Brexit, Londra e un paio di confronti fra Italia e Gran Bretagna
di Massimo Blasoni – Formiche
Non è possibile sapere con esattezza in quale stato verserà l’economia britannica una volta che la Brexit avrà dispiegato nel tempo tutti i suoi effetti. A nove mesi dal referendum popolare che ha sancito la vittoria del Leave e mentre ormai il Governo May sta ultimando gli ultimi passaggi propedeutici all’uscita dall’Unione europea, si può però affermare che non si sono avverate le catastrofiche previsioni formulate dalla Bank of England e da numerosi analisti. I loro allarmismi, che già a suo tempo non avevano convinto gli elettori britannici, non sembrano nemmeno aver suscitato quei sentimenti di paura e incertezza che, come sappiamo, molto spesso condizionano in maniera rilevante i trend economici.
In questo contesto sembra utile attuare un confronto tra le performance più recenti del Regno Unito e quelle dell’Italia, se non altro per renderci conto di quanto la nostra situazione sia decisamente più critica. Nel quarto trimestre del 2016 il Pil del Regno Unito è cresciuto del 2%, il nostro appena dell’1,1%. La nostra crescita annua è stata dell’1% mentre in Gran Bretagna ha registrato un +2% (la più consistente tra tutti i Paesi del G7). Oltremanica la disoccupazione rimane inferiore al 4,8% mentre da noi è all’11,9% (con quella giovanile addirittura al 37,9%).
E se in questo match Italia–Inghilterra recuperiamo quanto a vendite al dettaglio – posto che negli ultimi tre mesi abbiamo registrato incrementi superiori a quelli britannici – rischiamo una penosa debacle quanto a tassazione sull’impresa. Va riconosciuto ai governi inglesi di aver perseguito una rilevante politica di sostegno alle loro imprese. La tassazione nel Regno Unito è stata progressivamente ridotta sino a giungere al 20%. Un peso decisamente inferiore a quello italiano. Se il confronto avviene poi sul total tax rate, cioè tenendo conto anche del peso dei contributi previdenziali, la forbice si allarga: 30,9% nel regno di Sua Maestà contro il nostro 62%.
Resta infine un dato oltremodo significativo: a leggere i giornali sembrerebbe che banche di investimento e multinazionali siano sul punto di traslocare dalla City, eppure dall’inizio dell’anno la Borsa di Londra ha registrato un +3,01%, quella di Milano invece un ben più modesto +1,57%. È la prova che nonostante l’imminente Brexit i mercati continuano a ritenere affidabile l’impegno del governo May per la tenuta di un ambiente favorevole agli investimenti e alla localizzazione delle multinazionali. Possiamo dire lo stesso del governo Gentiloni?