano un vero e proprio bene rifugio. Una manovra che ci venne richiesta a gran voce dall’Europa e che ha prodotto effetti negativi su molti versanti: ha impoverito il patrimonio delle famiglie, messo in ginocchio il settore dell’edilizia e generato grande incertezza, deprimendo consumi e domanda interna”.

Oltretutto sul settore incombe la grande incognita della riforma del catasto: il rischio è quello di una  revisione al rialzo delle rendite, ossia della base imponibile su cui poggiano più di 40 dei 49,1 miliardi che paghiamo ogni anno sui nostri immobili. Con, conseguente, aumento della pressione fiscale sull’intero comparto.

 

Siri: “La vera sfida resta la rivoluzione del sistema tributario”

Siri: “La vera sfida resta la rivoluzione del sistema tributario”

di Armando Siri*

I dati della crescita economica reale del nostro Paese negli ultimi anni sono a dir poco sconcertanti e come dimostrato dallo studio di ImpresaLavoro, salvo la parentesi dell’ultimo Governo Berlusconi, il trend del Pil italiano è sempre stato molto al di sotto di quello degli altri Paesi Ue. Prima i governi tecnici, oggi il governo non eletto di Matteo Renzi, non sono stati in grado di invertire la tendenza per inadeguatezza degli interventi e mancanza di visione. La vera sfida era e rimane quella fiscale. Solo una rivoluzione del sistema tributario con l’introduzione di un’unica aliquota fiscale può far decollare il Paese e consentirgli nel giro di un paio di anni di recuperare i quasi dieci punti di Pil perduti dal 2008 ad oggi e creare le premesse per un trend di crescita costante per il futuro.

Non possiamo accontentarci degli zerovirgola che Renzi spaccia per grandi risultati. Questo Governo non vuole capire che la nostra economia asfittica ha bisogno di nuova linfa e nuovo ossigeno che può arrivare solo se allenta il cappio con il quale drena verso lo Stato le risorse dell’economia reale sotto forma di imposte.

Non servono i piccoli interventi a breve scadenza come il Jobs Act e l’abolizione dell’Imu per far ripartire consumi e mercato del lavoro. Questi interventi producono gli stessi risultati che si possono ottenere somministrando l’aspirina ad un malato di polmonite. Qui servono interventi drastici a base di antibiotici e adrenalina, serve coraggio per realizzare la radicale riforma del sistema fiscale. Il resto degli interventi sono solo inutili e frustranti palliativi.

* consigliere economico di Matteo Salvini e responsabile economico della lista “Noi con Salvini”

Se togliere Imu servisse a liberare l’economia…

Se togliere Imu servisse a liberare l’economia…

di Carlo Lottieri

Per comprensibili ragioni elettorali (basti considerare che l’Italia è un paese di proprietari di casa), il governo Renzi sta studiando la possibilità di eliminare l’Imu sulla prima abitazione, immaginando di finanziare tutto questo con cessioni di imprese statali, tagli alla spesa (i tanto evocati “enti inutili”) e anche – se Bruxelles lo permetterà – un qualche sforamento del tetto del deficit. Il premier tende a presentare le privatizzazioni come una sorta di “sacrificio”, che però la popolazione italiana dovrebbe avere la saggezza di accettare in quanto può aiutare la riduzione delle imposte che molti auspicano. Questa logica però è sorprendente, dal momento che non abbiano un male di minori dimensioni (le privatizzazioni) accompagnato da un bene più grande (meno tasse), ma al contrario due benefici. È anzi necessario rilevare che se la riduzione della tassa sulla casa servirà come pretesto e occasione per privatizzare qualcosa non si potrà che essere molto soddisfatti.
Chi avrebbe da perderci da un’eventuale cessione di Trenitalia ai privati? Non certo quanti viaggiano, che a quel punto si troveranno presumibilmente anche in un contesto più aperto (oggi il mercato è bloccato dal fatto il maggiore soggetto è di proprietà statale). Non i contribuenti, che nei decenni scorsi hanno destinato somme rilevanti a questo colosso. Ovviamente non i competitori attuali e certo neppure quelli che potranno sorgere in seguito. Forse qualche costo dovranno sopportare i dipendenti, nel caso in cui gli organici oggi siano gonfiati e la nuova dirigenza voglia riorganizzare e migliorare la gestione, ma questo è un prezzo necessario se si vuole avere un sistema dei trasporti efficace.
A perderci, senza dubbio, saranno quanti vivono di politica, quanti affollano i consigli di amministrazione di nomina pubblica, quanti appartengono a gruppi imprenditoriali che vivono non di mercato ma di commesse statali truccate, insieme ai vari professionisti “di area” che fanno soldi perché destinatari di incarichi e altro. Ma non avremo a che fare con un problema, bensì con la sua soluzione.
Soprattutto è importante che cresca lo spazio del privato e si ridimensioni quello del pubblico. Un’economia come la nostra è ancora troppo sbilanciata sullo Stato e per questo è tanto rigida, poco innovativa, fondamentalmente conservatrice. Se a Roma si dovrà privatizzare al fine di poter avere meno imposte, ben venga questo più ridotto prelievo sugli immobili che oltre ad aiutare l’economia nel suo insieme è in grado di aprire la strada alla crescita di un’economia esterna ai giochi della politica. Perché il punto è qui: bisogna privatizzare per depoliticizzare una vita produttiva troppo deformata da logiche, quelle dei partiti, che producono prevalentemente sprechi e corruzione, inefficienze e nepotismo.
Al fondo dell’offerta di Renzi agli italiani (che può essere così formulata: “vi prego, accettate qualche privatizzazione in cambio di meno imposte”) prevale la tesi, davvero difficile da difendere, che il settore pubblico sia in qualche misura migliore di quello privato, più sociale, vicino alle esigenze della gente. Si finge di non vedere quanti privatissimi interessi abbiano i nominati dei Cda e i grand commis dell’alta burocrazia dei dinosauri pubblici.
Questa retorica è il segno di un grave ritardo culturale: è espressione di una mentalità statalista che rovescia il senso comune e che è però in grado, troppo spesso, d’imporre le proprie logiche. Eliminare l’Imu e privatizzare le imprese statali sono due mosse nella giusta direzione. C’è da augurarsi che Renzi trovi quel coraggio che finora non ha saputo quasi mai mostrare.
Il martedì di Imu-Tasi: 12 miliardi e nell’83% delle città saldo a rischio rincaro – La Repubblica

Il martedì di Imu-Tasi: 12 miliardi e nell’83% delle città saldo a rischio rincaro – La Repubblica

Roberto Petrini – La Repubblica

Conto alla rovescia per il tax­Day sulla casa. Martedì 19,7 milioni di proprietari di prima casa e 25 milioni di proprietari di altri immobili saranno chiamati a pagare rispettivamente l’acconto Tasi e la prima rata dell’Imu. Un doppio prelievo fiscale che vale almeno 12 miliardi (9,7 di Imu e 2,3 di Tasi). La data rischia di essere un vero e proprio «martedì nero»: tra acconti e saldi Irpef, Ires e Irap e altro i contribuenti saranno chiamati a versare altri 38 miliardi.

Il costo medio della Tasi, secondo il consueto rapporto della Uil servizio politiche territoriali, sarà di 180 euro medi (90 euro da versare con l’acconto), ma se si prendono a riferimento le città capoluogo l’importo sale a 230 euro medi (115 euro per l’acconto), con punte di 403 euro. Cifre decisamente più alte per quanto riguarda l’acconto Imu sulle seconde case: il costo medio in questo caso è di 866 euro di cui 433 euro da pagare con l’accconto di giugno, con punte di 2.028 euro a Roma (1.014 euro l’acconto) e 1.828 euro a Milano (914 euro di acconto). Tra le città in cui l’acconto Tasi prima casa sarà «mini», la classifica vede in prima fila Asti (10 euro), seguita da Ascoli Piceno (23 euro) e da Crotone con 26 euro.

Le sorprese tuttavia non sono finite. Quest’anno non dovrebbe verificarsi il caos del 2014 quando si rimase nell’incertezza dell’aliquota in attesa delle delibere: si pagherà infatti con l’aliquota approvata dai Comuni per l’anno 2014.Tuttavia questo sollievo potrebbe essere solo apparente, perché i Municipi hanno tempo fino al 31 luglio per approvare i bilanci e le relative delibere Tasi- Imu: di conseguenza in sede di saldo, il 16 dicembre, potrebbe arrivare la «stangata» dell’aumento. Ad oggi infatti, secondo uno studio dell’Agefis, l’associazione dei geometri fiscalisti, solo il 16,5 per cento dei Comuni ha deliberato le nuove aliquote, il restante 83,5 per cento potrebbe riservare una sgradevole scoperta al contribuente. In pochissimi casi, a parte la virtuosa Valle d’Aosta che raggiunge un 81 per cento, nelle regioni italiane si trovano percentuali superiori al 20 per cento. Al Sud le delibere non raggiungono il 10 per cento. «Dove non c’è delibera non si possono dormire sonni tranquilli», dice Mirco Mion, presidente dell’Agefis.

La pressione fiscale sulla casa è comunque in crescita: secondo una rilevazione del Centro studi ImpresaLavoro il totale delle imposte che gravano sugli immobili sono cresciute rapidamente negli ultimi quattro anni, passando dai 38 del 2011 agli oltre 50 nel 2014. Si attende per il prossimo anno la più volte annunciata local tax: «Cambierà il nome, ma non la sostanza delle cose, bisogna rivedere le addizionali comunali Irpef, avverte Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil.

Tasse sul mattone

Tasse sul mattone

NOTA

Alla vigilia del pagamento della prima rata annuale dell’IMU-TASI, va ricordato che il peso delle tasse sul mattone ha sfondato la quota record di 50 miliardi di euro, di cui 38 a carico delle famiglie. È quanto emerge da un’indagine condotta dal centro studi ImpresaLavoro, secondo il quale il totale delle imposte gravanti a vario titolo sugli immobili in Italia (a carico sia dei soggetti privati sia di professionisti e imprese) è cresciuto rapidamente in questi ultimi quattro anni, passando dai 38 miliardi del 2011 agli oltre 50 del 2014. Sulle sole famiglie, il rincaro complessivo è stato nel periodo di 7,2 miliardi (da 31 a 38,2), con una crescente incidenza delle imposte di tipo patrimoniale (da 16,1 a 27,5).
Tale aumento è dovuto in particolare a tre ragioni: l’introduzione anticipata dell’Imu a partire dal 2012 in sostituzione dell’Ici e di una parte dell’Irpef prelevata sugli immobili; la sostituzione della Tarsu con la Tares, divenuta successivamente Tari, con un ricarico finale complessivo pari a circa 2 miliardi annui; l’introduzione della Tasi (2014), per un gettito complessivo di 4,6 miliardi, destinato a sostituirsi alla mancata riscossione dell’Imu sulle abitazioni principali, sostanzialmente abolita dal 2013. Risulta quindi evidente che con l’introduzione anticipata dell’Imu la composizione stessa del prelievo fiscale sugli immobili si sia notevolmente modificata, con una quota ben più elevata (a partire dal 2012) della componente di tipo patrimoniale, non collegata quindi alla produzione di reddito immobiliare ma esclusivamente dalla proprietà o dal possesso delle abitazioni.
Se si considera la sola componente riferita alla tassa di proprietà sugli immobili (nel caso italiano dunque l’IMU ex ICI), nel periodo 2011-2013 il prelievo nel nostro Paese è così salito a 9,9 miliardi (+107,4%): si tratta dell’incremento più rilevante nel campione di 34 paesi per i quali esistono i dati Eurostat e OCSE. La nuova IMU ha poi portato l’entità del gettito dallo 0,6% del PIL dell’ultimo anno di ICI con esenzione dell’abitazione di residenza (era lo 0,7% fino al 2007) prima all’1,4% e poi all’1,2%: un aumento che colloca l’Italia al sesto posto nella classifica europea dopo Regno Unito (3,2%), Francia (2,5%), Islanda (1,7%), Danimarca (1,4%) e Belgio (1,3%), e prima della Spagna (1,1%) e di altri 19 paesi tra cui la Germania (0,4%).
Imu agricola col perdono

Imu agricola col perdono

Francesco Cerisano – Italia Oggi

Niente sanzioni e interessi per i ritardati o erronei versamenti dell’Imu agricola. Si è chiuso ieri, ultimo giorno per pagare l’imposta, la telenovela che per due mesi ha creato tensioni nel governo e tra i contribuenti, fino ad arrivare al clamoroso dietrofront con cui l’esecutivo ha abbandonato la classificazione altimetrica tornando a quella Istat. La buona notizia è che a coloro che hanno sbagliato a versare non dovrebbero essere irrogate sanzioni da parte dei Comuni, a condizione che la regolarizzazione avvenga in tempi brevi. Un emendamento in tal senso potrebbe essere depositato in commissione Finanze del Senato dove è all’esame il decreto legge n.4/2015. Quello che ha esentato totalmente 3.456 Comuni classificati come totalmente montani dall’Istat, non facendo pagare l’Imu ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli negli enti parzialmente montani. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, sull’ipotesi di sanatoria sarebbe già al lavoro il relatore, Federico Fornaro, che peròo attenderebbe l’ok del governo per formalizzare la proposta, a favore della quale militerebbero ragioni di «galateo tributario» (lo Statuto del contribuente sterilizza le sanzioni in presenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma e vieta di imporre adempimenti fiscali prima che siano decorsi 60 giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni) unite a un importante precedente: quello della cosiddetta «Mini-Imu» del 2014. Se ne saprà qualcosa in più domani quando il governo sarà presente in commissione per iniziare a valutare gli emendamenti che dovranno essere presentati entro le ore 18. Tra questi, un nutrito pacchetto di proposte di modifica arriva dall’Anci che ieri in audizione ha rimarcato i molti punti di criticità lasciati aperti dal decreto.

Pur apprezzando il provvedimento, in quanto riduce da 359 a 230 milioni i tagli per i Comuni, risultando meno penalizzante (rispetto al dm 28 novembre 2014) soprattutto per gli enti montani, l’Anci continua a rimarcare come si tratti di una «decurtazione di risorse certe a fronte di un gettito ipotetico e di difficile recupero». Secondo l’Associazione dei Comuni, le stime di gettito potenziale previste dal Mef sono sbagliate in eccesso e non tengono conto delle difficoltà che i sindaci incontreranno nel riscuotere l’Imu soprattutto in presenza di versamenti di modico valore. Per questo l’Anci ha chiesto, in sede di conversione del dl 4, l’inserimento di «opportune modalità di verifica del gettito e di eventuale compensazione dei minori importi che ne potranno risultare». E anche secondo l’associazione guidata da Piero Fassino, gli eventuali ritardi nel pagamento dell’imposta non dovranno essere sanzionati, in considerazione dei tempi stretti fissati per il versamento (il decreto che ha spostato la scadenza al 10 febbraio è stato varato solo il 23 gennaio) e delle «connesse difficoltà di assicurare un’adeguata pubblicità dei nuovi obblighi tributari».