Per comprensibili ragioni elettorali (basti considerare che l’Italia è un paese di proprietari di casa), il governo Renzi sta studiando la possibilità di eliminare l’Imu sulla prima abitazione, immaginando di finanziare tutto questo con cessioni di imprese statali, tagli alla spesa (i tanto evocati “enti inutili”) e anche – se Bruxelles lo permetterà – un qualche sforamento del tetto del deficit. Il premier tende a presentare le privatizzazioni come una sorta di “sacrificio”, che però la popolazione italiana dovrebbe avere la saggezza di accettare in quanto può aiutare la riduzione delle imposte che molti auspicano. Questa logica però è sorprendente, dal momento che non abbiano un male di minori dimensioni (le privatizzazioni) accompagnato da un bene più grande (meno tasse), ma al contrario due benefici. È anzi necessario rilevare che se la riduzione della tassa sulla casa servirà come pretesto e occasione per privatizzare qualcosa non si potrà che essere molto soddisfatti.
Chi avrebbe da perderci da un’eventuale cessione di Trenitalia ai privati? Non certo quanti viaggiano, che a quel punto si troveranno presumibilmente anche in un contesto più aperto (oggi il mercato è bloccato dal fatto il maggiore soggetto è di proprietà statale). Non i contribuenti, che nei decenni scorsi hanno destinato somme rilevanti a questo colosso. Ovviamente non i competitori attuali e certo neppure quelli che potranno sorgere in seguito. Forse qualche costo dovranno sopportare i dipendenti, nel caso in cui gli organici oggi siano gonfiati e la nuova dirigenza voglia riorganizzare e migliorare la gestione, ma questo è un prezzo necessario se si vuole avere un sistema dei trasporti efficace.
A perderci, senza dubbio, saranno quanti vivono di politica, quanti affollano i consigli di amministrazione di nomina pubblica, quanti appartengono a gruppi imprenditoriali che vivono non di mercato ma di commesse statali truccate, insieme ai vari professionisti “di area” che fanno soldi perché destinatari di incarichi e altro. Ma non avremo a che fare con un problema, bensì con la sua soluzione.
Soprattutto è importante che cresca lo spazio del privato e si ridimensioni quello del pubblico. Un’economia come la nostra è ancora troppo sbilanciata sullo Stato e per questo è tanto rigida, poco innovativa, fondamentalmente conservatrice. Se a Roma si dovrà privatizzare al fine di poter avere meno imposte, ben venga questo più ridotto prelievo sugli immobili che oltre ad aiutare l’economia nel suo insieme è in grado di aprire la strada alla crescita di un’economia esterna ai giochi della politica. Perché il punto è qui: bisogna privatizzare per depoliticizzare una vita produttiva troppo deformata da logiche, quelle dei partiti, che producono prevalentemente sprechi e corruzione, inefficienze e nepotismo.
Al fondo dell’offerta di Renzi agli italiani (che può essere così formulata: “vi prego, accettate qualche privatizzazione in cambio di meno imposte”) prevale la tesi, davvero difficile da difendere, che il settore pubblico sia in qualche misura migliore di quello privato, più sociale, vicino alle esigenze della gente. Si finge di non vedere quanti privatissimi interessi abbiano i nominati dei Cda e i grand commis dell’alta burocrazia dei dinosauri pubblici.
Questa retorica è il segno di un grave ritardo culturale: è espressione di una mentalità statalista che rovescia il senso comune e che è però in grado, troppo spesso, d’imporre le proprie logiche. Eliminare l’Imu e privatizzare le imprese statali sono due mosse nella giusta direzione. C’è da augurarsi che Renzi trovi quel coraggio che finora non ha saputo quasi mai mostrare.