Il “bazooka” per l’economia reale
Isabella Bufacchi – Il Sole 24 Ore
Sui Paesi membri dell’Eurozona pesa un macigno di debito pubblico da 9.200 miliardi di euro, equivalente al 92,7% del Pil contro i 7.900 miliardi rilevati nel 2010, all’epoca pari all’83,7% del Pil. La crisi bancaria e subito dopo la crisi del debito sovrano hanno aumentato lo stock del debito pubblico nell’Eurozona di circa 1.300 miliardi in quattro anni. Un debito che, se non proprio nella sua totalità, è entrato nei portafogli delle banche, degli investitori istituzionali, dei risparmiatori sotto forma di titolo di stato: sottraendo risorse finanziarie che direttamente sarebbero potute confluire nell’economia reale. Ed è lì che la BCE intende arrivare con il suo QE esteso ai titoli di Stato: acquistare sul mercato secondario BTp o Bund, OaT o Bonos per liberare risorse finanziarie e invogliare investitori, intermediari e risparmiatori a impiegare la liquidità altrove a caccia di rendimenti più elevati. Il QE tra le altre cose comprime anche i rendimenti dei titoli acquistati dalla banca centrale.
Rastrellare titoli di Stato in un’Eurozona afflitta dal “public debt overhang” è un’operazione che non ha precedenti. E della quale fino a ieri non si aveva alcun dettaglio. Quanti titoli verranno acquistati, con quale scadenza e per quanto tempo sono gli aspetti più rilevanti che il mercato si aspetta vengano rivelati oggi. Le zone grigie resteranno: è prevedibile che la Bce lasci qualche domanda senza risposta per mantenersi le mani libere, concedendosi qualche margine di manovra per ritocchi in corsa. Stando a fonti bene informate, è corsa voce ieri che nella rosa delle ipotesi esplorate dagli esperti dell’Eurosistema vi sia stata anche la possibilità di stabilire gli importi degli acquisti in base non soltanto al peso dei singoli Paesi nel capitale della Bce (che vedrebbe la Germania al primo posto con grandi quantità di Bund da acquistare) e alla montagna dei titoli di Stato in circolazione ma anche in base alle emissioni lorde del 2015 dei titoli a medio-lungo termine più liquidi (tipologia target del QE): in riferimento a quest’ultimo parametro, l’Italia primeggerebbe essendo il più grande emittente di titoli di Stato nell’Eurozona con 260-270 miliardi di emissioni lorde attese quest’anno sulle scadenze medio-lunghe (BoT esclusi).
Chi venderà i titoli alla banca centrale? Non lo Stato direttamente. La Bce non può acquistare titoli di Stato in asta perché il suo statuto (ispirato al Trattato di Maastricht) vieta il finanziamento diretto degli Stati. Gli acquisti non saranno realizzati sul mercato primario ma solo sul secondario , probabilmente con meccanismo d’asta: la Bce indirettamente sosterrà le aste facendo spazio nei portafogli di investitori e banche partecipanti alle emissioni dei titoli di Stato. Ma la domanda in asta potrebbe via via raffreddarsi a causa di un rapporto rischio/rendimento annacquato dall’eccesso di liquidità: meglio allora, è questo l’invito esplicito del QE, guardare altrove, oltre i titoli di Stato, per incassare rendimenti più elevati e maggiormente commisurati al rischio. “La politica monetaria espansiva delle Bce riduce i rendimenti attesi su investimenti di tipo finanziario e contribuisce a spostare l’interesse degli investitori verso l’acquisto di beni immobili di qualità”, ha detto ieri a un convegno organizzato alla Luiss sulle cartolarizzazioni CMBS Biagio Giacalone, responsabile Credit Solutions Group di Banca IMI. Con questo pronostico: “Il conseguente miglioramento delle quotazioni degli asset immobiliari rende i CMBS italiani più liquidi e attraenti per gli investitori specializzati sul mercato dei capitali, favorendo il finaziamento di operazioni immobiliari a costi più contenuti rispetto al passato”.
Il debito pubblico negoziabile italiano è detenuto prevalentemente (67,1%) da italiani, come risulta dalle ultime statistiche della Banca d’Italia al giugno 2014: 20,1% banche italiane, 13,6% assicurazioni italiane, 3,1% fondi comuni italiani, 12% famiglie italiane, 7,8% detentori italiani quali società non finanziarie, i fondi pensione e altre tipologie di investitori, 5,5% Banca d’Italia, 5% le gestioni patrimoniali e fondi comuni amministrati da operatori esteri ma riconducibili a risparmiatori italiani. Al giugno 2014 l’Eurosistema risultava detenere (al netto dei titoli in Banca d’Italia) il 3,7% dei titoli di Stato italiani in circolazione, acquistati con il Securities markets programme e con lo status di creditore senior (privilegiato, non pari passu) . Il resto, pari al 29,4%, risultava essere in mano a detentori esteri.
Il grande punto interrogativo riguarderà le banche italiane, che detengono oltre 420 miliardi di titoli di Stato italiani (circa 200 in più rispetto al periodo pre-crisi): fino a che punto saranno disposte a vendere i bond alla Bce per impiegare la liquidità altrove? È difficile rinunciare a bond utilizzati come collaterale per finanziarsi a tassi vicino allo 0% presso la Bce; ed è difficile rinunciare ai rendimenti che questi titoli offrono e che contribuiscono ad alzare la redditività della banca.