Negli scorsi giorni due avvenimenti, peraltro strettamente collegati, hanno dominato la cronaca economica europea.
Il primo riguarda la Svizzera, dato che la Banca centrale elvetica ha deciso di non difendere più il cambio 1,20 tra euro e franco, con la conseguenza che la seconda valuta si è notevolmente apprezzata fino a raggiungere la parità con la moneta comune europea. La mossa è avvenuta un po’ a sorpresa, ma è pur vero che dal 2012 a oggi erano stati in molti a sostenere che un cambio tanto inadeguato prima o poi si sarebbe dovuto abbandonare. In un mondo caratterizzato da una forte domanda di franchi svizzeri, la difesa di quel livello avrebbe finito per rappresentare un costo troppo elevato per Berna.
Cosa però ha indotto gli svizzeri a cambiare strada? È chiaro che essi avrebbero difeso ancora per un po’ quel cambio del tutto artificioso, cedendo alle pressioni lobbistiche di operatori turistici ed esportatori, se non vi fosse stato l’annuncio di una massiccia azione espansiva da parte della Bce. Dinanzi al cosiddetto “bazooka” di Mario Draghi, che si apprestava a immettere – nel corso del tempo – più di mille miliardi di euro, la Bns ha preso atto della realtà e ha lasciato che il mercato dei cambi facesse il suo corso.
Sull’azione di Draghi si è registrato un (quasi) unanime consenso. Si è detto che – finalmente! – le autorità monetarie prendevano iniziative anti-recessione, che questo denaro fresco avrebbe potuto aiutare gli investimenti e le imprese, che in tal modo gli interessi sul debito pubblico potevano diminuire, con grande beneficio per i conti degli Stati gravati da debiti. E poi si è detto che c’era bisogno di contrastare la deflazione con una “buona” inflazione intorno al 2%. Credo che sia opportuno, invece, essere scettici.
Una buona moneta è una moneta stabile, che facilita gli scambi, permette un’efficace contabilità e viene accumulata in vista di investimenti futuri. Queste sono le funzioni essenziali della moneta, ma nessuna di queste è davvero preservata quando chi la gestisce pretende di manipolarla a piacere. Se nel corso della storia passata il processo evolutivo gestito dagli operatori di mercato ha selezionato l’oro, questo è avvenuto proprio perché si trattava di una moneta non facilmente moltiplicabile con una decisione arbitraria come quella assunta qualche giorno fa da Draghi.
Oltre a ciò, Draghi ha agito – come qualche commentatore tedesco ha evidenziato – a vantaggio dei Paesi meno virtuosi e più indebitati (Italia e Francia, in particolare) e a danno di quelli più virtuosi. Questo “premiare” chi fa debiti non soltanto è ingiusto, ma rappresenta un incentivo ad agire in maniera sconsiderata. Per giunta ora si entra in una fase inflazionistica che, dopo la fiammata iniziale, ci obbligherà a fare i conti con tutte le difficoltà che sono caratteristiche di un’economia con una moneta debole.
L’Europa si può in qualche modo permettere di fare questo, illudendosi che non vi sia un prezzo assai salato da pagare, perché è una grande realtà, che unisce centinaia di milioni di persone. Questo processo sarà distruttivo, ma i nodi verranno al pettine negli anni a venire. Al contrario, la dirigenza della banca centrale elvetica – che pure a lungo non si è mostrata più saggia delle dirigenze delle altre banche centrali (americana, europea, giapponese ecc.) – è stata costretta a invertire la propria direzione dalle limitate dimensioni dell’economia del Paese, che in definitiva conta solo otto milioni di abitanti.
Ancora una volta, la Svizzera ha tratto vantaggio dalla propria “piccolezza”. Se alla fine il buon senso ha prevalso e se ora – di conseguenza – gli svizzeri possono contare su un cambio più affidabile (che può orientare gli attori economici a reimpostare su basi maggiormente solide la loro struttura produttiva) è solo grazie al fatto che non hanno potuto diluire la responsabilità dei propri errori e non hanno potuto proseguire in quella politica monetaria dispendiosa e redistributrice che prima li portava ad acquisire euro.
È questa una buona lezione che, in qualche modo, dovrebbe anche indurci a riflettere maggiormente su cosa sta diventando l’Unione europea e sulle conseguenze negative derivanti dall’espansione del suo potere.